Bernardo Parrella – Psy*Co*Re https://www.psycore.it The Multidisciplinary Italian Network for PSYchedelic and COnsciousness REsearch Thu, 02 Sep 2021 15:12:02 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.8.2 https://i0.wp.com/www.psycore.it/wp-content/uploads/2020/04/cropped-Screen-Shot-2020-04-26-at-7.58.23-AM-1.png?fit=32%2C32&ssl=1 Bernardo Parrella – Psy*Co*Re https://www.psycore.it 32 32 176450119 Corsi e ricorsi delle “piante maestre” https://www.psycore.it/corsi-e-ricorsi-delle-piante-maestre/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=corsi-e-ricorsi-delle-piante-maestre Thu, 02 Sep 2021 03:36:32 +0000 https://www.psycorenet.org/?p=2384 Leggi tutto]]> Continua ad espandersi anche in Italia l’attenzione verso la psichedelia e gli stati non ordinari di coscienza in senso lato, particolarmente in ambito editoriale, a conferma di un’ondata del tutto inedita già segnalata di recente. Stavolta è il turno di un’opera originale curata da Tania Re, psicoterapeuta gestaltista specializzata in Antropologia della Salute ed Etnomedicina. Il suo Tania Re, Stupefacenti e proibiteStupefacenti e proibite: le piante maestre, fresco di stampa presso le edizioni Amrita di Torino, offre un contributo puntuale lungo questo percorso di ampio respiro.

Una delle tesi centrali del libro è quella rimarcare come, in molte regioni del mondo, da tempo immemorabile gli esseri umani hanno appreso e condiviso le proprietà curative delle  piante “di conoscenza” e continuano a farne un uso accorto ancor’oggi:  tabacco, coca, oppio, ma anche sostanze di derivazione vegetale come psilocibina e ibogaina. Invece da oltre mezzo secolo i governi occidentali hanno deciso di bollarle come “droghe”, ovviamente illecite, criminalizzandone gli utenti e bloccandone di fatto la ricerca con ricadute negative per la  società tutta.

Dobbiamo quindi smettere di demonizzare tali piante e sostanze, per impegnarci piuttosto a studiarne e informarne sugli aspetti e sulle potenzialità,  oltre che a sperimentarne gli effetti in prima persona nei contesti e  modalità opportuni. Va cioè affermata la libertà di scelta terapeutica e la ripresa degli studi scientifici in materia, avviata da qualche anno soprattutto nel mondo anglosassone, ma anche in Spagna, Olanda, Repubblica Ceca, Israele, Svizzera.

C’è poi un altro punto cruciale che affiora ripetutamente: sono le “piante maestre” ad aprirci le porte a quella parte di realtà a cui non si può accedere da uno stato “ordinario”. Non a caso, per alcuni popoli tradizionali, la “vera” vita è quella vissuta nel sogno, mentre la vita “reale” altro non è che un’ombra del sogno. Il tabacco, per esempio, è considerato la pianta che apre la mente, mentre l’ayahuasca è tradizionalmente riconosciuta essere quella che apre il cuore. Insieme, le due piante sono tra i principali “maestri della foresta” da cui poter trarre grandi insegnamenti.

Concezioni, o piuttosto “visioni”, che possono senz’altro aiutare l’umanità e che quindi meritano di essere valorizzate proprio all’interno del cosiddetto “progresso” occidentale, evitando però di puntare al profitto e/o di cannibalizzarle senza scrupoli. Ovvero:

Sradicare l’uso della pianta dal contesto curativo tradizionale si rivela una scelta pericolosa, come è avvenuto quando il tabacco, da pianta in uso per cerimonie collettive a beneficio della comunità, è diventato una maledizione collettiva.

Contesto e cerimonie da salvaguardare e rispettare per affermarne così i benefici complessivi. Lo ribadiscono le storie vissute dalla stessa autrice, oltre che da alcuni amici e colleghi (incluse nella prima sezione di ciascun capitolo) a riprova del concreto aiuto psico-terapeutico offerto dalla medicina tradizionale e naturale. A conferma non manca una panoramica sulle prime indagini scientifiche degli anni ’60 e soprattutto sul recente revival della medicina naturale e ancor più di quella psichedelica (pur se ancora illegale).

