Giuseppe Cazzetta – Psy*Co*Re https://www.psycore.it The Multidisciplinary Italian Network for PSYchedelic and COnsciousness REsearch Tue, 20 Jun 2023 03:05:42 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.8.2 https://i0.wp.com/www.psycore.it/wp-content/uploads/2020/04/cropped-Screen-Shot-2020-04-26-at-7.58.23-AM-1.png?fit=32%2C32&ssl=1 Giuseppe Cazzetta – Psy*Co*Re https://www.psycore.it 32 32 176450119 Etnobotanica 15: Tagetes Lucida: spezia o psicotropo? https://www.psycore.it/etnobotanica-15-tagetes-lucida-spezia-o-psicotropo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=etnobotanica-15-tagetes-lucida-spezia-o-psicotropo Thu, 15 Jun 2023 18:04:02 +0000 https://www.psycore.it/?p=3507 Leggi tutto]]> Tagetes Lucida La Tagetes lucida è stata impiegata dagli antichi Aztechi per la preparazione di un incenso rituale sacrificale chiamato yyauhtl che veniva soffiato sulle faccie dei prigionieri al fine di stordirli prima del rogo. Con la pianta fresca facevano infusi per alleviare diarrea, singhiozzo ed esternamente come lozione per bruciature. Veniva considerata la rappresentazione di Xochipilli, il dio delle piante psicoattive.
Fra i vari ritrovamenti, è stato rinvenuto un vaso di ceramica risalente al periodo classico Maya che raffigura un fiore giallo a cinque petali molto simile alla pianta, i loro sacerdoti ne facevano un te sacro per le divinazioni noto come balchè. I Mixe, i nativi dello stato nord-occidentale messicano di Oaxaca, preparano ancora oggi un infuso simile con nove fiori [1].

Trattasi di una delle piante più sacre per i nativi di Messico ed America Centrale che la conoscono con tanti nomi diversi: yauhtli, pericón, Saint Miguel, mangy, flor de Santa María e yerba anís per l’aroma simile all’anice. Viene usata come spezia, ornamento cerimoniale e medicina.

In base a quanto riportano gli Huicholes, renderebbe il fumo di tabacco più gentile sulla gola e induce uno stato caratterizzato da quiescienza, nausea, vomito e visioni ad occhi chiusi simile all’intossiccazione da peyote. La sessioni di fumo accompagnano spesso l’ingestione di peyote, fermentati alcolici locali e distillati a base di cactus che rendono le visioni molto più intense [3].

Ancora oggi viene indicata nella medicina popolare Messicana contro insonnia, debolezza, scarsa libido, reumatismi, prurito, crampi addominali, disturbi gastrici, coliche, ulcere, dolori muscolari, febbre, raffreddore, morsi di serpente e per la produzione di latte. Viene bruciata inoltre come incenso cerimoniale. In Argentina bevono il decotto di foglie come antitussivo e lo applicano localmente per repellere gli insetti [2]. Durante la colonizzazione spagnola sembra sia stata usata per curare i malati di mente.

POTENZIALITA’ PSICOTROPE
Circola parecchia disinformazione sulle potenzialità allucinogene di questa pianta: alcuni sostengono che contenga delle sostanze simili all’LSD, altri dei terpeni neoclerodanici come la salvinorina della Salvia divinorum.

La seconda teoria è molto diffusa e si deve a Christian Ratsch che, nella nota Encyclopedia of Psychoactive Plants: Ethnopharmacology and Its Applications (2005), segnala come queste sostanze salvinoriniche siano presenti in tutte le specie di Tagetes sebbene non siano ancora state identificate con precisione. Ad oggi non c’è assulutamente niente che ne suggerisca la presenza, essendo stati isolati soltanto dei diterpeni monociclici dalla Tagetes minuta di cui sono note solo le potenzialità citotossiche [3].

Quindi il “dragoncello messicano” è solo una aromatica da cucina? A parte che quasi tutte le spezie hanno importanti proprietà farmacologiche e molte anche psicotrope, anetolo ed estragolo, i principali composti dell’olio essenziale, sono noti per le loro potenzialità intossicanti ed ipnotiche [4]. Il β-cariofillene, anch’esso presente nella frazione volatile, è un potente agonista selettivo per il recettore CB2 dei cannabinoidi, nei test antinocicettivi ha mostrato di influenzare anche recettori benzodiazepinici, oppioidi e parzialmente anche i 5-HT1a della serotonina [5]. Anche l’estratto etanolico e due cumarine isolate (quercetagritina e dimetilfraxetina) hanno ridotto il dolore delle cavie modulando l’attività dei recettori oppioidi e 5-HT1a [6].

In un esperimento recente la dimetilfraxetina  ha espresso effetti sedativi modulando la trasmissione GABA e serotoninergica, l’ernianina, un’altra cumarina della pianta, ha mostrato invece effetti bifasici potenziando la catalessi indotta dall’aloperidolo alle basse dosi ma bloccandola completamente alle alte in maniera simile alla caffeina. Gli estratti di Tagetes lucida e queste cumarine hanna inoltre contrastato gli effetti psicotici della ketamina influenzando il sistema del glutammato mediante la probabile interazione con i recettori D2 della dopamina, riducendo l’iperlocomozione delle cavie e i comportamenti stereotipati [7].

In un altra ricerca ha ridotto le attività ambulatorie ed esploratorie dei topi in diversi modelli agendo sul GABA e, in misura maggiore, sul recettore 5-HT1a della serotonina [8]. Gli effetti antidepressivi evidenziati nei test di test di nuoto forzato sono mediati dall’interazione con i recettori 5-HT1a e -HT2a della serotonina [9]. Questi dati farmacologici potrebbero suggerire una qualche potenzialità psichedelica, ma i dati aneddotici non supportano questa possibilità. Piuttosto un semplice effetto sedativo.

FITOCOMPLESSO

Terpenoidi: β-cariofillene, ossido di cariofillene, tagetone A, tagetone B, diidrotagetone, nerolidolo, β-ocimene, germacrene B, spatulenolo, mircene;

altri composti aromatici: estragolo, anetolo, metileugenolo, linalolo;

cumarine: 7-O-prenilscopoletina, 7-O-prenilossicumarina, scoparone, dimetilfraxetina, erniarina, quercetagritina, umbelliferone, 7-O-prenilumbelliferone,dafnetina, isoscopoletina, esculetina, scopoletina, esculina;

flavonoidi: quercetina, patuletina, rutina, isoramnetina, quercetagetina, naringenina, campferolo, α-tocoferolo, isoquercitrina, apigenina, gardenina B, tangeretina;

lignami: medioresinolo;

acidi idrossicinnamici: acido caffeico, tartarico, gallico;

E’ una delle fonte più pure di estragolo, nell’olio essenziale estratto dai fiori coltivati in Costa Rica la concentrazione è arrivata fino al 97% [10].

FONTI

1)Christian, Ratsch. “The encyclopedia of psychoactive plants: ethnopharmacology and its applications.” (1998).

2)Siegel, R. K., P. R. Collings, and J. L. Diaz. “On the use of Tagetes lucida and Nicotiana rustica as a Huichol smoking mixture: The Aztec” yahutli” with suggestive hallucinogenic effects.” Economic Botany (1977).

3)Baker, Graeme. “Garden of Eden: the Shamanic use of psychoactive flora and fauna and the study of consciousness.” Australian Journal of Medical Herbalism 22.3 (2010).

4)Ibrahim, Sabrin Ragab Mohamed, and Gamal Abd Allah Mohamed. “Tagetones A and B, new cytotoxic monocyclic diterpenoids from flowers of Tagetes minuta.” Chinese journal of natural medicines 15.7 (2017).

5)Marinov, Veselin, and Stefka Valcheva-Kuzmanova. “Review on the pharmacological activities of anethole.” Scripta Scientifica Pharmaceutica 2.2 (2015).

6)Hernandez-Leon, Alberto, et al. “Role of β-caryophyllene in the antinociceptive and anti-inflammatory effects of Tagetes lucida Cav. essential oil.” Molecules 25.3 (2020).

7)González-Trujano, María Eva, et al. “Identification of some bioactive metabolites and inhibitory receptors in the antinociceptive activity of Tagetes lucida Cav.” Life sciences 231 (2019).

8)Porras-Dávila, Sandra Liliana, et al. “Herniarin, Dimethylfraxetin and Extracts from Tagetes lucida, in Psychosis Secondary to Ketamine and Its Interaction with Haloperidol.” Plants 11.20 (2022).

9)Pérez-Ortega, G., et al. “Tagetes lucida Cav.: Ethnobotany, phytochemistry and pharmacology of its tranquilizing properties.” Journal of Ethnopharmacology 181 (2016).

10)Bonilla-Jaime, H., et al. “Antidepressant-like activity of Tagetes lucida Cav. is mediated by 5-HT 1A and 5-HT 2A receptors.” Journal of natural medicines 69 (2015).

11)Cicció, José F. “A source of almost pure methyl chavicol: volatile oil from the aerial parts of Tagetes lucida (Asteraceae) cultivated in Costa Rica.” Revista de biología tropical 52.4 (2004).

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Fact-checking: Changa, l’invenzione di un occidentale??? https://www.psycore.it/changa-linvenzione-di-un-occidentale/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=changa-linvenzione-di-un-occidentale https://www.psycore.it/changa-linvenzione-di-un-occidentale/#comments Fri, 31 Mar 2023 08:56:42 +0000 https://www.psycore.it/?p=3433 Leggi tutto]]> Changa blendRiprendiamo l’attività dell’Osservatorio Media, ovvero il “fact-checking” della scena psichedelica, avviata tempo fa esaminando un articolo dedicato all’ayahuasca, occupandoci qui di DMT e changa – sostanze che al pari dell’ayahuasca nel tempo hanno dato vita a diverse “leggende urbane”. Stavolta anzi ad alimentarle non è solo la vulgata popolare bensì proprio quanti, sia in Italia che all’estero, vengono percepiti come dei veri “esperti”.

È il caso dell’australiano Julian Palmer, che sulla base delle sue conoscenze personali, della sua limitata esperienza personale e di materiale autoreferenziale da lui scritto si è autoproclamato “il padre della changa“. Dichiarando altresì di aver concettualizzato in chiave occidentale questo preparato che potremmo definire una “ayahuasca fumabile” come uno spinello, quindi con una “ritualità” conforme alla nostra matrice culturale.

A metterci in guardia però su questa affermazione fu già un intervento di Giorgia Gaia nel corso degli Stati Generali della Psichedelia in Italia del 2021, quando spiegò brevemente come su questo tema si fosse accesa una forte polemica sui forum specializzati e che in realtà Julian non ne era l’inventore ma sicuramente uno dei maggiori divulgatori. Partendo da qui abbiamo pensato di andare a fondo sulla questione cercando di fare ulteriore chiarezza.

La changa è la combinazione di DMT e betacarboline da fumare in una base vegetale secca, e per certi versi non è altro che una “enhanced leaf”, cioè del materiale vegetale infuso con principi attivi. Sarebbe come appropriarsi dell’invenzione del decotto o della tintura alcolica. In ogni caso, il concetto e la pratica di mischiare questi due ingredienti specifici e fumarli è antichissimo, sembra anzi risalire a prima dell’anno 2000 a.C.. Ad esempio, nei siti Inca di Cueva e Huachichocana in Argentina sono state ritrovate due pipe d’osso di puma e dei semi di Anadenanthera e Prosopis (un genere contente betacarboline). L’analisi del materiale ha individuato la presenza di DMT [AA, DISTEL. “Hallazgo de un sitio aceramico en la Quebrada de Inca Cueva.(Provincia de Jujuy) Découverte d’un site sans céramique du ravin de Inca Cueva (Province de Jujuy).” Relaciones 7 (1973): 197-235.].

A quanto pare esiste pure una polvere da fiuto tradizionale chiamata “changa” usata nelle tribù amazzoniche Quetchua e Shipibo, che consiste in foglie di Banisteriopsis caapi  (già presenti nel decotto dell’ayahuasca) polverizzate e mescolate con altre piante triptaminiche.

Spostandosi in occidente, non mancano i resoconti degli anni ’90 pubblicati sulla Entheogen Review che documentano il consumo di changa. Lo stesso Jonathan Ott, famoso etnobotanico, scrive di aver fumato il DMT infuso su foglia di caapi in quegli anni. Nella storica Psichedelics Encyclopedia di Peter Stafford, risalente al 1977 e ripubblicata nel 1993, vengono descritte diverse erbe infuse col DMT destinate ad essere assunte tramite combustione.

Nel suo libro Frammenti di un insegnamento psichedelico (Spazio Interiore, 2017) Palmer ribadisce di essere il creatore della changa. È assurdo pensare che sembri più plausibile che questa combinazione di due piante amazzoniche sia stata scoperta non dai nativi che le consumano da sempre, ma da un australiano nel 2000. Claim of fame del genere richiedono un’attenta verifica o si rischia proprio di riscrivere la storia in base a quanto dice tizio o caio.

A dire il vero anche altri editori nostrani hanno pubblicato con una certa disinvoltura testi che in realtà richiedevano revisioni importanti, vedasi Pharmako/Gnosis di Dale Pendell (Add, 2022), venduto come grimorio da non perdere ma che sottoposto a verifica ha generato più di 8 cartelle di errori e inesattezze, come abbiamo subito segnalato. Ovvio che il forte ritorno d’interesse verso i risvolti dell’universo “psichedelia” abbia generato simili rilanci anche nel Bel Paese, ma occorre stare attenti. E molto.

Oscar Wilde diceva: «Non c’è una seconda occasione per fare una buona prima impressione». È un peccato che anche certi ambienti della psichedelia globale perdano questa occasione del «far buona la prima». Un peccato ancor più grande se consideriamo la delicatezza dell’argomento. Segnalateci altri argomenti da sottoporre a verifica. Se vi sta a cuore l’argomento, non esitate a scriverci!

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Etnobotanica 14: Mandragora, magia e farmacologia https://www.psycore.it/etnobotanica-14-mandragora-magia-e-farmacologia/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=etnobotanica-14-mandragora-magia-e-farmacologia Tue, 10 Jan 2023 22:07:43 +0000 https://www.psycore.it/?p=3368 Leggi tutto]]> MandragoraMITO E STORIA

Il nome Mandragora deriva dal greco antico μανδραγόρας forse derivato dal persiano merdum gija, “pianta umana”, in riferimento alla forma antropomorfa. È una della più antiche e famose “piante magiche” del mondo, e nei miti delle varie culture svolge un ruolo ambivalente tra il benefico e il malefico.

Le illustrazioni dei fiori di loto (Nymphea sp.) ritrovate negli affreschi e nei papiri delle tombe in Egitto spesso comprendono anche immagini di mandragola, per esempio la tomba di Tutankhamon era raffigurato un faraone con due mandragore e una Nymphea in mano [1].
Il botanico e biologo americano William Emboden ha ipotizzato che che fossero utilizzati per indurre una trance sciamanica e nei rituali di cura [2].

Nel Medioevo si pensava che la morte stessa piantasse questa pianta e che prosperasse vicino alle forche dei supplizi dove si nutriva di sangue e dolore. Documenti dell’epoca riportano che nascesse dall’urina di un uomo ingiustamente impiccato per furto. Si credeva che portasse fortuna e prosperità ma potesse anche indurre alla follia se maneggiata in maniera impropria: veniva venduta come un amuleto molto prezioso ma era anche associata alla stregoneria e alle disgrazie [3].

Presso gli Anglosassoni aveva poteri magici contro le presenze demoniache e il suo odore le ripugnava, anche Apuleio nel suo Herbarium parla della possibilità di usarla negli esorcismi.

Il primo a menzionare una cerimonia d’estrazione specifica per questa pianta fu Teofrasto nella sua Historia plantarum: bisognava fare tre cerchi con una spada intorno alla mandragola, quindi si doveva scavare rivolti verso l’Ovest. Un altra persona nel frattempo doveva danzare in circolo e pronunciare delle formule afrodisiache.

Plinio raccomanda invece di evitare il vento in faccia durante l’operazione. Nel manoscritto di Anicia Iuliana c’è una miniatura di Heuresis, la personificazione della scoperta, che offre a Dioscoride una Mandragora tenendo un cane al guinzaglio. Quest’elemento animale proviene dai miti su altre piante magiche come il baaras di Flavius Josephus o l’aglaophotis di Claudius Aelianus e si è evoluto nella complessa procedura d’estrazione medievale.

In base a quest’ultima, i raccoglitori dovevano agire il giorno di Venere prima dell’alba dopo essersi tappati le orecchie con cotone e cera ponendosi controvento. Iniziavano facendo 3 cerchi con un tripode intorno alla pianta e marchiandola con una croce, poi la scavavano fino a lasciare soltanto una piccola appendice ad ancorarla al terreno. Infine legavano la radice ad un cane che la liberava sacrificandosi all’urlo letale della mandragola [4].

Le streghe preparavano il famoso “fliying ointment”, un unguento magico fatto con il grasso di un bambino (chiaramente questo dettaglio viene dall’immaginario della stregoneria, usavano molto probabilmente strutto o qualche altro grasso animale comune all’epoca), oppio, cannabis, aconito, cicuta, varie Solanaceae tra cui la mandragola ed altri ingredienti meno farmacologicamente importanti come ossa, serpenti e rettili velenosi, etc. Lo applicavano internamente nelle mucose (anale e vaginale) mediante una bacchetta, da qui è nato il mito delle streghe a cavallo di scope volanti [5].

Oltre alle proprietà chimiche anche la forma stessa della pianta ha contribuito a plasmarne il mito. Nel Medioevo si distinguevano due varietà: la maschio, Mandragora officinarum, e la femmina, Mandragora autumnalis, e si credeva che le radici avessero caratteristiche sessuali umane. Venivano disegnate come figure maschili barbute o come fanciulle con un cespuglio al posto dei capelli.

Trova posto anche tra gli ingredienti alchemici. John Parkinson, farmacista del re inglese Giovanni I, affermò che la radice della pianta fatta bollire per sei ore rendesse l’avorio malleabile come plastilina.

È stata usata da Annibale per avvelenare i nemici nella battaglia di Cartagine del 200 a.C., da Hua Tuo, il leggendario medico cinese che visse durante la fine della dinastia Han, per estrarre una frecca dal generale Guan Yu. dalla chiesa nell’inquisizione di Giovanna D’Arco nel 1431 d.C.
La radice viene impiegata da Circe per ammaliare i compagni di Ulisse nell’Odissea di Omero, nella famosa tragedia storica di di William Shakespeare Cleopatra chiede della mandragola così da non sentire la mancanza di Antonio mentre è via. Viene menzionata anche in Romeo e Giulietta, il XIV libro della Genesi, la Mandragora di Machiavelli, Aspettando Godot di Beckett e recentemente nella Camera dei Segreti di Harry Potter.

Fino al al tardo XVI secolo veniva venduta nei bazaar in Europa ed Asia come una droga molto preziosa. Ancora oggi nel Vicino Oriente viene impiegata per trovare tesori nascosti sottoterra e curare le malattie assorbendole dall’infermo [6].

Mandragora MEDICINA TRADIZIONALE

Le proprietà della Mandragora erano note già ai medici Assiri dell’antica Mesopotamia che la impiegavano per trattare ferite ai piedi, mal di denti, emorroidi, contratture muscolari, facilitare il parto, stimolare il vomito, allontanare i serpenti [7].

Si credeva che la misteriosa sostanza medicinale e magica che viene menzionata come didi negli antichi testi Egiziani tra cui il famoso papiro di Ebers fosse la mandragola, ma le ipotesi più recenti puntano ad un qualche tipo di minerale [8]. Le pianta veniva comunque utilizzata dagli Egiziani a scopo medicinale e rituale: le foglie venivano applicate esternamente sui tumori della pelle, l’aroma dei frutti aveva proprietà narcotiche ed afrodisiache.

Il papiro magico demotico di Londra e Leid risaltente al III secolo a.C. riporta un preparato a base di liquirizia, edera, giusquiamo e mandragola in grado di narcotizzare un soggetto fino a 2 giorni. Un altra formula comprende semi di mela, mandragola ed edera [9].

Gli antichi Greci e i Romani la consideravano un potente anesteico e narcotico: il succo della corteccia di radice fresca veniva estratto e condensato al sole per essere conservato in appositi recipienti di creta. Bollivano le radici nel vino fino ad 1/3 del liquido di partenza facendolo addensare oppure maceravano la corteccia essiccata per 3 mesi.

Ippocrate la raccomandava come sedativo e anticonvulsivane, applicata ai tendini come poltiglia calda allevia le contratture muscolari. La radice fresca veniva tagliata e bollita nel vino diluito, quindi applicata nel retto come antinfiammatorio. Affermava inoltre che fosse efficace contro la febbre quartana [10].

Plinio scrive nella sua Historia Naturalis che la Mandragora venisse data contro i morsi di serpente e prima della chirurgia per ridurre il dolore, per alcuni soggetti basterebbe già l’aroma per perdere i sensi. La radice pestata con l’olio di rose e il vino guariva dissenterie ed algie oculari, le foglie mescolate con la farina d’orzo ripulivano completamente il corpo dalle sporco e da segni estranei. Riporta anche che gli orsi leccassero le formiche dopo aver ingerito il frutto della Solanacea [11].

Teofrasto nella sua Historia plantarum scrive che dalle foglie di mandragora mischiate con l’orzo si ottiene una poltiglia che facilita la guarigione delle ferite. La radice macerata nell’aceto viene indicata contro l’erisipela (un’infezione acuta della pelle causata da batteri piogeni), la gotta l’infonnia e le pene d’amore [12].

Nella Materia Medica di Dioscoride vengono riportate per la prima volta anche informazioni sui frutti, il cui aroma era considerato soporifero. Le foglie vengono raccomandate contro ascessi, foruncoli, gonfiori, ulcere, duroni, tumori, dolori articolari, infezioni ed infiammazioni della pelle. Le radici venivano bollite nel vino fino ad 1/3 del liquido di partenza facendolo addensare oppure macerate per 3 mesi, il succo della corteccia di radice fresca veniva estratto e condensato al sole per essere conservato in appositi recipienti di creta.

Oralmente la prescriveva come anestetico, sonnifero, afrodisiaco, emetico. Veniva anche impiegata come clistere per provocare l’aborto ed indurre le mestruazioni. I semi vengono utilizzati per ripulire l’utero e per fermare emoraggie vaginali [13].

Una preparazione molto comune nella Roma antica era la spongia somnifera, ovvero una spugna marina intrisa con l’estratto fresco di diverse piante psicotrope raccolte durante la stagione estiva come Solanum nigrum, Hyoscyamus niger, Cicuta minor, Datura stramonium, Lactuca virosa, Atropa belladonna, Hedera helix, Lolium temulentum, Mandragora e qualche goccia d’oppio. Veniva quindi fatta asciugare al sole e il procedimento ripetuto fino a 3 volte per incrementarne la potenza [14].

Nella medicina tradizionale Persiana la radice è nota come “Yaberoh al-Sanam”, l’unione simmetrica di un uomo e una donna, ed impiegata come tonico e narcotico. Il decotto agisce come sostituto dell’oppio trattando insonnia e disturbi del sonno, una sospensione acquosa viene indicata per epilessia e psicosi. Il succo della radice fresca viene bevuto come ipnotico ed intossicante, l’odore induce letargia ed incoscienza.

Localmente si applica contro mal di denti, emorragie, gotta e dolori articolari. Con paste ed estratti trattano dolori articolari e vene varicose. Una poltiglia a base di foglie fresche viene usata contro oftalmia ed irritazioni agli occhi, il lattice in caso di dolore. Una mistura a base di aceto, zucchero e succo di radice viene considerata utile contro l’asfissia. Viene combinata con la resina di Commiphora per le emorroidi, con la cicoria per la disuria, con miele ed olio d’oliva per i morsi di serpente. Viene data da mangiare con il pane o la zuppa ai pazienti prima della chirurgia locale.

L’avvelenamento causato dalla mandragola viene curato con olio e miele. Anche il frutto, loffāh, viene consumato da più di 3000 anni come anestetico [6].

Avicenna, il famoso medico Persiano, scriveva che la radice in polvere mischiata all’aceto curasse i disturbi febbrili acuti caratterizzati da pustole alla mucose e sulla pelle. La poltiglia ottenuta mischiandola con farina di grano o d’orzo era efficace nel trattamento di artriti ed elefantiasi Le foglie fresche le indicava invece per rimuovere lentiggini e macchie della pelle [15].

Nella Vecchio Testamento la mandragola è simbolo di fecondità ed è in grado di rimuovere la sterilità, viene chiamata dūdāʾīm,  letteralmente “che produce amore”. I frutti venivano consumati già in tempi biblici come afrodisiaci e promotori della fertilità [16].

Lo studioso del XIII secolo Bartolomeo Anglico ne lodò le proprietà anestetiche e sedative.
Teodorico de’ Borgognoni, famoso vescovo e medico della scuola Salernitana, riprese il concetto della spugna e aggiunse succo di edera rampicante, coconidio (il frutto di Daphne laureola), lapazio, more silvestri ed acerbe. Inoltre istruì i pazienti affinche aspirassero gli affluvi e non si limitassero a suzionarla.

In Europa è stata prescritta fino al XIX secolo per il trattamento di follia, nervosismo, insonnia, isteria, ninfomania, psicosi, melancolia, depressione, ansia, perdita della libido, disturbi mentali, dolore cronico, disturbi neurodegenerativi, tremori, disturbi gastrici, spasmi muscolari, convulsioni, paralisi e linfomi. Tagliata a pezzi veniva messa a macerare nel brandy per preparare un rimedio antireumatico, le foglie venivano bolliti nel latte per preparare degli unguenti lenitivi. E’ stata impiegata come anestetico fino all’avvento di etere e cloroformio nel 1846, da allora è stata aggiunta in preanestesia come profilattico per prevenire l’arresto cardiaco e l’ipersalivazione mediata dalla stimolazione vagale dei nuovi farmaci [6].

Ancora oggi la radice viene considerata un efficace afrodisiaco in Turchia, Armenia, Iraq, Libano, Marocco e Spagna. Fino al XIX secolo era popolare anche in Inghilterra. In Turchia e Nord Africa viene ancora impiegata internamente per trattare inappetenza, emorroidi, disturbi ginecologici ed esternamente come antinfiammatorio ed antispasmodico. In Giordania le foglie vengono usate per curare i disturbi respiratori come tosse, asma e bronchite, in Marocco contro i reumastismi e come anestetico.

A Cipro il decotto di radice viene usato per trattare disturbi respiratori e della pelle, le radici fresche vengono date al bestiame per renderlo più prolifero. I locali consumano una bevanda calda a base di fogliame come sedativo per la tosse.

L’impiego del fogliame di Mandragora autumnalis sotto forma di cataplasma per trattare brufoli, verruche e ferite è stato riportato nella zona dei Monti Sicani in Sicilia fino al 2014 [17].

MandragoraFITOCOMPLESSO

Alcaloidi: atropina (D-iosciamina +L-iosciamina), scopolamina, anisodamina, noriosciamina, scopina, cuscoigrina, apoatropina, tigloidina, belladonnine, calistegine, esteri idrossitropanici;

flavonoidi: campferolo, luteolina, miricetina, tassifolina;

cumarine: scopoletina, scopolina, erniarina, umbelliferone, angelicina, acido clorogenico;

acidi organici: acido tropico, acetico, cinnamico;

steroli: sitosterolo;

composti volatili: eugenolo, isoeugenolo, pentadecano, esadecano, eicosano, docosano, esacosano, ottacosano, esatriancontano, squalene, neofitadiene e derivati;

acidi grassi: acido oleico, α-linoleico, linoleico, palmitico, mirisico, laurico, cinnamico.

Diversamente dalla Mandragora officinarum e turcomanica, il gene MaH6H della M. autumnalis codifica l’enzima iosciamina 6-β-idrossilasi (H6H) che converte la iosciamina in anisodamina e scopolamina. Per questo motivo questa specie ha un contenuto di iosciamina circa 10 volte inferiore alle altre che però mancano dei due alcaloidi derivati [18]. Le concentrazioni di alcaloidi più alte si ritrovano nella radice durante il periodo di fioritura ed aumentano con la maturità della pianta.

 

Mandragora FARMACOLOGIA

Anticolinergico, delirogeno
Nel 1988 il medico Britannico Sir Benjamin Ward Richardson iniziò una serie di esperimenti sulla mandragola usando dapprima cavie animali e poi testandola sotto forma di infuso anche su se stesso. Riportò che ai bassi dosaggi induceva intorpidimento della lingua, bocca secca, visione offuscata, irrequietezza ed ipersensibilità ai suoni [19].

Atropina (ovvero la mistura racemica di L-iosciamina and D-iosciamina), scopolamina e derivati presenti in tutte le parti dello mandragola e soprattutto nella radice (ma non nella polpa dei semi) inibiscono competitivamente il legame dell’acetilcolina con i recettori muscarinici nella giunzione neuroeffettrice postganglionica con conseguenti effetti su sistema nervoso centrale e periferico.
L’onset dei sintomi dell’intossicazione, nota come sindrome anticolinergica, è molto variabile in caso di assunzione orale e dipende molto dalla biodisponibilità del preparato specifico e dalla fisiologia dell’assuntore.

In base ad un antica dicitura il paziente viene descritto “rosso come una rapa, secco come un osso, cieco come un pipistrello, pazzo come un cappellaio, caldo come una lepre e pieno come un fiasco” riferendosi rispettivamente ad arrossamento, anidrosi, secchezza alla mucose, midriasi, stato mentale alterato, febbre e ritenzione urinaria. Il delirio è caratterizzato in primo luogo dall’incapacità di concentrarsi, elaborare informazioni e ricordare eventi anche appena trascorsi. Sono comuni cambiamenti repentini nella personalità e nell’umore del soggetto, delusione ed atteggiamenti paranoici, nei casi severi può anche dimenticarsi chi è o dove si trova.

La confusione che deriva da questo stato può provocare rabbia ed aggressività e/o paradossalmente sonnolenza ed introversione. Col progredire dell’intossicazione i pazienti possono diventare progressivamente sempre più sedati fino a raggiungere lo stupor, uno stato in cui la mancanza della funzione cognitiva critica si aggiunge ad un livello di coscienza isufficiente per rispondere agli stimoli basilari. Nei casi molto gravi possono anche sopraggiungere convulsioni, depressione cardio-respiratoria, coma e morte, ma la maggior parte delle fatalità sono dovute ai danni secondari comuni durante l’esperienza delirogena.

Le allucinazioni sono molto diverse dalle visioni e le alterazioni visive indotte dagli psichedelici, hanno un carattere solitamente terrifico e l’intossicato non riesce a distinguerle dalla realtà. E’ comune vedere persone ed oggetti che non esistono e quindi scompaiono dopo una breve interazione (eg. le famose sigarette invisibili nei fumatori o i discorsi con vecchi amici e parenti anche morti). Il soggetto ha difficoltà ad esprimersi e solitamente sproloquia da solo o contro figure immaginarie con voce rauca per la secchezza estrema alla bocca, suoni e luci intense risultano molto fastidiosi.

A livello centrale l’atropina ha solo 1/7 della potenza della scopolamina e 1/2 di quella della L-iosciamina. Ciò è dovuto alla maggiore liposolubilità della scopolamina,  alla diversa distribuzione nel microambiente cerebrale, al coinvolgimento della pompa di efflusso della glicoproteina-P [20], oltre che all’affinità specifica per i recettori muscarinici. L’atropina mostra valori simili per tutti i recettori muscarinici (M1, M2, M3, M4, M5) mentre la scopolamina ha un’affinità per M2 più bassa rispetto agli altri. Questo recettore è localizzato nel cuore e spiega perchè l’atropina ha effetti cardiovascolari più marcati. E’ invece particolarmente attiva sull’M1 che media i sintomi neurologici dell’intossicazione tra cui disturbi cognitivi, stordimento, sedazione e delirio. Entrambi gli alcaloidi sono circa 10 volte più affini ai siti di legame postsinaptici rispetto ai presinaptici [21].

A bassi dosaggi l’atropina non ha effetti centrali apprezzabili come la scopolamina, ma può stimolare i centri superiori e la medulla influenzando i parametri cardiorespiratori  ed in misura minore il tono vagale.  A dosi psicoattive (non più utilizzati in medicina), ha un effetto depressivo sul CNS che però può essere interroto da sintomi paradossali di stimolazione. Da esperimenti sui volontari sani emerge che sia psicoattiva alla dose di 2mg (per un soggetto di circa 70kg) per via intramuscolare: gli effetti riportati sono stati più che altro sedativi, in alcuni individui anche una certa euforia ma comunque di grado inferiore rispetto alle comuni sostanze d’abuso [22].

La curva dei dosaggi è la seguente anche se bisogna tenere in conto che la sensibilità varia molto da soggetto a soggetto: 0.5 mg –  secchezza alle mucose, leggera bradicardia; 1mg – secchezza intensa, sete, transizione da bradicardia a tachicardia, leggera midriasi; 2mg – secchezza estrema, tachicardia, palpitazioni, midriasi, ipersensibilità alla luce, vista leggermente offuscata; 5mg –  sintomi generali più severi, disturbi del linguaggio, mal di testa, ipertermia, irrequietezza, perdita del tono e della coordinazione muscolare, debolezza, depressione cardio-respiratoria, difficoltà nela deglutizione e nella minzione; 10mg – aritmia cardiaca, apnea respiratoria, allucinazioni, delirio, convulsioni, coma [23].

La scopolamina induce effetti sedativi già ai bassi dosaggi, con quelli molto alti sono comuni reazioni paradossali come irrequietezza e nervosismo. I dosaggi della scopolamina sono meno noti, 50 mg possono essere fatali ma c’è anche chi è sopravvissuto a 100 mg per via orale. I primi effetti psicotropi si avvertono sopra i 0.45mg, mentre dai 2 ai 4mg sono comuni allucinazioni,confusione ed irrequietezza [24]. Diversamente dall’atropina, induce un aumento dose dipendente nelle potenza delle onde lente teta ed una diminuzione delle onde veloci beta che determinano i suoi specifici effetti amnesici e sulle capacità cognitive [20].

Per molto tempo si è creduto erroneamente che parte della tossicità venisse perduta con la somministrazione esterna mediante unguenti data la maggiore liposolubilità della scopolamina, tuttavia anche questa ROA è molto pericolosa per l’imprevedibilità degli effetti e la difficoltà nel calcolo della dose.

Fumare la Mandragora essiccata o una qualunque Solanacea tropanica non è affatto efficiente e difficilmente induce effetti centrali evidenti (men che meno delirogeni), ma il potenziale allucinogeno di farmaci e composti puri è stata confermato in diverse occasioni [25].
I casi di overdose con l’assunzione orale sono molti per via dell’alta varianza che intercorre fra i profili degli alcaloidi specifici di ciascuna pianta, oltre che per la tolleranza personale e il rischio di tossicità cumulativa con l’uso cronico.

Serotoninergico
Scopolamina ed atropina, oltre all’azione muscarinica, agiscono come antagonisti competitivi e reversibili del recettore 5-HT3 della serotonina [26].
In una ricerca del 2022 la soministrazione a lungo termine di scopolamina ha ridotto i livelli di serotonina dei ratti [27].

Stimolante, sedativo
Si dice superficialmente che l’atropina è stimolante e la scopolamina sedante, ma sono stati compresenti nella sindrome anticolinergica in generale. Ciò è dovuto alla specifica funzione inibitoria o stimolatoria dei diversi recettori muscarinici coinvolti in tutto il corpo.

L’atropina potenzia i sedativi con le basse dosi, con quelle alte i convulsivanti [28]. L’iniezione intraventricolare di 1mg ha spinto i cani ad abbaiare continuamente i primi 5 min, quindi sono diventati depressi ed insensibili al rumore per circa 1 ora. Infine sono ritornati ad abbaiare e correre come se volessero scappare da qualcosa (si ipotizza dalle allucinazioni) per ritornare baseline in 4 ore [29].

La scopolamina causa prevalentemente sedazione ma nel caso di intossicazione grave entrambi gli alcaloidi possono indurre stimolazione del CNS alternata ai classici effetti depressivi [30]. Ciò può succedere anche quando viene assunta cronicamente: in una ricerca del 2022 la soministrazione a lungo termine ha incrementato notevolmente l’attività locomotoria dei ratti [31].

Sonnifero, oneirogeno
Tra il 1963 e il 1964 sono stati condotti una serie di esperimenti dal Dr. J.R. Raeside del Royal London Hospital sui suoi studenti utilizzando un decotto al 10% di Mandragora autumnalis raccolta in Sicilia (erroneamente identificata come M. officinarum nella pubblicazione), i partecipanti riportarono che il riposo notturno era disturbato da incubi e sogni vividi che ne pregiudicavano la qualità [32].

Il sistema muscarinico controlla il timing ma non la durata del sonno REM [33].
L’atropina ad alte dosi evoca il pattern elettrofisiologico del primo stadio del sonno facilitando l’addormentamento. Durante il riposo riduce la l’eccitabilità del sistema reticolare attivatore ascendente [34]. In un esperimento su modelli animali ha ridotto il sonno REM contrastando l’attivazione dei neuroni colinergici indotta dallo stress [35].
La scopolamina ha inibito il sonno REM e prolungatone la latenza in pazienti depressi e controlli sani, tuttavia è risultato comune il fenomeno di rebound una volta terminata l’assunzione [36].

In una ricerca sulla depressione adolescenziale invece ha incrementato i parametri di riferimento del sonno REM fasico riducendo il sonno ad onde lente [37]. Gli effetti paradossali dipendono dal momento dell’assunzione, in caso di somministrazione notturna prolunga la latenza del sonno REM, nel caso di quella diurna la riduce interferendo negativamente con la qualità complessiva del sonno [36]. Con l’uso continuato può indurre supersensibilità muscarinica una condizione che ricalca i disturbi del sonno della depressione primaria [39].

Antidepressivo, ansiolitico
In uno studio a doppio cieco placebo-controllato condotto su pazienti affetti da depressione maggiore e disturbo bipolare l’infusione intravenosa di scopolamina (4 μg/kg) ha evocato un rapido effetto antidepressivo acuto [40], particolarmente efficace sulle donne [41]. Ulteriori evidenze promettenti sono state ottenute su soggetti anziani ed altre popolazioni, si prevede che l’85% dei pazienti risponda bene al trattamento in soli tre giorni dalla prima assunzione [42].

Un farmaco orale a base di atenolo e scopolamina ha ridotto l’ansia di otto pazienti psichiatrici già a 15-60m dalla somministrazione mantenendo l’efficacia fino ad 8 ore. Sono stati registrati soltanto effetti collaterali minori come sonnolenza e bocca secca [43]. Nei modelli animali ha mostrato un effetto ansiolitico dose dipendente e bifasico [44].
Antagonizza gli interneuroni inibitori nella corteccia prefrontale provocando la disinibizione dei neuroni piramidali e l’incremento del glutammato extracellulare in maniera simile alla ketamina sebbene agiscano su diversi recettori [45].

L’azione prevede il rilascio di fattore neurotrofico cerebrale (BDNF), oltre a necessitare dall’attivazione di recettore per l’acido α-ammino-3-idrossi-5-metil-4-isossazol-propionico (AMPA), complesso mTORC1 e canali del calcio voltaggio dipendenti [46].

La ioscina ha potenziato le proprietà sedative ed ansiolitiche del pretrattamento con lorazepam in un campione da 150 pazienti che si dovevano sottoporre ad anestesia [47].

Antiadditivo
Nella medicina Persiana il frutto e la radice di Mandragora veniva prescritto per sostituire gradualmente l’oppio in caso di dipendenza [48].
L’atropina è stata testata nel controllo della compulsione da oppiacei: alti dosaggi (150-260 mg) per via intramuscolare facevano perdere coscienza al paziente, che veniva poi risvegliato con la fisiostigmina e rimesso in coma fino a 8 volte. Gli stessi pazienti poi chiedevano un richiamo ogni mese lodando l’efficacia del trattamento [49]. In altri casi ha trattato efficacemente insonnia e disturbi gastrointestinali dovuti alle remissione dal trattamento antidepressivo [50].

La combinazione di scopolamina e clorpromazina ha soppresso i sintomi d’astinenza da eroina in maniera simile al metadone. La percentuale di pazienti che ha riportato craving, ansia e depressione come causa di recidiva nel gruppo della scopolamina è risultata significativamente infiore rispetto al convenzionale [51]. Tuttavia la stessa scopolamina può indurre dipedenza e nei casi gravi richiede anche l’ospedalizzazione [52].

Analgesico
Continuando la tradizione di combinare oppio e Madragora risalente al III secolo a.C, nel 1900 la scopolamina veniva abbinata alla morfina per indurre il dämmerschlaf (“sonno del crepuscolo”), uno stato semi-narcotico usato per alleviare il dolore del parto e cancellarne il ricordo. Una pratica poi abbandonata per i danni psicologici sulla partoriente e la depressione del sistema nervoso del neonato. Sebbene atropina e scopolamina vengano utilizzate ancora oggi in preanestesia come farmaci di supporto, non possono essere considerati delle droghe anestetiche efficaci da sole.