Questo tipo di panoramica interessa la seconda sezione di ogni capitolo, inframezzata da dettagli sulle rispettive proprietà botaniche e farmacologiche, sugli utilizzi terapeutici e sugli effetti psicotropi delle singole piante (o derivati) presi in esame. Interessante il capitolo 4, dedicato a “Le vie dell’estasi” promesse dalla cannabis e  dall’oppio, dove si propone una rigorosa seppur confusa disamina storico-culturale e trova spazio anche “la papagna: la cura italiana con l’oppio”:

….alcuni fanno risalire l’apparizione della pianta nell’Italia Meridionale [risale] a 8000 anni fa, altri ancora parlano di oscuri preparati chiamati “eroine” apparsi nelle farmacie degli anni Venti. La papagna vera e propria, in quanto infuso tradizionale preparato in casa, è però un mistero che si va scoprendo via via tra paesini e villaggi del Salento.

Il percorso prosegue avventurandosi sul “sentiero Bwiti”: l’esperienza legata alla “visione di morte e rinascita” che ha luogo durante il rito con l’iboga in questa comunità dell’Africa subsahariana. Ambito in cui si segnala l’impegno del dottor Antonio Scarpa (1903-2000), al quale è tra l’altro dedicato il Museo di Etnomedicina nella facoltà di Scienze antropologiche dell’Università di Genova. Una buona sintesi dei suoi  studi sul campo in 55 anni di attività è il volume Pratiche di Etnomedicina (1988). Non mancano le citazioni anche per Giorgio Samorini, uno dei primi occidentali a essere iniziato al culto Bwiti negli anni ’60, pur se relegate per lo più nelle note e nei rimandi alla ricca documentazione del suo sito web.

Analoghi riferimenti a professionisti nostrani emergono anche nel capitolo finale, dedicato invece alle sostanze di sintesi, cioè Mdma e Lsd. È il caso dello psichiatra Emilio Servadio (1904-1995): «….attratto dalle modificazioni della coscienza ordinaria prodotte dal sogno, dall’ipnosi, dalla trance, dalle pratiche yogiche o dall’assunzione di LSD. …. utilizzò la psilocibina e l’LSD sia per un ciclo di sperimentazioni personali, sia nell’ambito della ricerca parapsicologica, nonché all’interno del setting analitico».

Riferimenti questi importanti per ribadire che  il nostro Paese non è stato (e non è), come sembrerebbe a prima vista, il fanalino di coda in questi campi di ricerca né dell’attuale impulso verso la rivisitazione delle scienze della mente in senso lato, psichedelia in primis. Forse proprio in questa sorta di “rivelazioni” per il pubblico generalista – insieme al rigoroso piglio scientifico, confermato dall’obbligatorio paragrafo di ciascun capitolo intitolato “Che cos’è e che cosa cura” – sta il merito maggiore del libro di Tania Re. Con gli aneddoti e i racconti personali ad arricchire le conoscenze di base sull’intero scenario delle “piante maestre”, come stimolo per chi vuole saperne di più e, perché no?, sperimentarle in prima persona con le opportune accortezze.

Dispiace solo notare una certa fretta in svariati passaggi descrittivi, soprattutto rispetto agli annessi scenari socio-culturali (liquidando, ad esempio, la controcultura a cavallo degli anni ’60-’70 come “cultura hippie”) e la necessità di una maggior cura redazionale per valorizzare la stesura di taglio divulgativo. Pur se, com’è ovvio e come chiude lo stesso capitolo introduttivo, il libro è dedicato non solo (o non tanto) agli “addetti ai lavori”, si tratta comunque di contributo stimolante per rilanciare questo tipo di informazione e ricerca anche nel nostro Paese. Non ultimo perché, citando un curandero amazzonico interpellato dall’autrice: «le piante mi hanno chiesto di aiutare l’umanità, e l’umanità è Una».

]]>
2384
Michael Pollan ci riprova, tra oppio, caffè e…mescalina! https://www.psycore.it/michael-pollan-ci-riprova-tra-oppio-caffe-e-mescalina/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=michael-pollan-ci-riprova-tra-oppio-caffe-e-mescalina Sat, 24 Jul 2021 15:13:49 +0000 https://www.psycorenet.org/?p=2314 Leggi tutto]]> A tre anni di distanza dal suo ultimo bestseller internazionale, How To Change Your Mind, di cui è in lavorazione la mini-serie per Netflix, Michael Pollan torna in libreria con il sequel This Is Your Mind On Plants: indagine a tutto campo sugli effetti di tre piante/sostanze psicoattive, assai diverse tra loro ma usate variamente dall’Homo Sapiens fin dalla notte dei tempi: oppio, caffè e mescalina.

Michael Pollan 2021Come si legge di primo acchitto nell’introduzione, si tratta dell’ultima “indagine personale” di un percorso avviato dall’autore oltre 30 anni fa per indagare al meglio il rapporto tra noi stessi e il mondo naturale in senso lato, dalle incursioni culinarie in vari ambiti e Paesi alle contaminazioni culturali alle nuove frontiere della consapevolezza umana e sociale.

Premesso che il nostro è un giudizio totalmente indipendente, come l’intero progetto-network di Psy*Co*Re, il libro interessa solo parzialmente il nostro ambito e presenta le sue brave luci e ombre. Soprattutto il lettore scafato, o chi prevedeva un approfondimento del precedente lavoro puntato a svelare la “psichedelia per le masse”, resterà deluso. Chi è invece alle prime armi o mosso dalla curiosità, probabilmente si farà prendere dalla trama avvincente e potenzialmente ideale per una sceneggiatura cinematografica, come per i libri precedenti di Pollan.

D’altronde ormai sul tema il materiale online, sempre fresco e assai variegato, non manca affatto, grazie anche alla forzata conversione in streaming di convegni ed eventi vari. Qui di psichedelici se ne parla poco, appunto, solo nella terza sezione dedicata alla mescalina, puntando piuttosto a un obiettivo più ampio, sempre nel contesto generale di cui sopra. Ovvero: dato che da sempre gli esseri umani usano (e useranno) “droghe” di varia natura, è bene venirne a patti e limitarne gli effetti negativi. Ribadendo il fallimento globale della War on Drugs, e la necessità di pianificare i possibili scenari successivi, cioè la Peace On Drugs.

Posizione  d’altronde in piena sintonia con il mutato clima culturale (in Usa soprattutto) e la volontà dei cittadini, puntellata da prestigiose testate scientifiche e da vari movimenti politici, E ribadita dallo stesso Pollan nelle prime apparizioni nei talk show TV (a parte gli ovvi riflettori sulla caffeina), in un lungo ma godibile podcast-intervista con Tim Ferris e soprattutto nel recente editoriale sul New York Times. Dove il suo messaggio si fa ancora più chiaro:

Dopo mezzo secolo speso a fare la guerra alla droga, gli americani sembrano pronti a chiedere la pace. Le elezioni del 2020 hanno fornito numerose prove del fatto che gli elettori hanno superato i politici nel riconoscere sia i fallimenti della War On Drugs sia il potenziale di alcune sostanze illecite come potenti strumenti di guarigione.

Qui Pollan mette a fuoco la relazione sempre più disfunzionale con le “droghe”, particolarmente nell’Occidente moderno, chiedendosi il perché di questo amore-odio e come mai la nostra cultura, così avanzata per tanti aspetti, continui a negare il desiderio universale di alterare la mente/psiche, per lucchettarlo invece dietro leggi e convenzioni, tabù e ansie collettive.  E lo fa da par suo: stile divulgativo e preciso, ampio contesto storico-culturale, fact-checking rigorosissimo. Oltre che mettendoci la faccia e sperimentando in prima persona, come già per psilocibina, Dmt e ayahuasca (con l’assistenza di guide esperte) nel libro precedente. Qui descrive minuziosamente quanto gli succede quando pianta i papaveri da oppio nel suo giardino, stacca a freddo (per tre mesi) l’uso-dipendenza dal caffè, ingerisce prima la mescalina sintetica e poi partecipa a una cerimonia con il cactus San Pedro.

Peccato che però il tutto sembra in buona parte il rifacimento di storie già raccontate: il capitolo sull’oppio ripropone l’integrale del long read apparso sul mensile Harper’s nel lontano aprile 1997, con l’aggiunta delle parti allora tagliate perché legalmente rischiose e un commentario a spiegazione del tutto; quello sulla caffeina non e altro che una rielaborazione dell’audiobook dedicato allo stesso tema, uscito nel gennaio 2020; solo la sezione sulla mescalina è materiale originale, ma la trama e le sperimentazioni descritte ricalcano quanto già letto in How To Change Your Mind, chiudendosi poi del tutto bruscamente. Vale dunque la pena di addentrarci meglio in quest’ultima sezione, anche perché compete più direttamente al nostro spazio/progetto.