Nei modelli animali la scopolamina ha potenziato gli effetti antinocicettivi di D-ala-D-leu-encefalina e morfina senza influenzare quella da beta-endorfina. Ciò suggerisce che l’analgesia da oppioidi venga modulata dai cambiamenti nell’affinità e nel numero dei recettori oppioidi nel cervello indotti dalla trasmissione colinergica [53].

In base ad esperimenti su ratti e topi si è visto che basse dosi di atropina (1-100 µg/kg) inducono effetti antalgici, quelle alte (5mg/kg) iperalgesizzanti. A concentrazioni molto leggere infatti ha un’azione colinomimetica indiretta per via dell’antagonismo sugli autorecettori muscarinici presinaptici, con quelle più elevate provoca il blocco dei recettori muscarinici postsinaptici che previene gli effetti antinocicettivi dell’acetilcolina [54].

La combinazione di ketamina ed atropina è risultata efficace nel ridurre il dolore durante l’intubazione tracheale dei neonati [55].

Antinfiammatorio
Il trattamento con atropina ha migliorato la sopravvivenza dei ratti allo shock endotossico riducendo i livelli di TNF-α [56]. In un altra ricerca ha ridotto l’infiltrazione cellulare dell’edema polmonare provocato dal veleno dello scorpione Androctonus australis [57].

Neuroprotettivo
Nei topi con status epilepticus (SE) severo da soman la combinazione di atropina solfato e ketamina ha dimostrato importanti effetti neuroprotettivi sopprimendo completamente l’infiltrazione dei granulociti neutrofili e parzialmente l’attivazione gliale. Inoltre ha ridotto l’aumento dei livelli di mRNA e le relative proteine proinfiammatorie indotto dall’avvelenamento [58].

Anticonvulsivante, miorilassante
Entrambi i composti agiscono come anticonvulsivanti a basso dosaggio, ma la scopolamina è più efficace [20]. Possono rilassare la muscolatura liscia del tratto gastrointestinale, biliare ed urinario, alla alte dosi può anche bloccare gangli e giunzione neuromuscolare [59].

Nel 1927 quest’alcaloide veniva impiegato nel trattamento degli spasmi dei muscoli facciale ed altri disturbi ipertensivi, tuttavia la sostanza poneva il paziente in uno stato letargico continuo.

Antiasmatico
L’atropina e la scopolamina di cui è ricca la pianta bloccano i recettori muscarinici, in particolar modo gli M2, nelle cellule dei muscoli lisci respiratori e delle ghiandole sottomucose causando la dilatazione delle vie aeree e contrastando gli attacchi dell’asma.

Uno studio del ’59 condotto su 23 pazienti asmatici supporta l’efficacia dell’atropina (1.45 mg) per via inalatoria fumata sotto forma di sigaretta nell’incrementare la capacità vitale e facilitare la respirazione. Non sono stati notati effetti collaterali se escludiamo un soggetto che riportò un po’ di secchezza, gli effetti con questa R.O.A. sono soltanto periferici [60]. In un altra pubblicazione ha influenzato lo scambio termico respiratorio e la profondità dell’inspirazione incondizionata [61].

In una ricerca più recente 7 pazienti affetti da disturbi polmonari hanno tratto giovamento dalla scopolamina per via locale utilizzandola una volta ogni tre giorni senza incorrere in nessun collaterale [62].

Antitumorale
Estratti a base di fogliame di Mandragora autumnalis hanno mostrato effetti antitumorali sulle cellule del cancro al seno MCF e bassa tossicità per quelle sane VERO negli esperimenti in vitro e in vivo. L’azione sembra mediata dalle sottoregolazione dell’espressione del fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF) [63].

I recettori muscarinici sono espressi su diversi tipi di tumori tra cui polmoni e colon, gli antagonisti come atropina e scopolamina ne inibiscono la proliferazione evidenziando il ruolo dell’acetilcolina come fattore di crescita [64].

Da alcune simulazioni in silicio del 2022 sembrerebbe che l’atropina riduca efficacemente il processo di transizione epiteliale-mesenchimale e la formazione delle colonie nelle cellule del cancro al seno [65].

Antidiabetico
Estatti acetonici a base di bacche di Mandragora autumnalis sono potenti inibitori dell’α-glucosidasi, un enzima deputato all’indrolisi del maltosio che è un importante target per la riduzione deli livelli di glucosio nel sangue. Quelli di foglie invece sono attivi sull’α-amilasi, un altro enzima coinvolto nel controllo della glicemia postprandiale [66].

In un altra ricerca hanno incrementato notevolmente la traslocazione del trasportatore GLUT4 nella membrana plasmatica delle cellule del muscolo scheletrico facilitando l’eliminazione del glucosio indotta da una dieta ad alto contenuto di grassi [67].

Ipolipidico
Un estratto a base di bacche mature di Mandragora autumnalis ha inibito marcatamente la lipasi pancreatica dei suoni dimostrando un certo potenziale nel trattamento dell’obesità [66].

Antiossidante, depigmentante
Estratti a base di foglia, radice e frutto di Mandragora autumnalis hanno mostrato significative proprietà antiossidanti nel test del perossido d’idrogeno che si ipotizza siano dovute al contenuto di composti fenolici e flavonoidi [68].

In base a un recente studio comparativo, sono gli estratti metanolici di fiori i più potenti a questo riguardo ed hanno un alto contento di acido α-linolenico. Gli estratti acetonici di foglie e frutti di hanno inibito anche la tirosinasi, l’enzima chiave della biosintesi della melanina [66].

Antivirale
Aggiunta 8 min post-infezione l’atropina ha inibito la crescita del virus di influenza, Herpes simplex e polio [69]. In uno studio randomizzato a doppio cieco la somministrazione per via intranasale ha ridotto la produzione di muco dovuta all’infezione da Rhinovirus [70].

Il pre-trattamento con scopolamina ha soppresso la carica virale dell’encefalite virale inducendo la sovraregolazione di diversi recettori di classe Toll (TLR3, TLR7, TLR8), interleuchine (IL-4 e IL-10), inteferoni e relativi fattori di regolazione [71].

Antibatterico
Estratti a base di foglie di Mandragora autumnalis sono risultati attivi su Escherichia coli e Staphylococcus aureus [72]. Quelli etanolici preparati col frutto hanno inibito anche la crescita di Pseudomonas aeruginosa [73]Propionibacterium acnes, Proteus vulgaris e Klebsiella pneumoniae [74]. In altri lavori la radice ha contrastato gli stessi ceppi batterici [68].

Antimicotico
Un estratto a base di bacche mature di Mandragora autumnalis ha inibito la crescita di Candida albicans ed Epidermophyton floccosum con valori MIC rispettivamente di 6.25 ± 0.48 e 12.5 ± 0.88 µg/mL [66].

Mandragora

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67)Al-Maharik, Nawaf, et al. “Isolation, Identification and Pharmacological Effects of Mandragora autumnalis Fruit Flavonoids Fraction.” Molecules 27.3 (2022).

68)Jodallah, Noor Bashar Ehsan. Antioxidant and antimicrobial activity of Mandragora autumnalis Bertol extracts. Diss. 2013.

69)Yamazaki, Z., and I. Tagaya. “Antiviral effects of atropine and caffeine.” Journal of General Virology 50.2 (1980).

70)Gaffey, Michael J., et al. “Intranasally administered atropine methonitrate treatment of experimental rhinovirus colds.” American Review of Respiratory Disease 135.1 (1987).

71)Bhattacharjee, Arghyadeep, et al. “Pre-treatment with Scopolamine Naturally Suppresses Japanese Encephalitis Viral Load in Embryonated Chick Through Regulation of Multiple Signaling Pathways.” Applied Biochemistry and Biotechnology 193.6 (2021).

72)Al-Salt, Jordan. “Antimicrobial activity of crude extracts of some plant leaves.” Res J Microbiol 7 (2012).

73)Maher, Obeidat. “Antimicrobial activity of some medicinal plants against multidrug resistant skin pathogens.” Journal of Medicinal Plants Research 5.16 (2011).

74)Mohammed, S. Ali-Shtayeh, Ahmad Al-Assali Anhar, and Majed Jamous Rana. “Antimicrobial activity of Palestinian medicinal plants against acne-inducing bacteria.” African Journal of Microbiology Research 7.21 (2013).

N.B.: LA MANDRAGORA E’ UNA PIANTA TOSSICA! QUESTE INFORMAZIONI VENGONO FORNITE UNICAMENTE A SCOPO EDUCATIVO E NON VOGLIONO INCORAGGIARE IL  SUO CONSUMO NE’ ALTRI COMPORTAMENTI PERICOLOSI.

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Etnobotanica 13: Ayahuasca e DMT https://www.psycore.it/etnobotanica-13-ayahuasca-e-dmt/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=etnobotanica-13-ayahuasca-e-dmt Sun, 11 Sep 2022 06:00:04 +0000 https://www.psycorenet.org/?p=3223 Leggi tutto]]> Identificare la ricetta tradizionale originale dell’ayahuasca nella combinazione dei decotti di Banisteriopsis caapi e Psychotria viridis è un errore. Alcune tribù utilizzano infatti piante diverse: i Matsigenka evitano la viridis considerandola “cattiva” ed usano un altra specie di Psychotria ancora non identificata [1], i Waorani dell’Ecuador si servivano della sola Banisteriopsis muricata (che dovrebbe contenere MAO-I nella liana e triptamine nelle foglie) senza admixture fino al contatto recente con i coloni Quechua [2], sono anche stati trovati decotti contenenti soltanto betacarboline [3].

In base ad una ricerca recente le ricetta odierna si è evoluta nel corso di innumerevoli esperimenti che miravano alla ricerca di una sinergia tra le diverse componenti farmacologiche in particolar modo betacarboline e triptamine. Gli ingredienti di queste combinazioni variavano in base alla disponibilità locale delle piante, i metodi di somministrazione in base alla preferenza culturale specifica: sono stati registrate circa un centinaio di specie appartanenti a 4 famiglie botaniche diverse.

Diversi preparati come il vinho de jurema, yaraque, vino de cebil e le varie chicha allucinogene contano su dati etnografici antecedenti all’ayahuasca che viene menzionata soltanto in documenti relativamente recenti posteriori alla conquista Spagnola [4].

LA PURGA
ayahuascaLe betacarboline di cui sono particolarmente ricchi i decotti di ayahuasca tradizionali hanno proprietà antiparassitarie oltre che emetiche e sono particolarmente utili in Amazzonia dove i parassiti intestinali sono piuttosto comuni.

Durante l’esperienza è molto comune il vomito, spesso accompagnato da diarrea a cui vengono generalmente attribuite funzionalità importanti per la “purificazione” del paziente, i soggetti riportano che dopo questi momenti di nausea e disagio fisico seguano le visioni più potenti e significative.

Un intervento apparso su Social Science & Medicine raccoglie la testimonianza di 227 tra terapeuti e partecipanti alla cerimonie con ayahuasca, quasi tutti lodano le proprietà del vomito definendolo fondamentale per la cura del paziente. Gli autori, un antropologo ed un sociologo, speculano che il vomito indotto dall’ayahuasca possa alterare il microbioma intestinale o modulare in qualche modo le strutture che lo collegano al cervello in modo da avere un outcome positivo sulla salute mentale del paziente [5].

A proposito del microbioma non c’è nulla di positivo sul vomito, piuttosto, com’è ben noto, è l’assunzione e la digestione dei cibi ad influenzarne profondamente il profilo. A tal riguardo è in corso una ricerca volta ad investigare gli effetti del consumo di ayahuasca (sicuramente in un modello cronico anche se non esplicitamente dichiarato) sul microbioma intestinale dei veterani affetti da disturbo da stress post-traumatico [6].

Un altro meccanismo che viene tirato in ballo è la stimolazione vagale che viene effettivamente indotta dall’ayahuasca (in particolar modo dai MAO-I che provocano l’aumento centrale dei livelli di serotonina) e gode di buone evidenze positive anche in campo psichiatrico. Ma non è il vomito a provocare quest’attivazione, è soltanto un riflesso collaterale che segue e non ha nulla a che vedere con i potenziali benefici [7].

C’è da considerare a mio avviso che la nausea agisce su tutti come un elemento di disturbo e anche di malessere; eliminandola, il vomito dà sollievo all’utente che riesce finalmente a vivere l’esperienza senza distrazioni negative. È normale collegare questo sollievo fisico ad una sensazione di purificazione anche mentale, a maggior ragione sotto l’effetto di un catalizzatore potente come l’ayahuasca. Qualsiasi elemento negativo influenza profondamente l’esperienza (si veda l’importanza di set e setting): la nausea può essere considerata una sorta di set ma anche setting per alcuni aspetti.

Bisogna poi distinguere l’emesi serotoninergica da quella indotta dalla mole indigesta di tannini ed altri composti inerti presenti nel decotto che tradizionalmente viene cotto a lungo a fuoco vivo e filtrato grossolanamente. In questo caso a scatenare la nausea è l’irritazione diretta della mucusa gastrica che ne provoca lo svuotamento per difesa.

Ho notato che la gravità della nausea e la presenza o l’intensità del vomito dipendono molto dall’alimentazione consolidata del soggetto (non dalla sua psiche), anche se prima della sessione è stato attento al cibo o ha digiunato, e soprattutto dalla purezza e dalla qualità chimica del decotto.

Una ricerca del 2022 ha analizzato diversi campioni di ayahuasca rilevando che il principale componente fosse il fruttosio. La cosa torna considerando quanto queste piante e soprattutto il Banisteriopsis siano ricche di zuccheri. Un campione aveva una concentrazione di fruttosio di 33g/50ml che spiegherebbe benissimo la nausea risultante dal consumo, oltre a costituire un potenziale rischio per un diabetico [8]. Triptamine ed armala saranno anche emetiche ma è il resto che spinge al vomito nella stragrande maggioranza dei casi.

RESTRIZIONI DIETETICHE E DIGIUNO
Le complesse restrizioni dietetiche sciamaniche dei popoli nativi sono integrate intimamente nelle realtà quotidiane cosmologiche e politiche delle loro relazioni con l’ambiente circostante. Le diete sono molto varie anche in seno ad una stessa tribù: hanno scopi terapeutici per alcune malattie, fungono da allenamento per la disciplina dei giovani adepti e favoriscono uno stato di debolezza che amplifica l’effetto delle sostanze psicoattive.

La reinterpretazione fatta dagli occidentali in ambiente neosciamanico è invece un chiaro esempio di riduzionismo culturale: si tende a proibire carne rossa, zuccheri, cibi piccanti, caffè, alcol, droghe illegali (tra cui anche cannabis) e attività sessuali.

Alcuni centri di somministrazione hanno un lista di oltre 100 alimenti e sostanze vietate, si tende a mortificare il corpo ed evitare qualsivoglia attività edonistica seguendo il modello della “purezza” tipico della religione cristiana. L’effrazione di queste regole viene associata ad un pericoloso danno “emozionale ed energetico” [9], affermazioni terroristiche che non hanno alcun fondamento concreto e sono propedeutiche insieme al cambio di abitudini forzato (ed immotivato) ad una brutta esperienza.

Anche il digiuno estremo che sono soliti praticare alcuni influenza negativamente la risposta gastrica al decotto, specie se molto acido e concentrato. È infatti noto che dopo lunghi periodi di inattività lo stomaco diventa più sensibile anche se l’assorbimento dei principi attivi viene effettivamente velocizzato.

L’unico aspetto concreto della proibizione di alcuni cibi in realtà potrebbe essere legato al rischio di buildup della tiramina dovuto ai MAO-inibitori.

Chaliponga
Chaliponga (Dyplopterys cabrerana), pianta viva

Tuttavia le betacarboline dell’ayhuasca, armina ed armalina, sono inibitori reversibili (RIMA) e vengono rimossi dal MAO-A nel fegato in presenza della tiramina piuttosto che inibirne la degradazione, in più il MAO-B rimane libero di agire nello stomaco. I cibi molto ricchi possono comunque indurre qualche collaterale fastidioso negli individui più sensibili.

AFFINITÀ RECETTORIALI DEL DMT
È un errore tipico del riduzionismo farmacologico limitare gli effetti psichedelici del DMT all’agonismo sul recettore 5HT2A della serotonina perchè, diversamente da altri, non si desensibilizza all’azione farmacologica della molecola combaciando con la mancanza dello sviluppo di una tolleranza [10].
Per esempio l’affinità del DMT per il 5HT1A, che filtra fino all’80% della serotonina cerebrale per regolare il fenomeno percettivo, è anche più altra di quella per l’altro recettore e ne influenza l’azione drasticamente. Anche il legame con i recettori TAAR o D2 della dopamina è comune a tutte le sostanze psichedeliche e sembra avere un ruolo di primaria importanza [11]. D’altronde esistono agonisti del 5-HT2A privi di pontenziale psichedelico.

-Recettori serotoninergici (5ht7, 5ht1d, 5ht2b, 5ht2c, 5ht1e, 5ht6, 5ht5a, 5ht2a, 5ht1a, 5ht1b)
E’ più selettivo verso i 5ht1 e 5ht2 che non per gli altri.
Attiva l’idrolisi dei fosfoinositidi causando un aumento concentrazione-dipendente nella produzione di inositol fosfati in maniera simile alla stessa setonina (hanno simile struttura chimica) [12].

-Recettori dopaminergici (D1,D4, D5, D2, D3)
L’azione sul recettore D2 della dopamina è implicata negli effetti centrali del DMT [13].
Alla dose di 20 mg/ml (IV) ha stimolato la sintesi della dopamina nel corpo striato dei ratti senza incrementarne i livelli per via del parallelo aumento del turnover centrale extraneuronale di questo neurotrasmettitore [14].

In un’altra ricerca lo stesso dosaggio indotto una diminuzione della concentrazione di dopamina nel presencefalo del 42% che indicherebbe un aumento nel rilascio di questo neurostrasmettitore [15].
Questo fenomeno potrebbe essere dovuto all’azione del DMT sul MAO-A, dove si comporta come un potente inibitore a breve durata, associata alla liberazione delle riserve di dopamina dai depositi presinaptici.
L’incremento nell’attività dopaminergica potrebbe anche spiegare gli effetti avversi della sostanza sui casi di psicosi e schizofrenia.

-TAAR-1
Agisce come agonista ad alta affinità per questo recettore causando l’attivazione dell’adenil ciclasie e il conseguente accumulo di cAMP nelle cellule HEK293 [16].
Non si sa come questo fenomeno influenzi gli effetti allucinogeni del DMT, ma alcuni autori ipotizzano che possa potenziare effetti visivi della sostanza rispetto ad altri agonisti serotoninergici come il 5-MeO-DMT che hanno maggiore affinità per il 5-HT2a ma scarsa per il TAAR-1.

-Recettori adrenergici (Alpha2B, Alpha2C, Alpha1B, Alpha2A, Alpha1A, Beta1, Beta2)
Si lega a questi recettori con conseguente modulazione simpaticoadrenergica caratterizzata da midriasi, ipertermia, lieve tachicardia ed ipertensione [11].

-Recettore I1 dell’imidazolina
È responsabile della depressione del CNS che si manifesta con effetti opposti a quelli indotti dalla stimolazione adrenergica (ipotermia, bradicardia, ipotensione): meccanismo che potrebbe spiegare gli sbalzi termici e cardiovascolari indotti dalla sostanza [11].

-Trasportatori monoaminici (SERT, VMAT2)
Agisce come un substrato per SERT e VMAT2 inibendone l’attività [17].

-Recettori Sigma (-1, -2)
E’ un antagonista di questi recettori su cui agisce anche come modulatore endogeno.
Dati sperimentali dimostrano che il legame causa l’inibizione dei canali del sodio voltaggio dipendenti nelle cellule dei miociti inducendo ipermobilità nelle cavie [18].

-Recettori dei cannabinoidi (CB1, CB2)
Il DMT attiva questi recettori anche se è molto meno selettivo di THC e cannabinoidi, non si sa molto della sua azione specifica [11].
L’attività MAO-inibitoria del THC potrebbe contribuire a spiegare il classico flashback che induce la cannabis anche a giorni di distanza dall’esperienza allucinogena vera e propria.
Dai report aneddotici si evince che il consumo di cannabis pre-DMT attutisca l’esperienza riducendone l’intensità, mentre il consumo post-peak la incrementi.

-Recettori oppiodi (KOR, DOR MOR)
Non è ben chiaro il suo ruolo su questi recettori, ma da dati sperimentali si evince che dosi leggere di oppiodi agiscano come antagonisti selettivi del DMT riducendone gli effetti generali [19].
Negli umani la triptamina ha indotto un aumento dose dipendente nei livelli di β-endorfina e corticotropina, importanti neurotrasmettitori oppioidi endogeni [20].