Rispondendo in parte a certe critiche che ritenevano la sua visione del revival psichedelico eccessivamente sbrigativa ed entusiasta, tesa alla ipermedicalizzazione ed enfaticamente consumista-capitalista, stavolta Pollan dedica ampio spazio all’aspetto ritualistico delle cerimonie dei nativi con il peyote. Suggerendo, per estensione, come tali pratiche siano importanti anche per gli occidentali moderni che vi si avvicinano per vari motivi, pur con i necessari aggiustamenti e tenendo fermo il contesto terapeutico monitorato da professionisti qualificati.

Una posizione più sfumata che trova espressione nel lungo racconto che apre questo capitolo, dedicato alla storia e alle attività della Native American Church (NAC), partendo dall’assunto che «il peyote è uno ‘psichedelico’ relativamente oscuro per la cultura occidentale», ovvero l’ignaro americano medio bianco. Al quale è chiaramente diretta la successiva sintesi, visto che ci si guarda bene dall’insegnarla a scuola, sulle origini della NAC intorno al 1880: «nel momento in cui la civiltà dei nativi americani stava per essere sterminata….le cerimonie con il peyote fecero molto di più per guarire le ferite provocate da genocidio, colonialimso e alcolismo di qualsiasi altro rimedio». Incluso il fallimento dell’altro movimento “salvifico” indigeno, la Ghost Dance, durato meno di un paio d’anni e chiuso tragicamente con il massacro di Wounded Knee nel dicembre 1890.

Dopo aver ulteriormente dettagliato questi percorsi storici (e/o ripulitosi la coscienza, a seconda dei punti vista), Pollan descrive il tentativo di saperne di più sulle cerimonie odierne: il “roadman” Navajo settantenne che alla fine riesce a incontrare personalmente nel maggio 2020, districandosi tra le restrizioni dovute al Covid, nella Diné Nation in Arizona, pur con tutto il rispetto, non nasconde la sua diffidenza per i bianchi e gli risponde picche:

Per tutte queste informazioni che vorresti, a me cosa ne viene? Questo è il dilemma che ho a parlare con te. Se divulgo troppi dettagli sull’importanza del peyote, su come funziona, sull’efficacia dei suoi effetti curativi, poi ne scriverai qualcosa che alimenterà la curiosità di questa ‘gente psichedelica’. … Questa pianta ci è stata data per le nostre necessità. Dobbiamo tutelarla per i nostri figli e nipoti, per un futuro in cui ne avremo ancor più bisogno per sopravvivere. Abbiamo imparato a essere molto protettivi con la nostra medicina.

Incassato il colpo, Pollan non si dà per vinto e raccoglie comunque qualche informazione da “insider” tramite altri contatti via Zoom, per poi sottolineare l’impegno degli attivisti di Decriminalization Nature da una parte, e della Indigenous Peyote Conservation Initiative, dall’altra, i cui obiettivi non sempre collidono. Da qui passa in veloce rassegna alcuni illustri occidentali attirati dalla mescalina, da Artaud ad Huxley da Shulgin a un rabbino locale, i quali non esitano a definirla “il re dei materiali [psichedelici]”.

Tutto ciò (e molto altro) come preludio alle sue esperienze personali al riguardo. La prima dovuta a due capsule di mescalina solfato, procurategli da un amico fidato, grazie alla «alla economia del dono che è molto presente nella comunità psichedelica» (la scoperta dell’acqua calda?). La seconda in un’apposita cerimonia  collettiva basata sul cactus San Pedro, anzi Wachuma, come viene chiamato nella tradizione peruviana da tempo abbracciata e praticata da “Taloma”, nome fittizio della officiante locale che si appresta a tenere tale cerimonia. Ma prima l’emergenza Covid e poi quella parallela dovuta agli incendi che colpiscono quell’area della California settentrionale, costringono all’ennesimo rinvio. Che fare?

Alla fine si organizza comunque un evento con 6-7 persone, test anti-Covid, mascherine e “social distance”, inclusivo di setting ideale e ben pianificato, set/intenzione esplicitati dai singoli e gli altri accorgimenti del caso. Nel libro viene minuziosamente descritta anche la preparazione tè di Wachuma (pur rimanendo pratica illegale, diversamente dalla pura coltivazione del cactus), come anche la precisa quantità e la disposizione dei tanti oggetti presenti sull’altare (impossibile da ricordare, forse li avrà fotografati con l’iPhone?). E nelle ultime dieci pagine si illustra, altrettanto accuratamente, quanto avviene nel corso di questa cerimonia curativa sui generis. Senza svelare nulla, diciamo solo che una sorta di “bad trip” se lo becca la moglie di Pollan, la malcapitata ma consapevole Judith (che era anche stata la sitter nella precedente “viaggio” di Pollan con la mescalina solfato, zeppa di rimandi a quanto descritto da Huxley nel 1954 in Porte della Percezione)

Peccato però che quest’ultima non abbia voce in capitolo, limitandosi a chiedere scusa agli altri, la mattina successiva, «per tutto il dramma di ieri notte»: l’intera situazione ci viene descritta solo dalle parole dell’autore. Né è dato sapere se poi ci sia stata una qualche tipo di integrazione o discussione post-cerimonia, quantomeno a livello privato. Passaggio questo sostanziale dell’intero processo e applicato, come è oramai ben noto, sia nei test clinici sanzionati ufficialmente sia nella sessioni terapeutiche underground coadiuvate dagli psichedelici. Poteva anzi essere un esempio concreto della ricodificazione occidentale di certi rituali dei tempi andati oppure applicati oggi dalle popolazioni indigene, come pure di quei possibili scenari da Peace on Drugs menzionati più volte nelle pagine precedenti. Sicuramente Pollan avrà avuto i suoi buoni motivi per aver tralasciato del tutto questa fase, ma sembra un’occasione persa.

Si spera solo che la dedica del libro alla stessa Judith («per aver condiviso il tragitto») sia stata sufficiente per ripagarla di quest’inusitata esperienza. E chissà, prima o poi qualche reporter vorrà farle un’intervista per dar spazio anche alle sue riflessioni nel contesto generale. O, perché no?, ne scriverà un saggio tutto suo, oppure una nuova mini-serie su Netflix.

Scherzi a parte, va detto che, proprio rispetto al potenziale sdoganamento degli psichedelici, Pollan boccia l’attuale modello delle legalizzazioni locali (in Usa) della cannabis, in libera vendita (ai maggiorenni) nei dispensari e online. Va invece preferito invece l’approccio più controllato, leggasi terapeutico: «Psilocibina e MDMA possono entrare nella società tramite il processo, già in corso, dell’approvazione da parte della Food and Drug Administration, e nel giro di qualche anno saranno disponibili come coadiuvanti della psicoterapia» (sempre in Usa).

Nel complesso, dunque, il target di Pollan, resta quel mainstream che già nel 2018, dopo averlo seguito nelle avventure cultural-culinarie del mondo, lo ha catapultato sulla scena psichedelica (e anche stavolta, abbondano di già le recensioni “positive”). Facendo variamente da ponte tra l’ambito terapeutico e il fronte degli attivisti, oltre che ammiccando ai legislatori e alla nascente imprenditoria di settore. E ampliando la conversazione, stavolta vi aggiunge una buona dose di pragmatismo per arrivare a un approccio più sensato all’intera questione “droghe” – meglio, sostanze dai vari effetti che vanno, appunto, dal caffè alla mescalina. Nulla di particolarmente originale o di innovativo, anzi, ma segnali importanti in questa fase storica, a partire dagli Usa, non ultimo perché ovviamente Pollan ha un ampio seguito mediatico e sa parlare al cosiddetto pubblico di massa.

Infine, pur se il volume hardcover consta di appena 250 pagine con interlinea generoso, escluse bibliografia e indice analitico, il prezzo ufficiale è di ben 28 dollari, mentre il paperback in arrivo sarà di 100 pagine in più e in formato grande, forse con l’aggiunta di foto, ma costa addirittura 30 dollari (senza gli sconti di Amazon.com e altri siti). Ulteriore tassello, voluto, c’è da scommetterlo, dal gigante editoriale Penguin Random House a sostegno di un’ampia operazione di marketing.