-Recettori muscarinici dell’acetilcolina (M1, M2, M3, M4, M5)
Ha una bassa affinità per questi recettori: non altera i livelli di acetilcolina nella corteccia ma riduce significativamente la concentrazione di questo neurotrasmettitore nel corpo striato. Ciò suggerisce che gli interneuroni colinergici di quest’area dispongano di recettori per le triptamine allucinogene sotto controllo del sistema serotoninergico eccitatorio [15].

-Recettori dell’istamina (H2, H1)
Ha un affinità molto bassa per questi recettori, agisce come antagonista contribuendo a modulare lo stato di eccitabilità neuronale [11].

Jurema e Acacia
Corteccia di radice essiccata di Jurema (Mimosa tenuiflora/hostilis) e Acacia di Taiwan (Acacia confusa)

TOSSICITA’ E FARMACOCINETICA
Il DMT  vaporizzato ha un onset rapido sui 2-5m e dura meno di 30m in assenza di un MAO-inibitore.  E’ attivo anche per via intranasale, intramuscolare, intravenosa ed anale.
L’ayahuasca per via orale ha un onset sui 30m e il picco a 90m, l’effetto può durare anche 10 ore [21].

La somministrazione giornaliera di ayahuasca liofilizzata a freddo tramite sonda gastrica a dosaggi fino al doppio di quello rituale tradizionale per 28 giorni non ha mostrato nessun effetto ematologico, clinico o macroscopico evidente nei ratti [22].

Il consumo tradizionale tra le comunità amazzoniche non è stato associato a nessuna problematica psichiatrica, anzi sembra favorire una buona salute. Da osservazione fatte per un anno su 127 consumatori cronici non è emerso niente che possa suggerire che l’ayahuasca provochi deterioramento cognitivo, psicologico o mentale [23].
Tuttavia in seno alle varie associazioni internazionali sono stati segnalati diversi casi di collaterali psichiatrici, per esempio tra 1994 e il 2007 29 membri dell’União do Vegetal avevano manifestato sintomi psicotici associati al consumo di ayahuasca [24].

In uno studio recente 24 soggetti sani privi di esperienze con gli psichedelici hanno ricevuto delle dosi crescenti di DMT fumarato dimostrando un alta sicurezza e tolleranza lungo tutto l’esperimento. Non è stata notata nessuna correlazione tra la concentrazione del picco plasmatico della triptamina e il BMI, il peso o l’età dei partecipanti. La clearance viene influenzata da MAO-A, CYP2D6 e CYP2C19 [25].

In realtà c’è anche qualche evidenza sulla sua potenziale tossicità, ma si parla di dosi e condizioni sperimentali molto superiori a quelle della comune assunzione. Quantità eccessive assunte giornalmente potrebbero essere pericolose [26] [27] [28], il consumo durante la gravidanza potrebbe danneggiare lo sviluppo del feto [29] [30]. Altri rischi sono posti dalla composizione variabile, spesso comprendente piante aggiuntive anche velenose come Nicotiana o Brugmansia.

In alcuni decotti sono stati rilevati livelli di fruttosio di 33g/50ml potenzialmente rischiosi per un diabetico [31], in più la conservazione, ed alle volte anche l’export, che si fa con l’estratto acquoso privo di conservante pone il rischio di contaminazioni batteriche.

Inoltre sono stati rilevati alti livelli di manganese (6 volte la dose giornaliera raccomandata) che può essere tossico in eccesso. Alcuni campioni avevano anche metalli pesanti al loro interno [32].
L’aumento transitorio nella pressione e nella frequenza cardiaca è trascurabile per i più, può essere pericoloso nei casi gravi (tanto quanto fare sesso o esercizio a bassa intensità). Il vomito, sebbene visto come una cosa positiva, può essere un problema nel caso di incoscienza per il rischio di aspirazione dei contenuti gastrici.
La combinazione con antidepressivi, stimolanti, decongestionanti, antistaminici, dissociativi e qualsiasi sostanza che influenzi i livelli di serotonina può essere anche letale per il rischio di crisi serotoninergica ed ipertensione.

Dei campioni recenti di ayahuasca provenienti da contesti terapeutici, religiosi e neosciamanici hanno mostrato un contenuto pari a 0.532–1.86 mg/g di DMT; 1.34–5.61 di armina; 1.03–2.33 THH; armalina0.118–0.452; armolo 0.044–0.290 [8]. La dose media sia aggira sui 166 ml e contiene 17-280 mg di armina, 0-96 mg di THH, 0-26 mg di armalina, 25-36 di DMT [33].

Le betacarboline non sono soltanto attivitori ma agiscono in maniera sinergica col DMT, usare Banisteriopsis caapi o Peganum harmala, ad esempio, cambia drasticamente l’effetto complessivo della bevanda.

Chaliponga
Chaliponga (Dyplopterys cabrerana), fogliame essiccato

FARMACOLOGIA DEL DMT

Allucinogeno
Il DMT altera le percezioni in maniera simile ma non identica ai classici allucinogeni serotoninergici come DOM o LSD [34], da esperimenti elettrofisiologici si è visto che attiva la regione corticale producendo delle onde simili a quelle evocate dalla stimolazione visiva, le visioni che induce sono particolarmente complesse [35].

In alcuni test ha soppresso l’attività dei neuroni retinali bloccando la segnalazione esogena, i caratteristici pattern geometrici riportati dagli utenti sembrano infatti riflettere la struttura anatomica stessa della corteccia visiva [36].

Sebbene l’attivazione del recettore 5-HT2A della serotonina sia necessaria per l’evocazione della compenente psichedelica come per la maggior parte degli agonisti serotoninergici, la molecola mostra un affinità superiore per il 5HT1A (Ki = 0.1 µM contro 0.4 µM) [37]. L’inibizione di questo recettore potenzia drasticamente gli effetti della molecola, l’interazione tra 5-HT1A e 5-HT2A media l’equilibrio tra informazione endogena ed esogena nella costruzione dell’esperienza cosciente e potrebbe avere un importante ruolo nel caso di quella psichedelica.

Anche TAAR, recettore D2 della dopamina e sigma-1 sembrano modulare in qualche modo l’esperienza allucinogena [38]. A conferma di ciò la somministrazione a soggetti altamente resistenti agli effetti dell’LSD, ha mostrato solo un lieve grado di tolleranza incrociata a carico della risposta mentale suggerendo che il sito o il meccanismo alterato dal sintetico non sia il bersaglio primario del DMT [39].

Immunomodulante, antinfiammatorio, antiapoptotico, nootropico
Uno studio in-vitro sembra suggerire che il DMT abbia un importante funzione immunitaria espletata attraverso il recettore sigma-1: ha inibito potentemente l’espressione di citochine e chemochine proinfiammatorie (IL-1β, TNFα, IL-6, IL8) stimolando invece quella dell’IL-10 antinfiammatoria nelle cellule umane dendritiche primarie derivate dai moniciti (moDCs). Inoltre ha interferito con l’attivazione e la polarizzazione dei linfociti T helper verso le cellule effettrici Th1 e Th17 dovuta all’infezione con Escherichia coli e Influenzavirus.
Sembra agire come un regolatore dell’infiammazione e dell’omeostasi immunitaria, c’è da dire però che i dosaggi impiegati sono di gran lunga superiori a quelli comunemente assunti dagli umani [40].
In una ricerca molto recente ha ridotto il volume ischemico dei ratti abbassando l’espressione di fattore 1 che attiva l’apoptosi (Apaf-1), TNF-α, IL1-β, IL-6 ed incrementando i livelli di fattore neurotrofico cerebrale (BNDF). Alla base sembra sempre esserci l’attivazione del recettore sigma-1 [41].

Il DMT è uno psicoplastogeno ed induce effetti positivi su neuritogenesi, spinogenesi e sinaptogenesi: incrementa la secrezione del glutammato tramite l’attivazione del recettore TrkB e 5-HT2A stimolando la protein-chinasi mTOR che è uno degli elementi chiave per i processi di crescita cellulare, autofagia e produzione delle proteine necessarie per la formazione sinaptica [42].

Esperimenti in vivo hanno dimostrato che la triptamina possa promuovere la ramificazione dendritica e/o il numero delle sinapsi dei neuroni corticali, oltre ad incrementare la frequenza delle correnti postsinaptiche eccitatorie spontanee a lungo termine dopo essere stata metabolizzata ed esplulsa. Questo meccanismo potrebbe spiegare il suo potenziale nel produrre cambiamenti a lungo termine su personalità, umore, ansia e tossicodipendenze [43].

Antidepressivo, ansiolitico
Come già detto, il DMT è uno psicoplastogeno e può provocare un rapido riarrangiamento strutturale e funzionale dei circuiti neurali agendo direttamente sui meccanismo implicati nello sviluppo della depressione [44].
Ha promosso l’apprendimento dell’estinzione della paura e i tempi di immobilità nel nuoto forzato dei roditori, una singola dose alta sembra avere effetti duraturi nel tempo [45].
Si è visto inoltre che le scimmie isolate in ambienti poveri di stimoli si autosomministrassero la triptamina regolarmente forse per il suo potenziale effetto antidepressivo [46].
L’iniezione di DMT ha alleviato i sintomi dei pazienti affetti da disturbo depressivo maggiore resistente ai normali trattamenti [47].

Una ricerca recente sembra suggerire che le microdosi possano produrre effetti positivi sui sintomi d’ansia e depressione, manifestando un potenziale simile a quello degli alti dosaggi senza collaterali ansiogenici.
Eppure come si legge nella pubblicazione non sono state notate differenze significative nei test sul climbing behavior o nel test di immobilità delle cavie maschio. Nelle femmine si è vista una riduzione delle densità della spine dendritiche opposta all’incremento osservato negli studi con i dosaggi allucinogeni. Non sono stati rilevati aumenti nell’espressione genica nella corteccia prefrontrale o del fattore neurotrofico cerebrale (BDNF). Infine non sono stati notati benefici a carico di socialità e funzione cognitiva diversamente da quanto pubblicizzato dagli appassionati di microdosi [48].

Anoressizante, anabolico
La somministrazione ripetuta di basse dosi di DMT ha ridotto il consumo di cibo dei ratti incrementando paradossalmente il peso corporeo [48].

Antivirale
In un esperimento in-vitro il DMT ha inito l’infezione da virus Zika allo stadio intracellulare del ciclo virale [49].

FARMACOLOGIA COMBINAZIONE AYAHUASCA
Ayahuasca-rossaSedativo, allucinogeno
L’assunzione orale di un decotto di ayahuasca ha ridotto l’attività motoria dei ratti, a dosaggi 15-30 volte superiori a quelli tradizionalmente impiegati ha potenziato la trasmissione serotoninergica [50].
Modula l’attività oscillatoria corticale riducendo le bande α, ϑ e δ, l’intensità delle allucinazioni visive è inversamente correlata alla densità delle oscillazioni α nella corteccia occipitale e parietale [51].

Dimagrante, anoressizante, anabolico
Dosaggi di ayahuasca pari a 4 volte la quantità tradizionalmente impiegata a scopo rituale assunti per 70 giorni col metodo della sonda gastrica hanno ridotto il consumo di cibo ed il peso dei ratti incrementando contemporaneamente i livelli sierici di testosterone [52].

Antiadditivo
L’Istituto di Etnopsicologia amazzonica applicata in Brasile ha combinato antropologia medica, scienze cognitive della religione, psiconeuroimmunologia, sociologia qualitativa e psicologia culturale nel trattamento delle tossicodipendenze con l’ayahuasca. Il consumo rituale viene considerato un modo di produrre nuove esperienze la cui memoria possa generare nuove narrative biografiche, queste possono essere integrate e seguite da cambiamenti importanti a livello psicologico, sociale e culturale.
Sono stati pubblicati 4 casi di remissione, nel caso di una donna affetta da HIV è stato registrato anche un effetto positivo sul carico virale [53].

Secondo un’ulteriore indagine, un campione di 41 adolescenti appartenenti ai culti religiosi brasiliani è stato confrontato con 43 soggetti che non aveva mai provato l’esperienza osservando un consumo ridotto di alcolici che però potrebbe essere dovuto anche agli altri elementi religiosi [54], anche nei topi ha inibito alcuni comportamenti associati allo sviluppo della dipendenza da alcolici [55].

Uno studio canadese sui tossicodipendenti delle comunità indigene ha indicato un significativo miglioramento nei punteggi psicologici associati all’abuso di sostanze. I soggetti hanno riportato di aver ridotto il consumo di alcol, tabacco e coca ma nessun cambiamento per quanto riguarda cannabis ed oppiacei [56].
In una ricerca condotta con analisi follow-up di un anno i consumatori cronici di ayahuasca delle chiese Brasiliane hanno mostrato miglioramenti nei test ASI Alcohol Use e Psychiatric Status, l’abuso di sostanze illegali era complessivamente inferiore se non si tiene conto della cannabis [57].

Nel centro Takiwasi in Perù la tradizione indigena curandera ed il consumo di ayahuasca ritualizzato sono stati integrati con la psicoterapia. I pazienti vengono sottoposti ad un trattamento che dura in media circa 9 mesi usando degli approcci psicoterapeutici fondati sul modello Jungiano transpersonale che punta a rivelare e superare le cause della dipendenza, oltre che a creare una connessione con qualcosa di superiore dando uno scopo all’esistenza. Le cerimonie di ayahuasca vengono tenute nella moloca, una grande casa comune, che per l’occasione viene “purificata energeticamente” con le erbe locali. I guaritori intonano i canti tradizionali e si fa abbondante uso di mapacho. Qualche evidenza sembra supportare l’efficacia del trattamento Takiwasi ma mancano esami di follow-up e un confronto con un gruppo controllo, limitandone così le possibili conclusioni oggettive [58].

Sono stati proposti diversi meccanismi con cui l’ayahuasca potrebbe esprimere i suoi effetti antiadditivi: in primis pare ridurre i livelli di dopamina e la trasmissione mesolimbica, di conseguenza anche il senso di ricopensa associato ad un comportamento additivo. La riduzione dopaminica nel sistema della ricompensa potrebbe interferire con la plasticità sinaptica coinvolta nello sviluppo e nel mantenimento della tossicodipendenza [15].
Anche gli effetti introspettivi e curativi sui traumi del passato possono indirettamente guidare verso l’astinenza, le esperienze transcendenti sono state collegate alla remissione come il famoso caso di Bill Wilson, fondatore dell’associazione Alcolisti Anonimi (AA).

Ansiolitico, antidepressivo, antipsicotico, antinfiammatorio
L’analisi dei tratti di personalità, dei sintomi psichiatrici e della qualità di 23 soggetti che hanno provato per la prima volta l’ayahuasca in contesto religioso sembra suggerire l’alleviamento dei sintomi psichiatrici e una spinta verso la confidenza personale e l’ottimismo nel gruppo del Santo Daime, la riduzione del dolore fisico e del senso di dipendenza nell’União do Vegetal. Tuttavia lo studio presenta parecchie limitazioni partendo dal campione estremamente esiguo, non viene considerato neanche l’effettivo dosaggio assunto dai partecipanti [59]

Un trial clinico ha mostrato un rapido effetto antidepressivo ed ansiolitico a dosaggi psicoattivi ma suballucinogenici nei casi di depressione resistente [60], simili risultati sono stati ottenuti in un esperimento più recente [61].

Da questionari compilati dai membri del Santo Daime ad 1 ora dall’assunzione dell’ayahuasca emerge un ridotto punteggio relativo agli stati di panico e disperazione, gli stessi autori però mettono in guardia da un interpretazione acritica sottolineando il ruolo potenziale della fede che gli adepti del culto hanno verso questi rituali [62].

La somministrazione negli individui affetti da disturbo d’ansia sociale ha incrementato l’autopercezione della performance linguistica [63].

Il DMT contenuto nell’ayahuasca agisce in maniera simile alla serotonina alleviando i sintomi di panico e depressione attraverso l’attivazione dei recettori 5-HT2 [64] e 5HT1A [65], un altro meccanismo antidepressivo potrebbe essere l’inibizione del recettore NMDA attraverso l’attivazione del recettore sigma-1 [66] o la modulazione dell’infiammazione sistemica [67].
Inoltre è stato ipotizzato che l’interazione con il recettore TAAR a basse dosi evochi un effetto ansiolitico, mentre alle alte avrebbe un effetto deleterio sui sintomi psicotici [68].
Anche la componente MAO-inibitoria è dotata di note proprietà calmanti ed antidepressive, soprattutto il THH che inibisce la ricaptazione della serotonina.

L’armina può incrementare il fattore neurotrofico cerebrale promuovendo la neurogenesi [69], attenuare lo stress ossidativo nell’ippocampo [70], ridurre il glutammato sinaptico incrementando l’espressione di GLT-1/EAAT2 e di conseguenza il trasporto dello stesso [71]. Inoltre ha un alta affinità per per il sito di legame 2 dei recettori dell’imidazolina (I2) [72], la cui sottoregolazione è stata osservata nella corteccia corticale e nell’ippocampo dei pazienti depressi.

Cannabinoide
E’ stata notato notato un aumento significativo nei livelli di anandamide, un cannabinoide endogeno, a 2 ore dall’assunzione dell’ayahuasca nei pazienti affetti da disturbo d’ansia sociale [73].

Analgesico
Un dottore affetto da dolore cronico da 10 anni a cui erano state diagnosticate fatica cronica e fibromialgia ha riportato un notevole effetto analgesico della durata di 15 giorni dopo aver fumato della changa, una combinazione a base di DMT e MAO-inibitori. In più dopo la seconda sessione ha eliminato i collaterali indotti dal precedente trattamento con la fluoxetina, ovvero ideazione autolitica e pensieri ossessivi [74].
Alte dosi intraperitoneali di estratto liofilizzato di ayahuasca (120mg/kg, circa 10 volte il normale dosaggio assunto dall’uomo) hanno mostrato un effetto analgesico nel modello animale da acido acetico e formalina. Inoltre ha incrementato l’effetto del propofol sulla coordinazione motoria delle cavie e l’analgesia da morfina nel test della piastra calda. A dosaggi più bassi (120mg/kg) ha ridotto la durata del sonno indotto dal propofol [75].

 

FONTI

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Etnobotanica 12: Ruta, una specie psicotropa trascurata https://www.psycore.it/etnobotanica-12-ruta-una-specie-psicotropa-trascurata/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=etnobotanica-12-ruta-una-specie-psicotropa-trascurata Fri, 24 Jun 2022 16:02:50 +0000 https://www.psycorenet.org/?p=3187 Leggi tutto]]> Il genere Ruta comprende circa 10 specie, tutte altamente aromatiche. La graveolens e la chalapensis sono molto comuni nel Mediterraneo e nel subcontinente Indiano, sono molto simili, anche se distinguibili dalla forma delle foglie, e sono state confuse nei testi medievali e di medicina ayurvedica [1].

Ruta Queste piante presentano gli stami piegati verso la parte bassa dei petali durante l’inizio della fioritura, quindi si elevano lentamente verso il centro del fiore permettendo la deiscenza delle antere che abbandonano il centro del fiore prima che il ciclo ricominci per il prossimo stame. E’ stato inoltre osservato che in certi fiori tutti gli stami si alzano simultaneamente per avvolgere il pistillo alla fine dell’antesi dopo aver concluso i movimenti singoli.

Questa sequenza di animazioni prima individuale poi collettiva è la più complessa forma di movimento degli stami nelle angiosperme stando alle conoscenze attuali.
Una ricerca del 2012 ha dimostrato che il movimento singolo promuove la dispersione del polline presentandolo agli impllinatori ed impedisce che le antere deiscenti intralcino il processo, si ipotizza che quello finale collettivo rifletta un adattamento per l’autoimpollinazione ad azione tardiva [2].

ETNOGRAFIA E STORIA

La Ruta graveolens era estensivamente impiegata dagli antichi Greci in cucina; il famoso medico Ippocrate rispettava le sue qualità medicinali, Aristotele ne lodava la potente azione calmante. Mitridate del Ponto la consumò come antidoto per il veleno.
Dioscoride e Plinio il vecchio raccomandavano una pozione a base di ruta ed oleandro come antidoto contro il morso dei serpenti.

Nel Medioevo si credeva potesse migliorare la vista e smorzare la libido, era popolare tra le streghe che la impiegavano come ingrediente magico e le attribuivano un importante valore simbolico. Venne usata per preparare una pozione ritenuta miracolosa contro la peste nera; i giudici la portavano addosso quando entravano nelle carceri, noti focolai infettivi.
I cristiani usavano mazzetti di ruta per spargere l’acqua santa nelle chiese, gli ebrei chassidisti la indossavano come amuleto contro peste, epidemie, magia nera e malocchio.