]]>
2314
Il sacrosanto diritto alla salute mentale e alla coscienza alterata https://www.psycore.it/il-sacrosanto-diritto-alla-salute-mentale-e-alla-coscienza-alterata/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-sacrosanto-diritto-alla-salute-mentale-e-alla-coscienza-alterata Wed, 01 Jul 2020 04:45:03 +0000 https://psycorenet.org/?p=1105 Leggi tutto]]> Doblin/Reason_7_20Il numero di luglio di Reason, mensile dell’ala libertariana americana, propone un ampio profilo-chiacchierata con Rick Doblin, factotum della Maps (Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies). Uscita mirata a dare impeto alla nuova raccolta-fondi appena lanciata dalla stessa Maps:  30 milioni di dollari per chiudere la terza fase, ora condotta in varie cliniche tra Nord-America e Israele, dei test clinici per approvare l’Mdma come coadiuvante nella psicoterapia per il trattamento del disturbo post traumatico da stress (Dpts). In particolare, è in corso la MAPS Capstone Challenge: raccogliere tramite donazioni pubbliche 10 milioni di dollari entro fine settembre per “sganciare” così un’analoga somma già promessa da un gruppo di filantropi americani. Una vera e propria “sfida” organizzata da Tim Ferriss, noto scrittore e produttore di podcast, e Joe Green, co-fondatore del Psychedelic Science Funders Collaborative.

Tra i diversi spunti meriteveli di quest’ampia (e caldamente consigliata) chiacchierata senza veli, c’è la questione cruciale che gli psichedelici non vanno presi (in senso lato) alla leggera. Va cioé chiarita e compresa questa dicotomia relativa agli enteogeni, tra l’uso ricreativo e la medicina per la mente. Precisa Doblin:

Credo che la gente abbia il fondamentale diritto umano di modificare il proprio stato di coscienza. Quando parlamo di libertà d’espressione o di religione, quello che si sottende in fondo è la libertà di pensiero. Gli psichedelici sono un buon esempio della libertà di pensiero che dovremmo avere.

Al contempo, quando li si assume a scopo ricreativo per avere puramente esperienze positive, se dovesse emergere qualcosa di difficile può diventare una situazione pericolosa. Se lo sopprimiamo, andrà ancora peggio. Perciò un aspetto di quest’esperienza comporta lavorare su se stessi.

Uno dei nostri slogan portanti è che difficile non vuol dire brutto. Molte volte, quando si punta a un’esperienza ricreativa e invece emergono situazioni difficili, diciamo: ‘È un bad trip, un brutto viaggio’. In realtà si tratta anche di un’opportunità. Quindi l’attuale medicalizzazione è una strategia per ampliarne al massimo l’accesso e arrivare alla salute mentale di massa.

Altro punto cruciale è il rapporto rischi-benefici, almeno per come viene percepito oggi nel contesto di una maggore accettazione (innanzitutto a livello culturale) di queste sostanze. Ecco ancora Doblin:

Dobbiamo stare attenti a non esagerarne i benefici o a minimizzarne i rischi. …  Cerchiamo di essere chiari sul fatto che gli psichedelici non si addicono a tutti. Non sono una panacea. Non è una cura o una singola dose miracolosa. In realtà stiamo parlando di psicoterapia.  Non è che basta buttar giù una pillola per risolvere tutto. Ciò tranquillizza, perché la gente capisce che l’esperienza avviene in un ambito terapeutico.

Il modo migliore di considerare le sostanze psichedeliche è pensarli come degli strumenti. Non sono buoni o cattivi in quanto tali. Tutto sta nel modo in cui li usiamo. Il punto sta nella relazione che abbiamo con loro.

Rispetto infine al futuro, ovvero all’obiettivo di una salute mentale autogestita a cui sostanzialmente punta l’intera operazione degli psichedelici terapeutici, Dobin appare decisamente positivo:

Sono molto ottimista. Quest’idea di unificazione, di un aspetto mistico partecipato, di un’umanità condivisa e una spiritualità globale – ciò innesca anche un maggior livello di individualità. A volte si pensa che parlando di spiritualità globale o di esperienze mistiche condivise, ogni differenza debba sparire all’istante. Credo invece che funzioni in entrambe le direzioni.  Più riusciamo ad afferrare quel che ci accomuna, e più possiamo apprezzare quelle differenze che ci rendono unici.

]]>
1105
Il mainstream ci (ri)prova con gli psichedelici https://www.psycore.it/il-mainstream-ci-riprova-con-gli-psichedelici/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-mainstream-ci-riprova-con-gli-psichedelici Wed, 10 Jun 2020 05:23:42 +0000 https://psycorenet.org/?p=893 Leggi tutto]]> Psichedelia Oggi“Solitudine, incertezza e angoscia dovuti alla pandemia possono intensificare una crisi mentale già acuta, e in Usa si registra un +20% nelle ricette per ansiolitici e antidepressivi durante la quarantena. Nel Regno Unito la domanda per questi medicinali minaccia di superare l’offerta, dopo aver già registrato oltre il doppio di prescrizioni mediche nell’ultimo decennio”.

Così apre sul Guardian un articolo di Robin Carhart-Harris, responsabile del Centre for Psychedelic Research all’Imperial College di Londra e da 15 anni in prima fila nella ricerca sull’uso terapeutico degli allucinogeni, in particolare la psilocibina per casi di depressione cronica e/o resistente ad altri trattamenti. Il quale prosegue spiegando che i tipici antidepressivi SSRI (gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) spesso sono soltanto dei pallativi e provocano pesanti effetti collaterali, mentre la terapia psichedelica offre un pacchetto ben più articolato ed efficace.

Segnalando poi il referendum previsto a novembre in Oregon per avviare servizi medici basati sulla psilocibina come utile strumento anche per unificare il variegato fronte psichedelico, Carhart-Harris ricorda lo “stigma che colpisce tuttora sia queste sostanze che la salute mentale”. E chiude sottolineando che queste terapie possono offrirci le stesse importanti lezioni emerse per molti durante la quarantena: “espansione della coscienza e ritmi di vita rallentati, contemplazione della propria e altrui impermanenza, apprezzamento per cura, amore e vita”.

Un sentito e qualificato invito a spingere gli enteogeni verso il mainstream, a partire proprio dalle applicazioni delle ultime indagini scientifiche. È quanto conferma un recente intervento su Science Times che sintetizza i risultati di test clinici con i “funghetti magici”. La psilocibina ivi contenuta sembra innescare bassi livelli di glutammato nell’ippocampo, portando così alla dissoluzione dell’ego in senso altruistico e positivo. Da qui le ulteriori potenzialità nel trattamento di disturbi mentali caratterizzati dalla distorsione dell’esperienza del sé. Promesse che diventeranno realtà “quando gli esperti potranno comprendere e conoscere meglio il modo in cui queste sostanze operano a livello neurochimico”.

Analogo rilancio propone addirittura la maggiore testata nostrana, Repubblica, pur se risalente al dicembre scorso e riapparso sui social media in questi giorni forse sempre rispetto al quadro post-pandemia. Segnalando lo studio clinico di fase 1 curato dagli psichiatri del King’s College di Londra, l’articolo spiega che “a ottantanove volontari sono state date dosi di psilocibina o placebo e chi ha assunto la sostanza ha avuto previste esperienze psichedeliche tra cui allucinazioni, euforia e stati d’animo alterati, ma senza effetti negativi sul funzionamento cognitivo o emotivo”. Un primo ma importante passo anche per i quasi tre milioni di italiani che soffrono di depressione.

Questi non sono altro che alcuni esempi freschi della maggiore attenzione che l’ambito mainstream va dedicando alla ricerca scientifica nel campo (e annesse dinamiche cultural-politiche).  Segnale indubbiamente positivo. Attenzione però al rischio della rapida commercializzazione, anche a livello d’informazione, suggerendo la creazione di sostanze “su misura” o immaginando una pillola magica capace di risolvere al volo condizioni complesse e pregresse. Mentre l’intera esperienza psichedelica (il cosidetto ciclo di morte e rinascita) è un processo polivalente e basilare lungo il percorso di vita individuale e collettivo, inclusa la fase dell’integrazione successiva. Niente scorciatoie, please.

]]>
893
Docu-film psichedelici tra ironia e (co)scienza https://www.psycore.it/492/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=492 Sat, 23 May 2020 17:19:32 +0000 https://psycorenet.org/?p=492 Leggi tutto]]> Docu-film psichedeliciLa rapida confluenza del rinascimento psichedelico nel flusso mainstream pone urgenti questioni etiche, imprenditoriali e culturali. Per non parlare dell’impegno a rendere comprensibili e accessibili i vari sviluppi legati alla ricerca scientifica. Un contesto a volte non semplice da integrare e sintetizzare in modalità accessibili a tutti. Il bello però è che il giro anglosassone sforna in continuazione “prodotti culturali” per tutti i gusti – dall’ampia attività letteraria alla valanga di siti e spazi online alle immancabili produzioni cine-TV. Ambito quest’ultimo in cui si pone senz’altro Have a Good Trip: Adventures in Psychedelics, appena sbarcato su Netflix.