In India viene piantata nei giardini per tenere lontani i serpenti. In Pakistan ed Afghanistan si bruciano i semi di ruta per propiziare la sorte, ha una lunga tradizione anche come repellente per insetti e purificatore d’ambienti. E’ l’abortificente naturale più sfruttato nella medicina popolare Sudamericana.

E’ un componente del berberé, una mistura di spezie della cucina tradizionale Etiope, sempre in Etiopia viene impiegata fresca per aromatizzare il caffè o per alleviare il mal di testa. Gli Xhosa la utilizzano nel trattamento dell’isteria [3].

E’ stata impiegata per aromatizzare la birra in Europa, oltre che nella cura delle condizioni isteriche.
L’erborista inglese Jonh Gerard scrisse dell’efficacia della Ruta graveolens contro il veleno dell’aconito, di alcuni funghi, dei rospi, degli scorpioni, dei serpenti, delle api, delle vespe e dei tafani. Ne raccomandò anche l’uso locale sul mal d’orecchi, ferite ed infiammazioni.
Venne menzionata insieme a molte sue applicazioni nel 1562 da Turner nel suo erbario, successivamente Piperno il Napoletano la raccomandò per epilessia e vertigini.

Ruta Nel Friuli le giovani cime si consumano fritte in pastella, ne fanno anche una frittata particolare [4]. In Sicilia si impiegava per aromatizzare la grappa, ormai questa tradizione è andata in disuso.

FARMACOLOGIA

MAO-inibitore
Gli estratti di fogliame di Ruta graveolens hanno mostrato una potente attività MAO-inibitoria dose dipendente (etil acetato IC50 5 ± 1 μg/ml, etere di petrolio 3 ± 1 μg/ml) specifica per il MAO-B [5].

In un’altra ricerca sia l’estratto diclorometanico (9.78 mg/mL) che la rutamarina (6.17 M), un derivato cumarinico identificato nella pianta, hanno inibito il MAO-B con percentuali pari a 89.98% e 95.26% rispettivamente; mentre il preparato crudo mantiene la stessa efficienza sul MAO-A, il composto isolato scende a 25.15% [6]. L’attività sul MAO-A potrebbe dipendere dal contenuto di armalina, in comune con la ruta siriana (Peganum harmala[7].
Anche tra i flavonoidi presenti del fitocomplesso ci sono altri agenti MAO-inibitori: la naringenina ha mostrato di legarsi potentemente e stabilmente al MAO-B (-12.0 kcal/mol) [8]; rutina, quercetina, quercitrina e isoquercitrina hanno valori IC 50 rispettivamente di 3.89, 10.89 11.64, 3.89 microM [9].

Analgesico, muscarinico, oppioide, adrenergico
Un estratto acquoso a base di ruta ha indotto effetti nocicettivi nei modelli animali attraverso la modulazione del sistema muscarinico, oppioidergico e dell’ossido nitrico [10].
In un’altra ricerca ha attenuato il dolore dei topi nei test sperimentali probabilmente agendo sui recettori oppioidi e α2-adrenergici [11].

Cannabinoide
La rutamarina ha dimostrato un affinità selettiva per il recettore dei cannabinoidi CB2 con valori Ki di 2.64 ± 0.2 μg/mL o 7.4 ± 0.6 μM negli esperimenti in-silico [12].

Anticolinesterasico
In una ricerca sulle erbe medicinali Europee la Ruta graveolens si è dimostrata l’inibitore più forte su acetil e butirilcolinesterasi [13].
Diversi fitocostituenti della pianta hanno mostrato una significativa attività anticolinesterasica, il più potente è l’alcaloide arborinina (IC50 34.7 ± 7.1μM) [12].

Nootropico, neuroprotettivo
Un estratto acquoso di ruta ha indotto il rientro nel ciclo cellulare dei neuroni maturi A1, promosso la crescita neuronale e l’espressione dei geni della plasticita [14]. In un altra ricerca ha potenziato la crescita assonica mediata dal fattore di crescita nervoso (FCN) [15].
Queste proprietà la rendono un ottima fonte di fitocostituenti da studiare nel trattamento dei disturbi neurodegenerativi [16].
L’olio essenziale ha facilitato l’acquisizione della memoria avversiva a lungo termine [17].
La rutina per via orale ha ridotto la neurotossicità indotta dalla 6-idrossidopamina, una tossina che causa lesioni dopaminergiche impiegata nel modello animale da malattia di Parkinson, alleviandone anche i sintomi neurologici [18]. Ci sono evidenze positive anche nei confronti di Alzheimer [19] e malattia di Huntintong [20].

Antiandrogenico, anticoncezionale
Un estratto acquoso di Ruta graveolens alla dose di 500 mg/kg per 60 giorni ha ridotto significativamente il peso degli organi riproduttivi dei ratti. Dalle analisi è risultata la diminuzione della motilità e densità dello sperma nella cauda dell’epididimo e i dotti testicolari, oltre ad un decremento generale della funzione spermogenetica nei tuboli seminiferi. I livelli di testosterone e ormone follicolo-stimolante (LSH) nel sangue erano inferiori ai controlli. Il consumo dell’estratto ha soppresso la libido e i comportamenti aggressivi dei maschi portando ad un ridotto numero di femmine ingravidate [21].
In uno studio più recente la somministrazione acuta ha confermato le proprietà inibitorie della pianta sulla motilità spermatica senza però evidenziare alterazioni nei livelli di testosterone o collaterlai su viabilità, morfologia e genoma degli spermatozoi. I ricercatori ipotizzano possa fungere da anticoncezionale specifico per i maschi [22].

Un estratto acquoso ha ridotto i follicoli primordiali, primari, secondari, terziari e maturi dei topi femmina compromettendone la fertilità [23].
Estratti cloroformici di radice e parte aerea hanno ridotto la fertilità dei topi somministrate intragastricamente il primo e il decimo giorno post-coito. L’azione è dovuta alla rutacultina che agisce durante le prime fasi della gravidanza [24].

Abortificente
Un estratto idroalcolico a base di ruta ha causato la morte dei feti dei topi senza mostrare attività estrogenica [25].

Anabolico
Un estratto eterico di Ruta graveolens ha indottoinducendo un significativo aumento ponderale dal decimo giorno di somministrazione fino alla fine dell’esperimento [26].
L’olio essenziale ha dimostrato un significativo effetto anabolico proteggendo la densità ossea nel modello animale di catabolismo da teriparatide [27].

Appetito, sapore e somatosensorialità
Un estratto eterico di ruta ha stimolato l’appetito in uno studio sulla somministrazione a lungo termine [28].

La skimmianina isolata dalla pianta è un agonista del recettore T2S2R14 per il sapore amaro, diverse furanocumarine sono attive su TAS2R10, TAS2R14, TAS2R49 e sul canale ionico somatosensoriale TRPA1.
La rutamarina è un agonista del recettore vanilloide TRPV1 legato agli stimoli dolorosi ambientali e TRPM5 del sapore dolce/amaro, in più agisce come potente antagonista del recettore del mentolo TRPM8 [29].

Ipoglicemico, ipolipidico, epatoprotettivo, nefroprotettivo, antiossidante
Estratti di Ruta graveolens e la rutina purificata hanno ridotto glicemia, colesterolemia, LDL, trigliceridemia; oltre ad incrementare l’attività di superossido dismutasi e glutatione perossidasi ripristinando la funzionalità epatica e renale ad una dose pari al 10% dell’LD-50 [30].

Un estratto acquoso a base di foglie ha protetto gli epatociti dal tetracloruro di carbonio (CCl4) inibendo la produzione di mediatori proinfiammatori; si ipotizza l’azione sia dovuta ai flavonoidi ed in particolare alla rutina, noto agente epatoprotettivo [31].
Degli estratti idroalcolici hanno protetto i reni dei ratti trattati con clorpirifos e metomil (insetticidi nefrotossici) riducendo lo stress ossidativo e potenziando il sistema antiossidante [32]. Sono stati ottenuti buoni risultati anche nel modello animale da nitrosodietilammina (NDEA) [33] e isoniazide/rifampicina [34].

Antinfiammatorio, antiartritico, immunostimolante
Nel modello animale di artrite un estratto metanolico di ruta ha indotto un effetto antinfiammatorio simile all’indometacina riducendo l’attività di ciclossigenasi (COX-2) e mieloperossidasi (MPO), oltre alla concentrazione di sostanze reattive dell’acido tiobarbiturico (TBARS). In più ha incrementato i livelli di enzimi antiossidanti, vitamine e glutatione [35].
La skimmianina isolata dalla pianta ha ridotto l’infiltrazione di neutrofili, la perossidazione lipidica e lo stress ossidativo delle cavie trattate con carragenina [36].
L’8-metossi-cromen-2-one ha inibito citochine e complesso NF-κB nelle cellule J774 stimolate dai lipopolisaccaridi; nei test sui ratti con artrite indotta dal collagene ha alleviato i livelli di TNF-α, IL-1β, IL-6 ed NO dimostrando una possibile applicazione terapeutica [37].

L’inalazione di undecan-2-olo, uno dei composti volatili presenti nell’olio essenziale, ha incrementato significativamente la concentrazione di lisozima dei topi; anche undecan-2-one e diversi derivati hanno incrementato la produzione di anticorpi [38].

Antigotta
Un estratto di Ruta graveolens e i principali flavonoidi isolati, quercetina e rutina, hanno mostrato di inibire l’enzima xantina ossidasi che degrada le purine producendo acido urico [39].

Gastroprotettivo, cicatrizzante
La somministrazione orale di un estratto alcolico di ruta nei topi trattati con etanolo ha ridotto incidenza, gravità e dimensione delle ulcere proteggendo lo mucosa gastrica in maniera dose dipendente. Applicato localmente ha promosso la guarigione delle ferite velocizzando la contrazione della ferita [40].
In un altra ricerca un estratto cloroformico ha potenziato il processo di riepitelizzazione [41].

Antiaggregante
Estratti a base di callo e fogliame di Ruta graveolens hanno dimostrato una moderata azione emolitica alla concentrazione di 500 μg/ml [42].
Dictamina, skimmianina, psoralene, rutacultina, clausindina e graveolinina isolate dalla pianta hanno inibito l’aggregazione piastrinica indotta da acido arachidonico e collagene [43].

Antitumorale
Diversamente dal temozolimide, noto farmaco chemioterapico, l’estratto acquoso di ruta ha causato la morte selettiva delle cellule del glioblastoma e dei neuroni non differenziati promuovendo la plasticità di quelli differenziati.
Ha mostrato effetti diversificati in base al tipo di cellule coinvolte: nel caso delle neuroepiteliali ha incrementato la fosforilazione della chinasi segnale-regolata extracellulare (ERK) [44], nelle endoteliali l’ha ridotta [45].

Antivirale
Diversi fitocostituenti della Ruta graveolens hanno mostrato una significativa attività antivirale nei confronti del Rhinovirus Umano 2 (HRV-2), i più potenti sono l’arborinina (IC50 3.19 ± 2.24 μM) e la 6,7,8-trimetossicumarina (IC50 11.98 ± 7.53 μM) [12].

Antibatterico, antielminico
Estratti a base di ruta sono risultati attivi nei confronti di Escherichia coli, Bacillus subtilis, Staphylococcus aureus e Pseudomonas aeruginosa [46].
In un altra ricerca ha contrastato efficacemente Streptococcus mutans e sobrinus, i principali agenti patogeni della carie dentale, dall’estratto metanolico sono stati isolati γ‑fagarina e kokusaginina che potrebbero spiegare quest’azione [47].
Un estratto metanolico ha inibito Escherichia coli, Klebsiella oxytoca, Enterobacter aerogenes, Enterobacter amnigenus, Pseudomonas aeruginosa, Staphylococcus xylosus e Achromobacter xylosoxidans con valori estremamente bassi (< 2 mg/ml). Si è dimostrato 10 volte più letale del farmaco convenzionale albendazolo per i protoscolici, le larve del verme parassita Echinococcus granulosus [48].

Antimicotico, alghicida
L’estratto etanolico di radice di Ruta graveolens ha bloccato la crescita del fungo acquatico Saprolegnia con un valore MIC di e 25×10 alla terza μg/ml [49].
L’olio essenziale ottenuto dalla parte aerea ha inibito Staphylococcus aureus e Candida albicans [50].

Il rutacridone epossido isolato dalle radici si è dimostrato superiore ai fungicidi commerciali nel controllo di diverse specie di funghi patogeni comuni in agricoltura. In più ha mostrato una potente azione alghicida contro l’Oscillatoria perornata [51].
Diversi fitocostituenti estratti dalle foglie hanno mostrato una certa attività contro Colletotrichum, Fusarium, Botrytis e Phomopsis [52], potrebbe avere potenziali applicazioni in agricoltura considerando anche le proprietà erbicide.

Insetticida
Un estratto acquoso a base di ruta ha dimostrato una potente attività repellente ed insetticida nei confronti del tonchio del mais (Sitophilus zeamais[53]. In un altra ricerca è risultata più selettiva di Copaifera langsdorffii e Chenopodium ambrosioides nel controllo degli eulofidi, noti parassiti del pomodoro [54].
La combinazione di estratti a base di foglie e cipermetrina si è rivelata superiore degli elementi singoli nel controllo della zanzare (Anopheles stephensi), il principale vettore della malaria in India e nel Golfo Persico [55].
L’olio essenziale ha espresso un potente effetto insetticida sulle larve di Culiseta longiareolata [56].
Il timolo isolato dalla parte aerea ha dimostrato una marcata azione insetticida contro Sitophilus zeamais e oryzae [57].

Erbicida
Un estratto acquoso di Ruta graveolens ha ridotto la percentuale di germinazione di amaranto, erba sofia e portulaca [58].
Graveolina e 8-metossipsoralene isolati dalla parta aerea hanno inibito la crescita dei germogli di Lactuca sativa riducendone anche il contenuto di clorofilla, il 5-metossipsoralene quella di Agrostis stolonifera. L’azione sembra esplicata, almeno parzialmente, attraverso l’inibizione della divisione cellulare
In un altra ricerca la graveolina si è comportata come un inibitore della catena di trasporto degli elettroni durante la fotosintesi ed interferito con lo sviluppo delle biomassa vegetale [59].

TOSSICITA’
La ruta è una pianta negletta e controversa, ritenuta dalla maggior parte degli erboristi moderni come una specie tossica e pericolosa, sebbene i casi di intossicazione siano molto rari.

In alcuni studi in vitro è risultata genotossica e mutagenica per i leucociti umani, tuttavia l’azione è specifica per gli alti dosaggi dell’estratto cloroformico e del tutto trascurabile nel caso di quello acquoso [60].
Diversi alcaloidi furanoisoquinolici sono noti agenti promutageni ma l’estratto crudo ha una tossicità inferiore ai composti puri, assente con i bassi dosaggi [61]. La radice ne contiene di molto potenti come l’isogravacrindoclorina, un alcaloide che agisce con un meccanismo frame-shift [62]. Il seme è la parte che vanta la più alta concentrazione di questi composti, si è dimostrato tossico già dosaggi relativamente bassi [63].

In una ricerca del 2010 degli estratti acquosi liofilizzati di ruta sono stati somministrati ai topi per un periodo di 4 giorni consecutivi causando un’elevazione da lieve a moderata dei livelli AST e ALT, allo stesso tempo hanno ridotto il rapporto albumina-globulina e la conta dei neutrofili. I ricercatori hanno ipotizzato anche una certa azione emotossica sulla base della discreta policromasia osservata nelle cavie.
Bisogna sottolineare però che i dosaggi impiegati sono estremamente alti, estranei a qualsiasi manuale o protocollo. Non si capisce come gli autori possano aver considerato la tazza giornaliera media pari a 189g di ruta essiccata da rapportare poi al peso dei topi, per giunta come la dose più bassa tra le 3 testate non oralmente ma col metodo della sonda gastrica che è noto per causare un picco farmacologico superiore rispetto al consumo tradizionale. C’è da stupirsi, allora, che abbiano rilevato solo una lieve tossicità tutto sommato [64].
Uno studio precedente in cui era stato somministrato oralmente un estratto esanico 100x alla dose di 500mg/kg giornalmente per 3 settimane non aveva rilevato alcun segno di tossicità se non un leggero innalzamento della fosfatasi alcalina indicativo di un certo sforzo epatico [65].
Nel caso dell’estratto acquoso, di gran lunga meno concentrato, è stata notata invece un’azione epatoprotettiva nel modello animale da tetracloruro di carbonio (CCl4) [66].

C’è anche un caso di una donna Taiwanese di 78 anni che ha sviluppato bradicardia, fallimento renale acuto con iperkaliemia e coagulopatia dopo aver assunto per 3 giorni un decotto con 50g di parte aerea [67].
Tuttavia non sono stati individuati bene i meccanismi farmacologici dell’intossicazione, nè sono stati confermati i dosaggi assunti, comunque molto più consistenti di 1 o due cucchiai per tazza come raccomandato, o la reale identità botanica della pianta raccolta dall’anziana potenzialmente inesperta.
In più il paziente ha utilizzato la parte aerea fresca che, sebbene manchi uno studio comparativo, è notoriamente più tossica per l’alto contenuto di olio essenziale. Questo è altamente irritante anche a livello locale e può causare delle caratteristiche vesciche in presenza di luce solare per la sua potente azione fotosensibilizzante.
Per questo si raccomanda di raccogliere la ruta con guanti o protezioni, anche se devo dire che sono tanti anni che seleziono foglie e fiori a mano dallo stelo ricoprendomi completamente di olio senza aver mai notato irritazioni o altri problemi.
Come per la signora intossicata un caso non dimostra nulla, conviene comunque prendere le dovute precauzioni.

FITOCOMPLESSO
Alcaloidi: kokusagenina, skimmianina, graveolina, graveolinina, arborinina, evolitrina, pteleina, armalina, rutacridone, rutacridone epossido, idrossirutacridone epossido, evoxantina, edulina, edulinina, dictamnina, 6-metossidictamnina, rutaverina, γ-fagarina, gravacridonolo, gravacridone, gravacridonediolo, acetato di gravacridonediolo, monometiletere di gravacridonediolo, gravacridonentriolo, gravacridoneclorina, gravacridonolclorina, isogravacridoneclorina, isogravacridonclorina, rutagravina, isorutagravina, allacridone, diidroallacridone, furoacridina, furoacridone, diidrofuroacridone, rutalinium, ribalinium, rutalinidina, ribalinidina, altri derivati chinolonici ed acridonici;

cumarine: cumarina, rutamarina, bergaptene, xantotossina, isopimpinellina, umbrelliferone, scopoletina, psoralene, 5-metossipsoralene, 8-metossipsoralene, ernianina, rutaretina, imperatorina, isoimperatorina, rutacultina, calepina, clausinidina, metoxsalene, naptoerniarina, 8-metossicromen-2-one;

flavonoidi: rutina, quercetina, isoquercetina, quercitrina, apigenina, cricina, isoarmnetina, campferolo, miricetina, vitessina, luteolina, iperoside;

flavanoli: patuletina, gallocatechina, epigallocatechina apicatechina, gallato di epicatechina;

acidi fenolici: acido clorogenico, acido isoclorogenico, acido rosmarinico, acido caffeico, acido p-cumarico, acido sinapico, acido ferulico, acido gallico, acido ellagico, acido protocatecuico, acido siringico, acido vanillico;

composti volatili: mircene, limonene, terpinolene, naftalene, eucaliptolo, α-pinene, timolo, eudesmolo, fitolo, elemolo, geyrene, geijerene, piperitone, ossido di piperitone, davanone, β-tujene, β-terpenil acetato, p-cimene, epossido di ascaridolo, geranil isovalerato, corimbolone, germacrene D, borneolo, cicloeptano, bifenile, bifenilene, α-farnesene, antracene, diidroactinidiolide, acido octanoico, acido nonanoico, acido decanoico, acido dodecanoico, acido tetradecanoico, acido pentadecanoico, acido esadecanoico, acido eptadecanoico, 2-undecanolo, 2-dodecanolo, 2-tridecanolo, 2-udecanone, 3-dodecanone, 2-tridecanone, pentacosano, esacosano, eptacosano, nonacosano, entriacontano, 2-acetossitridecano, -2-propionilossitridecano, 2-nonilacetato, 2-docilacetato, 2-octilacetato, 2-undecanale, epta-decanale, 2-metilundecanale.

Diversamente dal classico luogo comune romantico e molto citato che vuole la ruta venga raccolta la mattina presto all’alba, le maggiori concentrazioni di composti volatili sono state identificate a mezzogiorno. La pianta produce la percentuale più alta durante la fioritura nella stagione estiva [67]. Anche gli alcaloidi sono ai massimi livelli in questo periodo [68].

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Etnobotanica 11: Mulungu, l’ansiolitico della foresta brasiliana https://www.psycore.it/etnobotanica-11-mulungu-lansiolitico-della-foresta-brasiliana/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=etnobotanica-11-mulungu-lansiolitico-della-foresta-brasiliana Sat, 02 Apr 2022 19:18:59 +0000 https://www.psycorenet.org/?p=3034 Leggi tutto]]> Erythrina poeppigiana Il genere Erythrina comprende circa 115 specie distribuite tra Neotropici, Sud Africa, Himalaya e la parte più meridionale degli Stati Uniti. Sviluppano tutte delle profonde radici girevoli che permettono una rapida crescita, sono organismi pionieri per la successione ecologica in grado di sopravvivere in ambienti poveri promuovendo la formazione dell’humus per le specie più esigenti. Inoltre contribuiscono all’azotofissazione rendendo disponibile l’azoto ammonico (NH3) per le piante vicine [1].

Da citare il caso dell’Erythrina poeppigiana, largamente utilizzata come coltura da ombra per le piantagioni di cacao, che ha anche dimostrato di migliorare la qualità del terreno e della microfauna circostante [2].

ETNOGRAFIA
In Brasile la corteccia di mulugu viene ampiamente impiegata sotto forma di decotto, tintura alcolica o anche semplicemente polverizzato come tranquillante, sedativo, sonnifero, analgesico ed antinfiammatorio naturale [3]. Insieme al frutto viene indicata nel trattamento di tosse, eccesso di muco, vermi ed emorroidi [4].
Nella comunità rurale di Laginhas vicino a Rio Grande do Norte nella regione a Nordest consumano un infuso per lenire il mal di denti [5].
Un decotto a base di corteccia di Erythrina viene consumato dai Tanaca in Bolivia, da Cabecar e  Guaymi in America Centrale e Perù per curare emorragie, dismennorea, oltre che come purgante [6].
Viene usato anche come stimolante della produzione del latte, purgante, insetticida e veleno per pesci.

CHIMICA
Erythrina poeppigiana Ad oggi sono noti oltre 110 diversi alcaloidi isolati dalle diverse Erythrina, per correttezza qui ci limiteremo a quelli specifici per verna e velutina anche se si può ipotizzare che il fitocomplesso sia sicuramente più ricco di quanto attestato dai referti d’analisi esclusivi per queste due sole specie.

Eccoli in dettaglio:
alcaloidi: eritravina, 11α-idrossieritravina, eritralina, 3-ossoeritralina, 8-osso-eritralina, 11-ossoeritralina, eritrinina, eritratratidina, 11-idrossieritratinina, eritrartina, ossido di eritrartina, eritratina, 11-idrossieritratina, eritratidina, 11-idrossieritratidina, erimelantina, eritratidinone, 3-demetossieritratidinone, 11-idrossieritratidinone, eritrascina, eritroculina, erisovina, 11-idrossierisovina, erisodina, 8-ossoerisodina, glicoerisodina, erisopina, 11-osssoerisopina, erisonina, erisolina, erisotina, erisotrina, diidroerisotrina, 11α-idrossierisotrina, erisosalvina, 11-idrossierisosalvina, 11-idrossierisotinone, ipaporina, coccolina, isococcolina, coccudinone, cristamidina, ossido di eritodina;
flavonoidi: abissinina, esperidina, omoesperitina, sigmoidina C, 3ʹ-O-metilsigmoidina, erivellutinone, faseollidina;
acidi fenolici: acido rizonico;
terpenoidi: lupenil acetato;
proteine: vicilina, EvCl, PIAT, PIAQ.

Secondo alcune fonti, le particolari condizioni edafoclimatiche della Caatinga, la foresta brasiliana, possano evocare la biosintesi di nuovi alcaloidi ancora sconosciuti come quelli rilevati in uno studio sul metabolismo del mulungu. Il meccanismo per la biosintesi degli alcaloidi comprende l’accoppiamento ossidativo para-para del precursore norreticulina che viene convertito in eritralina [7].

Erythrina poeppigiana

FARMACOLOGIA
Gabaergico, ansiolitico 
I dati ottenuti sui segmenti terminali dell’ileo dei porcellini d’India suggeriscono che l’estratto di foglie di Erythrina velutina si comporti come agonista del recettore GABA-A [8].
Un estratto etanolico ha incrementato i livelli di taurina e GABA contrastando contemporaneamente l’aumento degli amminoacidi accitatori nel modello animale da ischemia cerebrale acuta [9].
Un estratto di fiori di mulungu e due alcaloidi isolati, eritravina e 11′α-idrossieritravina, hanno espresso effetti ansiolitici comparabili al diazepam nel test di transizione luce-buio [10].

Per via del simile profilo farmacologico è stato ipotizzato che gli alcaloidi potessero agire sui recettori delle benzodiazepine [11], ma la mancanza di disturbi motori nei test comportamentali fa pensare che agisca direttamente sulla trasmissione GABAergica e non come agonista benzodiazepinico. A supporto di questa ipotesi, l’erisotrina isolata dai fiori di Erythrina verna ha ridotto i livelli d’ansia senza alterare la ricaptazione del GABA e del gluttammato e il loro sistema di legame risultando in effetti ansiolitici [12].

Anche gli altri alcaloidi, come eritravina, eritralina, etc. hanno dimostrato porprietà ansiolitiche nei modelli animali, ma l’efficacia degli estratti crudi è risultata superiore e si pensa che ci sia una certa sinergia tra i fitocostituenti [13].

In uno studio randomizzato a doppio cieco su 30 pazienti sani 2 capsule da 250mg a base di mulungu (Mulungu Matusa®) hanno ridotto l’ansia durante la procedura d’estrazione del dente del giudizio senza alterare i parametri fisiologici [14].

Serotoninergico
La diidro-β-eritroidina isolata da altre specie di Erythrina agisce come antagonista dei recettori 5HT3 della serotonina, se fosse presente nel mulungu il meccanismo potrebbe contribuire all’azione ansiolitica della pianta [15].

Sedativo, sonnifero
Un estratto idroalcolico di corteccia di mulungu ha ridotto l’attività generale e incrementato la durata del sonno dei topi femmina in gestazione [16].
Eritravina e 11′α-idrossieritravina hanno diminuito i parametri esploratori delle cavie [17].
L’ipaporina isolata dall’Erythrina velutina ha incrementato il sonno non-REM (NREM) del 30% durante la prima ora di somministrazione [18].

Anticolinergico, miorilassante, tranquillante
Un estratto di foglie di Erythrina velutina ha prodotto una risposta contrattile nell’ileo isolato delle cavie in maniera concentrazione dipedente che si ipotizza sia mediata principalmente dal rilascio di acetilcolina, inoltre si è comportato come un agonista muscarico [8].
Eritravina e 11á-idrossieritravina sono potenti inibitori dei recettori nicotinici, in particolar modo quelli di sottotipo α4β2 (IC50 = 13nM e 4nM), ed agiscono come bloccanti neuromuscolari.

L’eritralina, eritratina ed eritramina hanno mostrato un effetto curaro-simile iniettate nelle rane intralinfaticamente sopra i 100mg/kg [18]. Il più potente antagonista nicotinico è la diidro-β-eritroidina che ha un valore IC50 di 0.11µM sui α4β2 [20].
Il sistema nicotinico è connesso con il GABA che regola il rilascio dell’acetilcolina striatale, si ipotizza che questo meccanismo sia coinvolto nell’effetto tranquillante notato nei test comportamentali sulle cavie [21].

I test sull’azione curarica degli alcaloidi sono stati effettuati tutti su modelli sperimentali lontali dalla tradizionale assunzione orale del decotto di corteccia, per questo non ci sono casi di paralisi o altri sintomi anticolinergici evidenti documentati in letteratura nonostante l’ampio utilizzo.
Al di là della maggiore concentrazione di metaboliti secondari, i semi sono molto più pericolosi per la presenza di una seconda frazione oltre quella classica alcaloidale composta da alcaloidi combinati, erisotiopina e erisotiovina, che hanno un azione paralizzante di circa 10 volte più potente dell’eritralina, il principale alcaloide presente nella corteccia di mulungu.
Lo conferma la rimozione totale degli alcaloidi liberi da un estratto di sementi secche non ne ha ridotto la potenza in maniera significativa. In base alla dose questi potenti antagonisti, che sono i costituenti principali dei semi, hanno mostrato un effetto non reversibile e letale sulle cavie [22].

Antiadditivo
Studi comparativi in-silico hanno evidenziato la forte affinità dell’eritrinina ed altri alcaloidi eritrinici per il recettore nicotinico α4β2 in comune con la citisina, come quest’ultima potrebbero aiutare a controllare la dipendenza da tabacco e nicotina [23].
Esperimenti personali suggeriscono che alteri anche l’apprezzamento dell’atto, rendendo aroma ed inspirazione quasi nauseanti.

Antipsicotico
Un estratto standardizzato a base di fogliame di Erythrina velutina ha contrastato le alterazioni comportamentali nel modello animale di schizofrenia da ketamina riducendo lo stress ossidativo indotto dalle somministrazioni ripetute [24].

Oppioide, analgesico
Estratti idroalcolici a base di corteccia di Erythrina velutina e verna somministrati nei topi per via intraperitoneale hanno ridotto il dolore indotto dalla formalina indipendente dal noloxone [25], in contrasto con uno studio successivo in cui un estratto di foglie ha mostrato proprietà oppioidi [26].

Antinfiammatorio, antiallergico, immunomodulante, gastroprotettivo, anticoagulante
Erythrina mulungu e velutina hanno mostrato notevoli effetti antinfiammatori: mentre il secondo modula principalmente i processi che coinvolgono le cellule mastocitarie, il primo dipende in primo luogo dai linfociti polimorfonucleati [27].
Un estratto etanolico a base di fiori ha ridotto i livelli di leucociti, eusinofili, linfociti, IL-4 e IL-5 incrementando quelli di IL-13 and INF-γ dei topi asmatici. Inoltre ha attenuato l’iperreattività bronchiale e l’infiltrato infiammatorio [28].

L’eritralina, il principale alcaloide della corteccia di Erythrina verna, sembra inibire l’attività chinasica della proteina TAK1 sopprimendo la produzione di ossido nitrico (NO) e l’espressione dell’ossido nitrico sintasi (iNOS) [29].
La sigmoidina A isolata dall’altra specie è un inibitore selettivo della 5-lipossigenasi che non altera l’attività della ciclossigenasi, ha dimostrato un alto potenziale antinfiammatorio sui topi [30].

Anche il lupenil acetato riduce l’infiammazione modulando la sintesi di TNF-α, IL-2 e IL-10 [31], ha sottoregolato le cellule iNOS nei modelli animali [32].
Due proteine isolate dai semi, PIAT e PIAQ, hanno inibito tripsina, chimotripsina e l’attività dell’enzima elastasi neutrofila nel modello animale da etanolo suggerendo potenziali applicazioni nella prevenzione dell’ulcera gastrica [33].
Un’altra proteina, EvCl, ha inibito elastasi neutrofila e migrazione dei leucociti nei topi settici, si ipotizza possa avere un certo potenziale nel trattamento di coagulazione intravascolare disseminata (CID) ed altri disturbi infiammatori [34].

Cardiostimolante, adrenergico, ipotensivo
La frazione di acetato di etile ottenuta dalla foglie di Erythrina velutina ha incrementato la forza contrattile del muscolo cardiaco incrementando la corrente del canale del calcio di tipo L ed attivando la trasmissione adrenergica [35].
L’iniezione di eritramina ed eritralina nei gatti ha mostrato un azione ipotensiva breve similmente alla eritroidina, l’azione sul sistema cardiovascolare degli alcaloidi combinati e i derivati ottenuti dai semi è risultata molto più potente [36].

Anticolinesterasico, MAO-inibitore, neuroprotettivo, antiossidante
Test in- ed ex-vivo hanno dimostrato le proprietà inibitorie dell’estratto acquoso di foglie di Erythrina velutina su acetil e butirilcolinesterasi [37].
Eritralina, 8-osso-eritralina ed erisodina sono inibitori selettivi del MAO-B e potrebbero avere potenziali applicazioni nel trattamento di Parkinson ed Alzheimer [38].
L’ipaporina isolata dai semi ha mostrato di sopprimere l’attività dell’acetilcolinesterasi selettivamente nella sola regione cerebellare [39].

Nel modello animale di ischemia cerebrale transitoria da occlusione della carotide un estratto etanolico ha protetto il cervello riducendo attenuando l’innalzamento degli amminoacidi eccitatori [40].
I flavonoidi estratti dalla pianta hanno ridotto la perossidazione lipidica stimolando invece l’attività della catalasi nella corteccia prefrontale e nucleo striato, senza alterazioni nell’ippocampo [41].

Antitumorale
Eritralina ed 8-osso-eritralina hanno mostrato una debole citotossicità per le cellule del carcinoma epatocellulare (Hep-G2) e cervicale (HEP-2) [42].
Eritralina, erisodina, erisovina hanno mostrato significativi effetti citotossici e buona sinergia in combinazione col ligando correlato al fattore di necrosi tumorale (TRAIL); 8-osso-eritralina, erisotrina e glicoerisodina non sono risultate tossiche sulle cellule ma hanno potenziato specificatamente l’azione del TRAIL [43].
Le lectine estratte dai semi di Erythrina velutina si legano ai linfomi primari del sistema nervoso centrale configurandosi come potenziali marcatori prognostici [44].
Un inibitore della chimotripsina, EvCl, ha dimostrato un effetto antiproliferativo selettivo per le cellule dell’epatocarcinoma umano HepG2 con un valore IC pari a 0.5 μg/ml [45].

Genoprotettivo
Un estratto acquoso a base di fogliame di Erythrina velutina ha agito come un agente desmutagenico proteggendo il DNA della cipolla dalla tossicità del metil metansolfonato (MMS) [46].

Antivirale
La sigmoidina C, un flavanone isolato dall’Erythrina velutina, ha dimostrato la più alta affinità per 3CLpro, la proteasi principale del coronavirus SARS-CoV-2, rispetto ai 19 composti naturali testati in uno studio in-silico. Si è dimostrata attiva anche sulla PLpro, altri due fitocostituenti, abssinina e lupenil acetato, hanno mostrato pure un buon potenziale inibitorio su questi enzimi [47].
Sempre quest’ultimo triterpenoide ha contrastato la replicazione del virus della Dengue [48].

Antibatterico
Un estratto metanolico di corteccia di Eryhtrina velutina è risultato attivo su Staphylococcus aureus e pyogenes [49].
La sigmoidina A ha dimostrato una certa attivatà contro Staphylococcus aureus, BaciIIus subtilis e Trichophyton mentagrophytes [50].

Antimicotico
L’erisovina si è dimostrata più efficace del dimetilsolfossido nell’inibire lo sviluppo del micelio di Alternaría solani, Trichoderma harzianum e Penicillium sp. [51].

Pesticida
La vicilina legante chitina estratta dai semi di Erythrina velutina è il primo bioinsetticida proteico efficace nel controllo della mosca mediterranea della frutta (Ceratis capitata) [52]. In altri lavori è risultata attiva anche sui parassiti dei fagioli Callosobruchus maculatus e Zabrotes subfasciatus [53].

TOSSICITA’
Al di là dell’attività paralizzante dei semi e dei rischi di adulterazione con altre specie Erythrina, il mulungu ha dimostrato un alto profilo di sicurezza specialmente relativamente a foglie e corteccia sotto forma di decotto.
Un estratto idroalcolico di corteccia di Erythrina verna si è dimostrato atossico sui topi femmina ma tossico per i loro feti [54], un estratto di foglie di velutina non ha mostrato segni di tossicità nemmeno alla dose limite di 5g/kg assunta per 14 giorni consecutivi [55].

In alcuni test sui topi l’infiorescenza è risultata moderatamente genotossica mentre la foglia solo a dosaggi estremamente alti (la corteccia non è stata inclusa nello stessa ricerca) [56], ma c’è da dire che uno studio dell’anno successivo ha riportato invece effetti protettivi sul DNA [46].

In uno studio randomizzato a doppio cieco su 30 pazienti sani 500mg di capsule a base di mulungu (Mulungu Matusa®) non hanno causato nessuna alterazione significativa dei parametri fisiologici [14].
Erythrina poeppigiana Una combinazione a base di Passiflora alata, Erythrina mulungu, Leptolobium elegans e Adonis vernalis somministrata ai conigli per via orale ad una dose di circa 10 volte superiore a quella prescritta in Brasile agli umani è risultata del tutto innocua [57].

Diversamente dalle benzodiazepine non ha mostrato effetti amnesici o deleteri sulle facoltà cognitive ai dosaggi ansiolitici [58].

FONTI

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45)Monteiro, Norberto de Kássio Vieira. Avaliação das atividades anti-inflamatória, anticoagulante e antiproliferativa do inibidor de quimotripsina das sementes de erythrina velutina (EvCI). MS thesis. Universidade Federal do Rio Grande do Norte, 2011.

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54)Proença, Geraldo Vandré, et al. “Toxicological effects of Erythrina mulungu Mart. on the reproductive performance of pregnant rats.” (2012).

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Etnobotanica 10: Akuamma, un seme oppioide https://www.psycore.it/etnobotanica-10-akuamma-un-seme-oppiode/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=etnobotanica-10-akuamma-un-seme-oppiode Mon, 21 Feb 2022 10:05:08 +0000 https://www.psycorenet.org/?p=2905 Leggi tutto]]> Akuamma La Picralima nitida è stata descritta per la prima volta nel 1985 dal botanico austriaco Otto Staptf come Tabernaemontana nitida. Un anno dopo il francese Luis Pierre l’ha inserita in Picralima, un nuovo genere creato basandosi sul sinonimo già in uso, P. klaineana.
Il nome Picralima deriva dal greco πικρός, che significa amaro, probabile riferimento all’amarezza dei semi della pianta.
Questo genere includeva un tempo anche Hunteria umbellata e Simii, ma ad oggi è monospecifico [1].

ETNOBOTANICA
Akuamma Nella medicina popolare dell’Africa Occidentale la Picralima nitida viene impiegata nel trattamento di febbre, infezioni, malaria, diabete e dolore [2].
In Cameroon e Guinea il decotto a base di frutto e corteccia della pianta viene consumato contro la tosse o la febbre tifoide. Le genti della tribù dei Fang li masticano per sopprimere la fame durante le lunghe camminate nella foresta [3].
Nella medicina popolare congolese il decotto di corteccia d’akuamma si beve come purgante e rimedio per l’ernia, mischiato ad altre piante viene impiegato contro la gonorrea.
Nella zona più occidentale della Nigeria il frutto viene indicato nel trattamento dell’asma [4].
In Costa d’Avorio i semi impastati con l’acqua vegono assunti in caso di pressione arteriosa alta [5].

 

FITOCOMPLESSO
alcaloidi: akuammina, pseudoakuammina, akuammidina, akuammicina, akuammigina, pseudoakuammigina, akuammilina, akuammenina, picrafillina, picracina, picralina, picralicina, picratidina, picranitina, burnamina, pericallina e pericina.
polifenoli: derivati cumestanici;
terpenoidi: sabinene, terpinenolo, α-selinene, β-cariofillene, β-selinene, α-terpineolo, α-pinene, cimene, eudesmolo, β-cuvebene, β-pinene e α-umulene;
steroli;
flavonoidi;
saponine;
tannini.

Il seme è la parte della pianta più potente e può raggiungere oltre il 5% di alcaloidi del peso secco [6].

FARMACOLOGIA
Oppioide, analgesico, sedativo, ansiolitico
Diversi alcaloidi presenti nei semi di Picralima nitida sono dotati di marcate proprietà oppioidi: l’akuammidina è un agoninista preferenziale dei recettori μ-oppioidi (Ki = 0.6 μM), ma è attiva anche sui δ- (Ki = 2.4 μM) e κ-oppioidi (Ki = 8.6 μM).
Anche l’akuammina è particolarmente selettiva per gli μ-oppioidi (Ki = 0.5 μM).
Akuammicina ed akuammilina invece sono potenti agonisti dei recettori κ-oppioidi (Ki = 0.2 μM e 0.40 µM rispettivamente) [7].
La pseudoakuammigina è un agonista dei recettori μ-oppioidi (ki = 1.0 µM). Ha mostrato effetti analgesici di circa 3,5 volte inferiori alla morfina nei modelli in vivo che potrebbero implicare anche il blocco dell’azione delle sostanze pronocicettive e iperalgesiche endogene. I ricercatori hanno inoltre notato un’azione depressiva drammatica ma transitoria sul CNS delle cavie [8].
La pericina ha dimostrato un profilo analgesico superiore alla codeina, tramite test in-vitro ed in-vivo si è visto che agisse come agonista oppioide.
La pericallina, un altro alcaloide, ha dimostrato una potenza pari a circa a 1/3 della pericina [9].