Con lo scopo primario di intrattenere, ancor più che informare in dettaglio, si tratta in buona parte di una satira sulla propaganda antidroga diffusa in Usa negli anni ’70 e ’80, con ampi spezzoni d’archivio in bianco e nero. In maniera analoga a quanto accaduto ai filmati anti-cannabis che a metà anni ’30 venivano proiettati nelle scuole dell’intero Paese, come Reefer Madness o Marihuana, the Assassin of Youth. Parimenti spassose alcune delle avventure personali con “l’acido” raccontate da personalità del mondo dello spettacolo (molti divenuti psiconauti per caso), tra cui Sting, Anthony Bourdain, Sarah Silverman, Carrie Fisher, Ben Stiller, più vari rapper e comici noti soprattutto in Usa. 

Non mancano ovviamente le riflessioni interessanti e i suggerimenti importanti, soprattutto rispetto alle centralità del set e setting nell’esperienza psichedelica, oltre ad accorgimenti vari per evitare il bad trip. Questo diventa anzi una sorta di mantra anche per rimarcare, giustamente, il titolo-obiettivo del docu-film: Have a Good Trip. A complemento del tutto abbondano le intriganti animazioni (reminiscenti del Magical Mistery Tour dei Beatles psichedelici) e gli immancabili mandala iper-colorati in turbinio continuo. Pur se la critica ne segnala le ovvie mancanze, è una produzione mirata per lo più ai giovanissimi e a chi ne sa poco. Come pure a chi vuole soltanto rilassarsi e divertirsi cavalcando l’odierno revival degli allucinogeni, ma senza affatto sottovalutarne le potenzialità a livello terapeutico – sintetizzate negli interventi del Prof. Charles Grob, titolare del gruppo di ricerca sulla psilocibina per il trattamento dell’ansia nei malati terminali di cancro, condotti negli anni scorsi presso lo UCLA Medical Center.

È invece centrato proprio sul benessere psicofisico e sulla ricerca interiore tramite gli psichedelici un altro importante progetto video (ma non solo) al via in questi giorni online: The Way of the Psyconaut. È un documentario centrato sulla vita e sull’impegno professionale di Stanislav Grof, psichiatra di origini ceche trapiantato in Usa, ricercatore nel campo degli stati di coscienza non ordinari e pioniere della psicoterapia coadiuvata dagli allucinogeni fin dagli anni ’60 (quando l’Lsd era legale). Un percorso che man mano lo ha portato alla formulazione della psicologia transpersonale, insieme ad Abraham Maslow, Charles Tart e altri ricercatori dei primi ’70, e poi della respirazione olotropica, insieme alla prima moglie Christina.

Già definito il “padrino dell’Lsd” da Albert Hofmann, il chimico svizzero che per primo lo sintetizzò nel 1943, a 90 anni Grof è un’autorità del settore e le sue interviste al centro docu-film confermano la validità di queste nuove tecniche e modalità per l’evoluzione della coscienza. Alle quali si devono in buona parte, fra l’altro, le ultime scoperte della scienza moderna: la fisica quantistica, la teoria dei sistemi, il pensiero olonomico. Grazie altresì alla convergenza di un approccio sempre più aperto e multidisciplinare, di cui fanno legittimamente parte neuroscienziati e filosofi, etnobotanici e antropologi, esperti di meditazione e spiritualità orientale, artisti e performer.

In anticipazione del lancio (su Vimeo) del progetto, curato dalla regista Susan Hess Logeais partendo proprio dalle sessioni avute con Grof per far fronte alla sua crisi esistenziale, sul relativo sito sono già disponibili alcune interviste con altri luminari, tra cui Fritjof Capra e Rupert Sheldrake. Programmati ulteriori livestreaming con vari protagonisti dell’odierno fronte psichedelico, inclusi Robin Cahart-Harris (Imperial College di Londra) e Rick Doblin (Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies). E l’estate scorsa la stessa Maps ha pubblicato i due volumi omonimi, con affollate presentazioni in Nord California, rilanciando ulteriormente l’eclettica comunità globale di praticanti e ricercatori.

Si tratta dunque di un’esplorazione a tutto campo negli stati non ordinari di coscienza, basato sui pilastri della psicologia e sulla profonda esplorazione personale, assumendo o meno sostanze “proibite”. A riprova del fatto che oggi l’arcobaleno psichedelico, pur ponendosi questioni inevitabilmente complesse, vuole rendere accessibili al massimo queste pratiche e conoscenze – in un calderone ribollente che abbraccia ironia, scienza e molto altro.

Articolo ripreso dalla rubrica Psichedelia Oggi su Legalizziamo.it.

]]>
492