Un estratto acquoso a base di semi di akuamma ha dimostrato significativi effetti sedativi, ansiolitici ed antiossidanti nei modelli animali [10].
Un estratto alcolico ha espresso significative proprietà depressive, analgesiche ed antitussive, oltre ad un alto profilo di sicurezza [11].

Anestetico, stimolante
L’akuammidina ha mostrato un attività ipertensiva comparabile alla yohimbina e un effetto anestetico tre volte più potente della cocaina.

L’akuammina ha accentuato la vasocostrizione indotta dall’adrenalina nelle cavie, incrementando anche la pressione ed inibendo la peristalsi. Localmente ha la stessa potenza anestetica della cocaina [12].

Dopaminergico
Akuammina, pseudoakuammigina, akuammicina, akuammilina e picralina hanno inibito il legame dell’antagonista [3H]-SCH-23390 col recettore D5 della dopamina [13].
Una frazione estratta dal decotto africano a base di Alstonia boonei e Picralima nitida approvato come antimalarico in Nigeria e registrato col nome di MAMA Powder ha incrementato il grooming (pulizia del mantello) dei topi alla dose di 25 mg/kg. Secondo i ricercatori ciò potrebbe essere dovuto all’inibizione dell’attività dopaminergica [14].

Serotoninergico, istaminergico
Gli alcaloidi dei semi di akuamma hanno mostrato una lieve attività sui recettori serotoninergici ed istaminergici H3 [13].
Una mistura composta da 4 amidi della seratonina è stata isolata dall’estratto cloroformico [15].

Muscarinergico, ipotensivo
Un estratto acquoso ha indotto nei conigli un effetto ipotensivo dose dipendente mitigato dall’azione dell’atropina, i ricercatori ipotizzano possa contenere sostanze colinomimetiche di tipo muscarinico [16].

Anticonvulsivante
Un estratto fatto con la corteccia del legname di Picralima nitida ha ridotto le convulsioni indotte nei topi con la stricnina con un efficacia simile al diazepam [17].

Anabolico, estrogenico
Un estratto etanolico di semi di akuamma ha mostrato effetti estrogenici ed androgenici agendo come agonista parziale del testosterone [18].

Dimagrante, ipolipidico, ipoglicemico, immunosoppressivo
Un estratto acquoso di Picralima nitida ha alleviato dislipidemia ed iperglicemia nel modello animale da dieta ad alto contenuto di grassi e fruttosio, riducendo anche incremento ponderale, BMI, insulino resistenza, glucosio sanguigno ed insulina [19].
Un estratto metanolico a base di fogliame alla dose di 300mg/kg ha ridotto la glicemia delle cavie del 38.48% [20]. E’ in grado di inibire l’α-amylasi in maniera non competitiva e l’α-glucosidase in modo competitivo [21].
Altri studi hanno confermato le proprietà ipoglicemiche di semi e frutti [22].
Questa specie si è dimostrata superiore a Nauclea latifolia e Oxytenanthera abyssinica come agente naturale antidiabetico ed immunosoppressivo [23].

L’akuammicina stimola la ricaptazione del glucosio negli adipociti differenziati 3T3-L1 in maniera concentrazione dipendente e senza mostrare citotossicità, il meccanismo farmacologico non è ancora stato chiarito [15].

Antipiretico, antinfiammatorio, antitussivo, espettorante
Nel modello animale da piressia indotta da lipopolisaccaridi (LPS) la somministrazione intraperitoneale di un estratto metanolico a base di frutto di akuamma si è dimostrata più efficace dell’aspirina (38.7% contro 29.0%) nel controllo della condizione. Inoltre ha ridotto l’edema alle zampe dei ratti indotto dalla carragenina [24]. Anche la pseudoakuammigina isolata ha mostrato simili effetti antiflogistici [25].
Un estratto acquoso a base di una mistura di foglie e semi ha indotto significativi effetti antinfiammatori ed antidoloriferi nei ratti [26].
L’estratto alcolico dei semi agisce stabilizzando le cellule mastocitarie e sopprimendo la produzione di muco nelle vie aeree, oltre a ridurre lo stress ossidativo [27].

Antitumorale
Un estratto a base di corteccia di radice di Picralima nitida si è dimostrato attivo nei confronti delle cellule del cancro al seno MCF-7 attraverso un meccanismo non ben definito che comprende la riduzione della sovraespressione della proteina β1-integrina [28].
In un altra ricerca un estratto etanolico di semi ha inibito la proliferazione delle cellule T umane attivate dall’antigene CD3 in maniera concentrazione dipendente [29].

Adrenergico, uterotonico
Un estratto idroalcolico fatto col frutto di akuamma ha indotto una contrazione miometriale dose dipendente alla concentrazione di 0.035-0.28 mg/ml, paradossalmente sopra questo range l’effetto ha rilassato la muscolatura uterina delle cavie animali. Gli effetti sembrano mediati dalla modulazione del recettore  β-adrenergico [30]. L’akuammina si ipotizza possa agire come antagonista..

Gastroprotettivo, antisecretorio
Estratti metanolici e cloroformici di semi di Picralima nitida hanno ridotto il tempo di svuotamento gastrico e previsto oltre il 50% delle ulcere gastriche nel modello animale da aspirina-ligazione del piloro. Anche l’acidità gastrica è risultata inferiore ai controlli [31].

Antiossidante, epatoprotettivo, nefroprotettivo
Estratti metanolici di akuamma hanno stimolato i livelli di catalasi (CAT) e glutatione (GSH) dei ratti alleviando moderatamente la steatosi indotta dal tetracloruro di carbonio [32].
Un estratto etanolico ha protetto la funzionalità epatica e renale nel modello animale della malaria [33].

Antivirale
Le notevoli proprietà antimalariche della Picralima nitida hanno spinto un gruppo di ricerca a suggerire eventuali investigazioni farmacologiche per la ricerca di fitocomposti attivi nei confronti del COVID-19 [34].
In alcuni studi preliminari ha mostrato un certo effetto antivirale [35]

Antibatterico, antimicotico, antidiarroico
Un estratto metanolico fatto con le bucce dei semi di akuamma si è dimostrato attivo nei confronti di 10 ceppi batterici patogeni dell’intestino (Escherichia coli, Staphylococcus aureus, Shigella dysenteriae, Proteus vulgaris, Enterobacter cloacae, Streptococcus feacalis, Pseudomonas aeruginosa, Proteus mirabilis, Salmonella typhi, Bacillus cereus) e un lievito (Candida albicans) implicato nella diarrea bacillare. Inoltre dopo 3 giorni di trattamento ha ridotto efficacemente densità, frequenza e massa fecale dei ratti affetti dalla diarrea indotta da Shigella dysenteriae di tipo 1 [36].
Un estratto alcolico di semi si è dimostrato attivo su Staphylococcus aureus, Streptococcus pneumonia, Escherichia coli, Klebsiella pneumonia e Salmonella typhi [27].
6 derivati cumestanici isolati dalle radici hanno mostrato effetti antimicrobici su Escherichia coli, Staphylococcus aureus e Proteus vulgaris [37].

Antimalarico
Estratti di seme, buccia del frutto e corteccia sono dotati di una marcata attività inibitoria sui cloni di Plasmodium falciparum farmaco-resistenti alla dose di 1.23 – 32 µg/mL [38]. Risultati analoghi sono stati ottenuti con un estratto metanolico di frutto [24] e uno di radice [39]. I semi hanno mostrato un effetto chemosoppressivo dose-dipendente suo ceppi clorochina resistenti [40] e sensibili [41].
Allo stesso modo l’akuammina isolata è risultata attiva su entrambi i tipi [42].

Antiprotozoico
Akuamma Un estratto acquoso di corteccia di akuamma ha indotto un effetto tripanocida alla dose di 8 mg/kg comparabile a quello del diminazene aceturato [43].
Un estratto cloroformico di seme ha espresso un’attività significativa contro Leishmania donovani alla concentrazione di 50 µg/mL [44].

Pesticida
Estratti metanolici ed acquosi a base di foglie e semi di Picralima nitida hanno un effetto larvicida concentrazione e tempo-dipendente sul terzo e quarto stadio precoce della zanzara Anopheles gambiae [45].

TOSSICITA’
La massima dose terapeutica tollerata di decotto di akuamma è stimata sui 3000 mg/kg, considerando che la dose tradizione è circa 95mg/kg si può attribuire alla pianta un alto profilo di sicurezza [46]. Anche gli estratti metanolici, generalmente molto più pericolosi, sono risultati privi di tossicità significativa fino a 1000mg/kg sulle cavie [32].
Dal punto di vista cronico non ha mostrato effetti deleteri su sangue, fegato e reni somministrata giornalmente fino ad una settimana [22].
Il farmaco nigeriano a base di Alstonia boonei e Picralima nitida registrato col nome di MAMA Powder non ha mostrato nessuna tossicità nei topi fino a 30 giorni [14].

FONTI

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Etnobotanica 9: Amanita muscaria, fungo velenoso o medicinale? https://www.psycore.it/etnobotanica-9-amanita-muscaria-fungo-velenoso-o-medicinale/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=etnobotanica-9-amanita-muscaria-fungo-velenoso-o-medicinale Mon, 17 Jan 2022 12:09:07 +0000 https://www.psycorenet.org/?p=2746 Leggi tutto]]> L’Amanita muscaria è una specie complessa comprendente 4 diversi taxa – muscaria var. muscaria, muscaria subsp. flavivolvata, muscaria var. quessowii, muscaria var. inzengae – più altri 3 taxa che venivano considerati specie distinte, breckonii, gioiosa ed heterochroma [1].

La più comune in Europa e in Italia è la muscaria var. muscaria, riconoscibile dal classico cappello rosso e le verruche bianche che la pioggia può lavare via. Secondo Kögl e Erxleben il colore rosso è dovuto alla muscarufina, un derivato terfenilquinonico [2], la cui presenza però non è stata confermata dalle analisi successive. Inoltre si è visto che le tonalità gialle e rosse sono dovute ad un complicato miscuglio di composti molto labili diversi dai terfenilquinoni[3].

A. muscaria giallo/arancioneIn presenza di qualche carenza nello sviluppo del pigmento viola, la muscapurpurina, il fungo tende verso il giallo o arancione piuttosto che il rosso (foto a fianco).

Beringia
Mediante analisi filogenetiche sono stati individuati i 3 principali cladi (Eurasiatico, Eurasiatico-alpino e Nord-Americano) dell’A. muscaria distribuiti simpatricamente nel territorio dell’Alaska (Usa). Ogni specie condivide almeno 2 varianti morfologiche con le altre compatibilmente col fenomeno del polimorfismo ancestrale. Gli autori ipotizzano che si tratti di specie gemelle e non allopatriche, evolutesi in Beringia quindi frammentatesi in Nord America ed Eurasia.
Popolazioni di ciascun clade potrebbero esser sopravvissute nella zona adattandosi al freddo [4].

Infatti da una ricerca successiva si è visto che in effetti l’A. muscaria era già presente in Alaska durante l’ultimo periodo glaciale. Due popolazioni endemiche (aplotipo D in Clade I ed aplotipo D in Clade II) sono state individuate nella foresta boreale della regione interna e nelle foresta pluviale marittima dell’Alaska Sud-orientale e del Pacifico Nord-occidentale.
Molti aplotipi in Clade II erano condivisi con gli esemplari eurasiatici suggerendo un corposo fenomeno migratorio attraverso lo Stretto di Bering e aprendo la possibilità di un colonizzazione postglaciale dall’Asia [5].

Anche le analogie nelle pratiche associate al consumo del fungo fanno pensare a un antenato beringiano comune che accomuna le tribù nord-mericane ed euro-asiatiche.

ETNOMICOLOGIA

USA e Canada
Gli Ojibway (noti anche come Anishinaabe) e altre tribù Algonchine, come gli Innu e gli Abenachi, la impiegavano a scopo divinatorio nei rituali sciamanici. Un padre superiore dell’ordine dei Gesuiti, Perc Charles I’Allemant, scrisse nel 1626 una lettera dal Quebec al fratello in Francia, descrivendo le credenze religiosi dei nativi Algonchini. Riporta che fossero sicuri che una volta morti sarebbero andati in paradiso dove avrebbero mangiato funghi e intrattenuto rapporti sessuali.

Gordon Wasson, il famoso etnomicologo statunitense, dopo aver ricevuto questa notizia dall’amico e collega Claude Levi-Strauss, contattò un certo Nichols presso l’Università del Wisconsin che gli diede il contatto di uno sciamana Ojibway, Kenvaydinoquay. La donna era l’ultimo abitante di una piccola isola nell’area dei Grandi Laghi ed un esperto conoscitore della sua cultura [6].

Si deve a lei il racconto sulle origine dell’Amanita recuperato da un ojibeweg, un disegno tradizionale su una corteccia di betulla che fungeva da riferimento mnemonico per le storie raccontate nelle serate invernali – come la seguente:


«…era il fungo con il cappello rosso figlio di Nonna Cedro, e Nimishomiss Wigwass, Nonno Betulla.
C’erano due fratelli figli di una donna del clan del gufo e un uomo del clan dello storione, entrambi deceduti, che vivendo da soli condividendo ogni cosa.
Essendo ancora troppo giovani per il nome da uomo adulto venivano chiamati Fratello Anziano e Fratello Giovane.
Un giorno in cerca di cibo scalarono una montagna ed entrarono in un caverna da cui proveniva una luce ed un suono incredibile simile al ronzio di uno sciame d’api.
Videro un prato bellissimo in una splendida giornata di sole dove crescevano molti funghi alti di colore rosso e bianco che ruotavano e cantavano una strana canzone gioiosa.
Il fratello più giovane si precipitò dentro, l’altro cercò invano di fermarlo ricordandogli che non conoscevano gli spiriti che dimoravano in quel luogo.
Si gettò sul più grosso e bello dal cui cappello spuntò una lanugine bianca che fuse il corpo del fratello giovane al gambo del fungo.
Il più anziano vide il fratello sviluppare un cappello rosso accesso, quindi iniziò a volteggiare sotto al sole dapprima lentamente poi sempre più veloce.
L’altro nota della posizione del fratello e del grosso fungo che lo aveva trasformato, quindi fuggì via senza guardarsi più indietro fino al villaggio.
Raccontò l’accaduto agli anziani e agli uomini di medicina chiedendo loro consiglio. Loro interrogarono il Tamburo e gli diedero una risposta.
Doveva andare in un luogo chiamato “Posto delle Sabbie Magiche” sulle alte scogliere lungo il corso del lago.
Lì doveva raccogliere le sabbie magiche, onoman, e metterle in una borsa di pelle di cervo con del tabacco sacro quindi ringraziare gli spiriti del luogo con una preghiera.
Proseguendo sul sentiero fino al “Posto dove Crescono gli Alti Alberi e Nidificano le Acquile, doveva trovare l’albero più alto su si trovava il nido dell’aquila più grande, l’Uccello del Tuono.
Prese le piume, doveva dedicare una preghiera all’Uccello del Tuono e continuare la strada.
Doveva raggiungere la caverna dove aveva trovato i funghi ed individuare il capo, il più grande e bello.
Rivolgendosi ad est con le piume in mano e invocando la benedizione di Gitchi Manitou, doveva correre sul prato e affondare la piuma nel capo che avrebbe smesso di ruotare.
A quel punto doveva localizzare il più saggio dei funghi, l’anziano che sporulava, e trafiggere anche lui allo stesso modo.
Quindi doveva farlo anche sul fratello trasformato e, dopo avergli gettato addosso la sabbia magica, estirparlo con attenzione senza romperne niente.
Infine doveva uscire dalla caverna portandolo con se e lasciando l’ultima penna magica sull’apertura.
Allontanandosi il Fratello Giovane sarebbe diventato sempre più pesante fino a tornare quello originale tranne che per una penna d’aquila che sarebbe sempre rimasta a sporgere dalla sua pelle. I
l Fratello Anziano fece tutto alla lettera e le cose andarono come avevano previsto gli anziani.
Riuscì a riportare il fratello al villaggio e tornarono a vivere insieme in armonia.
Tuttavia col tempo il Fratello Anziano divenne sempre più triste mentre il giovane si svegliava sempre felice; inoltre passava molto più tempo ad urinare, specialmente quando la luna era piena. Indagando il Fratello Anziano scoprì che in realtà si addentrasse nel bosco.
Qui nel centro di un posto aperto al cospetto di molte persone aprì le braccia a guisa di cappello di fungo e con la veste rossa e le penne bianche in capo parlò con una voce simile al suono di uno sciame d’api.
Disse che era tornato dalla terra di Miskwedo per alleviare le sofferenze e portare via la tristezza, bastava avvicinarsi al suo pene e bagnarsi con le acque che ne sgorgavano.
Ogni volta che le nuvole coprono la luna nel cielo lui urina e le genti la raccolgono nei contenitori di legno di betulla.
Bevono il liquido donatogli dagli spiriti di Miskwedo, quindi tutti i membri del culto compreso Fratello Giovane che è il fungo capo cantano le loro canzoni allegre.
Fratello Anziano non capiva ed era triste pensando che non ne potesse venire niente di buono. Neanche Fratello Giovane aveva capito le vie del fungo ma continuò ad essere felice e dare beatitudine agli altri seguaci.
Così è fino ad oggi: ci sono Fratelli Anziani che non capiscono e sono tristi Fratelli Giovani che, anche non comprendendo, sono felici e bevono l’elisir accedendo alla conoscenze superiori.
L’elisir è Kesuwabo, il Potere liquido del Sole» [7].

La diatriba sull’uso dell’Amanita è insita nella stessa cultura Ojibway e ha radici antichissime. Keewaydinoquay raccontò che la sua maestra si opponeva fanaticamente al consumo del fungo ed aveva dovuto apprendere quest’arte da un altro sciamano. Dal racconto emergono anche le proprietà antidepressive, oltre all’usanza tradizionale di assumere i principi attivi dall’urina di altri assuntori in comune tra Hindu, nativi Americani e popolazioni slave.

I missionari cattolici e protestanti proibirono il consumo del fungo, tuttavia, in base ai dati forniti dalla sciamana, i bianchi che vivevano a stretto contatto con gli Anishinaabe lo conoscevano e alle volte ne facevano ricorso. In un resoconto del 1889 sulle loro usanze viene menzionata una forma di intossicazione tediosa impiegata per ottenere l’ispirazione per i canti cerimoniali che era stata sostituita da quella rapida dell’alcol [8].

Guatemala, Messico, Honduras
Durante le sue ricerche sui nomi locali dei funghi tra i Kʼiche del Guatemala  il famoso micologo e botanologo americano Bernard Lowy venne a sapere che l’Amanita era nota come kaqulja, tuono ma anche fulmine. l’analogia con la leggenda hindu di Garuda, dall’altra parte del mondo, supporta la teoria dell’origine ancestrale in Beringia [9].
I nativi lo consideravano velenoso e non lo consumano. Anche in diverse località in Messico i nomi popolari del fungo contengono riferimenti al tuono lasciando pensare che siano stati tramandati dalla comune civiltà progenitrice dei Maya.

A supporto di ciò dagli scavi archeologici , per lo più clandestini, in Messico meridionale, Honduras, Guatemala ed al Salvador sono stati rinvenute diverse statuette di pietra a forma di fungo datate 1000 a.C. che potrebbero testimoniare l’esistenza di un antico culto legato all’Amanita o agli Psilocybe [10].

Soma e cultura Hindu
SomaPer molti anni si è tentato di dare un identità precisa al leggendario Soma, una bevanda psicoattiva, menzionato nel Ṛgveda, il più antico testo della cultura indo-ariana. Negli anni ’70 Wasson ha proposto l’Amanita come il più probabile candidato allegando diverse argomentazioni [11]. La mancanza di riferimenti su una precisa parte botanica (radici, foglie, semi, etc.) fa pensare subito a un fungo. L’habitat montuoso dove cresceva potrebbe essere l’Himalaya o l’Hindu Kush, zone ricche di funghi spontanei.

I poeti vedici paragonano il Soma al sole e al fuoco, con un forma liquida come la pioggia e brillante come il fulmine. Il suo colore è rosso accesso come quello degli etasa, i destrieri che trainano il Sole.
Già da qui si notano molti elementi analoghi alle credenze dei nativi americani sull’Amanita.
In alcune descrizioni ritroviamo la possibile metafora tra i raggi del sole e le verruche bianche o gialle del fungo.

In altri passi viene descritto l’occhio singolo del Soma possibile cappello rosso privo di chiazze; viene chiamato anche “Pilastro del Cielo” alludendo forse al portamento eretto del fungo. Il cappello, murdhan, è collegato alle porte del paradiso.

Altri riferimenti riguardano la trama particolare che cambia in base alla maturazione e al momento della giornata: durante il giorno sembra fulvo, mentre la notte bianco-argentato. Un’ulteriore prova a sostegno della teoria di Wasson sarebbe l’aggettivo nabhi che presenta analogie col termine arcaico navel impiegato in Eurasia per indicare i funghi.

Dal Soma viene ritualmente spremuto un liquido giallo, Pavamana, che viene filtrato nella lana.
Nel IX Mandala un ulteriore filtro viene rappresentato dallo stesso Soma che, attraverso le verruche bianche filtra i raggi del sole provenienti dal paradiso. Il terzo filtro menzionato negli Inni 73 e 97 potrebbe essere proprio l’assuntore umano o animale, in riferimento alle particolari proprietà farmacologiche dell’Amanita che permette di assumere una dose attiva dall’urina di un altro assuntore.

L’ipotesi è supportata dalla descrizione di uomini gonfi (probabilmente per via della vescica piena) che espellono il Soma con l’urina. Il mito riporta che il dio Indra urinasse ogni giorno dopo aver assunto la bevanda che circolava nella pancia e nelle viscere. Un racconto Brahmano racconta che una volta la divinità ne bevve così tanto che uscì da tutti gli orifizi del suo corpo. Anche nel Mahabharata si menziona il consumo dell’urina di Krishna per accedere al reame degli immortali. I Manichei, una setta del Zoroastrismo, sotto stati criticati da funzionari cinesi per il consumo eccessivo di funghi rossi ed urina umana nelle loro cerimonie. In India i Sadhu trasmettono il potere ai discepoli in diversi modi, tra cui la somministrazione delle loro urina.

Secondo Wasson il fungo, non sempre disponibile, sarebbe stato sostituito progressivamente da surrogati tra le piante rampicanti lattiginose comuni nella zona come le specie Sarcostemma fino a venire completamente dimenticato dopo la conquista ariana dell’India. A conferma di ciò alla fine del Rigveda troviamo scritto che si crede di bere il Soma ogni volta che si pesta una pianta ma il vero Soma non lo beve nessuno.

Aja Ekapada, una rappresentazione di Shiva, significa “il non nato monopodalico”, riferendosi secondo Wasson a un fungo che si regge su un gambo e sembra nato dal nulla. A rinforzo di ciò, nell’Inno 65 del X libro del Rigveda l’epiteto del Soma, Pilastro del Cielo, viene usato su questa divinità. Inoltre Plinio riporta che una creatura monogamba viveva in India dormendo all’ombra del suo stesso piede. Da notare che i nativi Mazatechi in Messico chiamino l’Amanita muscaria con epiteti simili. Il corrispettivo dell’Uccello del Tuono sarebbe rappresentato da Garuda, il volatile a due teste, che ruba il Soma per riavere la madre rapita dai Naga.

Siberia
L’uso dell’Amanita è attestato sia in Siberia occidentale e Penisola del Tajmyr tra Ostiachi e Samoyeds che lo consumano occasionalmente ancora oggi; che in Siberia orientale tra Ciukci, Koryachi, Itelmen, Inuit, Yukaghiri, Evenchi e coloni Russi.
Tra i Khanty anche le donne potevano diventare sciamane e amministrare la droga. Il fungo viene associato a degli spiriti che hanno le sue fattezze e sono alti la metà di un uomo, questi pretendono l’obbedienza del consumatore e chiedono solitamente “perche mi hai mangiato?”. Una volta esposto il quesito rispondono con una canzone o un racconto e lo portano in altri mondi mostrando visioni. Tra i Koryachi sono noti come wapaq, appellativo usato anche per l’Amanita.
I Nenets della foresta credono che solo chi è affine alla natura intima del fungo può ottenerne beneficio, altrimenti gli spiriti non si fanno vedere e lo sciamano sprofonda nel buio. Oltre alla porzione normale consumano mezzo cappello per evocare uno spirito più debole  e lento di quelli normali. Così possono riuscire a stargli dietro nella mitica corsa verso il sole che credono di affrontare durante l’intossicazione.

L’antropologo russo Vladimir Bogoraz, che studiò la popolazione Ciukci in prossimità dell’Alaska, scrive di una mitica razza dotata di un solo attributo (una gamba, un occhio, etc.). Tra i loro racconti ce n’è uno in cui il Fulmine viene descritto come un uomo con un solo piede che trascina sua sorella intossicata dall’Amanita fino al paradiso dove, colpendo il pavimento, fa il rumore di un fulmine e la sua urina è pioggia [12]. Questi ed altri elementi sembrano in analogia con le altre popolazioni che consumavano l’Amanita muscaria.

Oltre all’uso magico e rituale, il fungo veniva impiegato come psicostimolante per facilitare il lavoro pesante ed alleviare lo stress fisico; gli effetti sulle capacità cognitive sono stati sfruttati per migliorare la performance e la recitazione dei racconti epici. In più veniva consumato come narcotico e sedativo [13].

Giappone
In Giappone il fungo viene chiamato bengi-tengu-take. Il termine tengu identifica i goblin delle montagne, mitologici guardiani dei templi noti per le loro burle beffarde e la capacità di volare (entrambi attributi tipici dell’ebbrezza indotta dall’Amanita). Nel racconto popolare intitolato Mottomo no Soshi, una di queste creature diventa ubriaca mangiando un certo fungo che si presume sia l’Amanita muscaria. Da sempre vengono preparati e conservati sottaceto per essere consumati senza rischio di intossicazioni, la lunga macerazione determina il passaggio dei principi attivi sopravvissuti alla cottura nel liquido acido di conservazione [14].

MICOCOSTITUENTI

Alcaloidi: muscimolo, muscazone, muscarina (0.0002-0.0003 %), allomuscarina, epimuscarina, muscaridina, R-4-idrossi-2-pirrolidone (tracce), 1,2,3,4-Tetraidro-1-metil-β-carbolina (>10 ppm);
amminoacidi: acido ibotenico, acido tricolomico (la cui probabile presenza non è però mai stata confermata da analisi definitive), acido stizolobico, acido stizolobinico, hercinina, betaina;
pigmenti: muscarufina, muscaurine, muscaflavina, muscapurpurina, muscarubrina;
polisaccaridi: β-D-glucano, glucano alcali-solubile α-(1→3), fucomannogalactano;
alcoli: mannitolo
metalli: argento, alluminio, arsenico, cadmio, rame, mercurio, manganese, rubidio, selenio, zinco e vanadio (principalmente come amavadina);
polipeptidi: amatossine, fallotossine (tracce);
altri: colina, acetilcolina.

Il principale composto psicoattivo è il muscimolo, l’acido ibotenico ha una potenza di circa 5-10 volte inferiore, il muscazone è il meno attivo.

Secondo alcuni autori contiene anche piccole quantità bufotenina ed alcaloidi tropanici come atropina, iosciamina e scopolamina [15], tuttavia  il fungo contiene diversi sostanze basiche, probabilmente ammine o simili composti dalla struttura semplice, che mostrano una mobilità cromatografica simile a certi alcaloidi delle Solanaceae [16]. La loro presenza infatti non è mai stata dimostrata da analisi affidabili e i report aneddotici suggeriscono che non siano coinvolti negli effetti psicotropi dell’Amanita muscaria.

La concentrazione degli alcaloidi non è uniforme in tutte le parti: le massima sono localizzate nella polpa gialla sotto la cuticola (0,086% acido ibotenico e 0,042% muscimolo peso fresco), quella bianca contiene circa 3-4 volte meno acido ibotenico e 1/6 in meno di muscimolo.
La lamina contiene un livello di muscimolo comparabile alla polpa gialla ma un contenuto relativamente basso di acido ibotenico (0,01% peso fresco), il gambo contiene pochissimi alcaloidi e viene sovente scartato per la presenza di larve (valori ottenuti da [17]).
Anche nelle spore sono presenti piccole tracce di alcaloidi [18].
La cuticola viene sovente scartata essendo povera di alcaloidi e ricca di pigmenti potenzialmente indigesti (o anche tossici).

La maturità del fungo incide sulla quantità di principio attivo, le concentrazioni massime sono state riportate nei primi stadi dello sviluppo quando è più visibile ad eventuali predatori [19].
Altri fattori importanti sono il periodo di raccolta ( i funghi raccolti in estate hanno concentrazioni fino a 10 volte superiori di quelli autunnali [20]) e la varietà di muscaria (le specie americane var flavivolvata e guessowii sono risultate generalmente meno potenti della muscaria eurasiatica).

TOSSICITA’

In passato l’Amanita muscaria veniva considerata il fungo velenoso per eccellenza, dopo che ne venne isolata per la prima volta la muscarina, un alcaloide molto tossico che ha importanti effetti sul sistema parasimpatico. Tuttavia questa specie contiene una percentuale di circa 0.0003% del peso fresco e servirebbero diversi chili di fungo per assorbirne una quantità significativa. Gli Inocybe e Clitocybe arrivano anche a concentrazioni di oltre 1.6% del peso fresco [21].

Lo stigma, oltre al tabù religioso, è dovuto più che altro alla tossicità di altre specie del genere come verna, virosa e phalloides che sono conosciute da sempre come mortali e velenose, si pensi all’assassino dell’imperatore romano Claudio [22]. Questi funghi sono tossici non tanto per il contenuto di muscarina ma per quello di ciclopeptidi, come le amatossine e le fallotossine, che non vengono degradati da cottura, essiccazione o congelamento.

Anche la tossicità dell’acido ibotenico è tutt’altro che scontata. Il composto si comporta come agente lesionante se iniettato direttamente nel cervello; il metabolismo, data anche l’instabilità e la scarsa biodisponibilità della molecola, potrebbe cambiare drasticamente la severità degli effetti. Infatti la somministrazione di dosaggi massivi per via intraperitoneale nei ratti non ha mostrato alcun segno di eccitotossicità [23].

A conferma di ciò un estratto acquoso di Amanita muscaria (non decarbossilato) assunto con le stesse modalità ha ridotto i livelli di acetilcolina esterasi, glicogeno epatico e l’indice di azoto ureico dei ratti maschi incrementando la glicemia solo temporaneamente ed in maniera reversibile. I valori sono tornati alla normalità in sole 6h e le funzioni vegetative non sono risultate alterate suggerendo che il fungo sia sicuro in acuto per fegato e reni [24].

Piuttosto bisognerebbe fare attenzione al contenuto di metalli pesanti tossici come mercurio e cadmio (in base anche al substrato ed all’ambiente di crescita), di cui l’Amanita muscaria è un efficiente bio-concentratore [22]). Anche composti meno conosciuti come l’acido stizolobico, un altro amminoacido eccitatorio, o l’acido tricolomico, in grado di inibire i neuroni degli invertebrati, potrebbero determinare una certa tossicità se fossero presenti in quantità significative. Se poi si considera anche l’aspetto cronico, c’è anche da monitorare lo stress renale ed epatico indotto dalle somministrazioni ripetute [26].

ESTRAZIONE E PREPARAZIONE

L’acido ibotenico viene convertito in muscimolo attraverso la decarbossilazione, trattando il fungo fresco si riduce il primo composto in favore del secondo.

L’essiccazione a freddo non altera significativamente il rapporto acido ibotenico/muscimolo ma concentra semplicemente i principi attivi eliminando la parte acquosa. Essiccandolo a caldo artificialmente a 40C° l’acido ibotenico diminuisce leggermente mentre il muscimolo aumenta di circa 10 volte; a 80C° il primo composto diminuisce fino a meno del 20% mentre il secondo arriva al 650% del contenuto di partenza. A 120C° restano solo tracce di acido ibotenico e il muscimolo viene ridotto di circa il 50%.

L’esposizione al sole per 3 giorni dimezza il contenuto di acido ibotenico e decuplica quello di muscimolo; a 11 giorni del primo rimane solo un 10% circa, mentre il secondo aumenta di 4-5 volte. L’acido ibotenico viene anche covertito in muscazone, un metabolita meno attivo, a una certa lunghezza di radiazioni UV.

Una volta essiccato il fungo si può fare un decotto acido per decarbossilare ulteriormente l’acido ibotenico, dopo 90m di bollitura a PH 4 il composto si è ridotto fino al 70% in favore del muscimolo che arriva fino al 150% (valori ottenuti da [27]).

A. MuscariaLa glutammato decarbossilasi è risultata di gran lunga superiore all’acido cloridico nella conversione dell’acido ibotenico in muscimolo ( 92.77% contro 53.89%) [28]. E ipotizzabile che fare lo yogurt fermentando il latte insieme al fungo possa risultare in un prodotto superiore al decotto. L’unico modo per avere una conversione ugualmente efficiente è infonderlo in una soluzione di dimetilsolfossido (DMSO) e acqua triziata (3H2O) [29].

 

FARMACOLOGIA

Il muscimolo è strutturalmente simile all’acido γ-amminobutirrico (GABA) ma diversamente da questo può superare la barriera ematoencefalica o mediante un meccanismo di trasporto attivo o perchè sufficientemente solubile nella membrana lipidica. Agisce come agonista del GABA-A e agonista parziale del GABA-C, ma è il legame col primo che determina gli effetti comportamentali caratteristici. Si è visto che gli effetti sedativi ed atassici indotti nei topi dipendano dall’alta affinità nelle regioni come talamo, ippocampo, nucleo caudato e putamen per una specifica popolazione di recettori GABA-A contenenti subunità a6 e mancanti di a1.

Da studi effettuati con radioligandi sui recettori GABA-A del cervello dei bovini è emerso che il muscimolo si lega sia ai siti ad alta affinità (Kd = 10 nM) che bassa (Kd = 0.27 mM), attiva funzionalmente il recettore (EC50 = 0.2 mM) ed inibisce la ricaptazione del GABA.
Provoca l’innalzamento della serotonina e l’abbassamento dei livelli di catecolamine nel cervello. Applicato localmente nei ratti ha ridotto il rilascio di GABA dal corpo striato [30].
Inoltre agisce come substrato per la GABA transaminasi [31].

A. Muscaria L’acido ibotenico agisce come agonista sul recettore dell’N-metil-D-aspartato (NMDA) e metabotropici del quisqualato (Qm). Diversamente dagli acidi kainici non sopprime il legame col glutammato e ha poca affinità per i loro siti di legame, risultando meno tossico [32].

La capacità di penetrazione della barriera ematoencefalica di questo composto non è ancora stata ben definita, gli effetti che induce sono spiegabili attraverso la piccola quantità di muscimolo ottenibile dal metabolismo endogeno dell’acido.

Urina e detossificazione
Alcune fonti riportano che l’esperienza migliore si ottiene dal consumo dell’urina di chi ha assunto l’Amanita, o anche meglio da quella di chi ha bevuto l’urina arrivando a una sorta di terzo livello. Tuttavia non è vero che l’acido ibotenico viene completamente convertito nel corpo in muscimolo. Il fatto che siano stati ottenuti gli stessi effetti psicoattivi dal’ingestione orale di 100 mg di acido ibotenico e 10 mg di muscimolo [33] suggerisce che solo il 5-10% del primo composto venga decarbossilato (e che gli effetti visionari dipendano principalmente dal secondo).
Inoltre in base ad analisi (inedite) effettuate dal Dr. Scott Chilton è l’acido ibotenico che viene escreto in gran parte nelle urine, i residui di muscimolo sono minimi [34]. A conferma di ciò Ott ha riportato che solo una piccola percentuale di muscimolo inettato nei topi viene espulsa nelle urine [35]. Quello che viene eliminato nell’urina sono gli amminoacidi non proteinogenici o anche le piccole tracce di muscarina (oltre a gran parte del muscimolo), non l’acido ibotenico.

In Siberia solo chi non poteva permettersi il fungo, che valeva anche quanto diverse renne, beveva l’urina dei più benestanti al fine di ottenere lo stesso effetto. Alle volte anche come booster dopo la dose di fungo vera e propria. Non era una scelta, né un onore riservato a pochi, ma solo un modo economico per ovviare alla penuria di Amanita [36].

Dipendenza e attività dopaminergica
Diversamente dalle benzodiazepine il muscimolo non causa dipendenza, agisce come un agonista e non come un modulatore allosterico positivo [37].

Nei test in-vivo si è comportato in maniera bifasica: le basse dosi di muscimolo inibiscono preferenzialmente gli interneuroni GABAergici risultando nella disinibizione delle cellule dopaminergiche dell’area ventrale tegmentale e, di conseguenza, incrementando i livelli mesolimbici di dopamina; al contrario le alte inibiscono i neuroni dopaminergici (DA). Ciò può essere spiegato dalla diversa espressione dei recettori GABA-A nelle cellule non-DA, oltre al pattern di innervazione GABAergica (più densamente rappresentato nelle non-DA) [38].

L’applicazione bilaterale del composto nel nucleus accumbens ha indotto una marcata ipoattività, al contrario nella substantia nigra ha stimolato il comportamento stereotipato dei ratti. Nel dorsale del rafe ha provocato un aumento dell’attività locomotoria [39].

Somministrato in dosaggi non-sedanti (8.8 µmol/kg, subcutaneo) insieme a cocaina (10 mg/kg, intraperitoneale) ed apomorfina (1.5 mg/kg, subcutaneo) ha bloccato l’aumento nell’attività locomotoria ed immobilizzato le cavie. Inoltre ha ridotto iperattività ed ipermotilità indotte dalla morfina (25 mg/kg, subcutaneo), da solo invece ha indotto stimolazione (5.5 µmol/kg, intraperitoneale) [40]. L’iniezione di muscimolo nell’amigdala ha ridotto l’autosomministrazione di etanolo nei ratti dipendenti ma non nei controlli sani [41].

Analgesia ed assuefazione
Il muscimolo ha indotto un marcato effetto analgesico nei ratti, l’esposizione ripetuta ogni 4 ore ha portato allo sviluppo progressivo della tolleranza ma la pre-somministrazione di naloxone ha ridotto questi adattamenti senza influire sull’efficacia delle dosi successive alla prima.
In più pretrattamento a base di muscimolo ha attenuato l’assuefazione progressiva alla morfina potenziando al contrario gli effetti della prima dose. I ricercatori non hanno notato nessun sintomo d’astinenza imputabile al muscimolo [42].

Allucinogeno
L’attivazione del recettore GABA-C presente nella retina determina i particolari ed effetti visivi (micropsia e macropsia) indotti dagli alti dosaggi di Amanita muscaria [43].
Le allucinazioni visive ed uditive indotte dal muscimolo sono molto diverse da quelle strutturate degli psichedelici, più simili a quelle di altri GABAergici allucinogenici.

È stato suggerito che gli alti livelli di mannitolo presenti nei tessuti del fungo permettano un trasporto centrale più efficiente degli alcaloidi, per questo gli effetti allucinogeni derivanti dal consumo del fungo sono superiori rispetto alla stessa quantità di principi attivi isolati [44].

L’azione psicotropa dell’A. muscaria risulta evidentemente identificabile nel muscimolo. Questo derivato isossazolico può indurre allucinazioni ed alterazioni sensoriali come lo zolpidem o altre nonbenzodiazepine (z-drugs); il meccanismo ancora non è stato chiarito ma a quanto pare, nonostante la mancanza di affinità serotoninergiche, viene influenzato dall’inibizione dell’uptake della serotonina [45].

Anticolinergico/colinergico
Sebbene muscimolo ed acido ibotenico non abbiano di per se effetti anticolinergici diretti, l’intossicazione severa da A. muscaria è stata caratterizzata come sindrome micoatropinica per via dei sintomi simili a quelli indotti dalle Solanaceae psicoattive. Si alternano fasi di depressione a stimolazione con una sintomatologia che comprende perdita della coordinazione motoria, tachicardia, riduzione della motilità intestinale, ipertermia, tremori, disturbi respiratori, amnesia retrograda, secchezza cutanea e delle mucose. Secondo alcune fonti questi effetti paradossali sarebbero dovuti all’interazione tra sostanze anticolinergiche e colinergiche [46].

La presenza di atropina o altri alcaloidi tropanici è stata smentita in più occasioni; anche la responsabilità della muscarina, potente tossina colinergica, (o dell’acetilcolina) è stata messa da parte per via delle limitatissime concentrazioni rilevate. Piuttosto il muscimolo, a dosaggi estremamente alti, potrebbe indurre effetti delirogeni analogamente ad altri GABAergici particolari come lo zolpidem [47].

Psicotico, ansiolitico
La somministrazione di muscimolo oralmente in 6 pazienti schizofrenici alla dose di 7 e 10 mg ha incrementato i sintomi psicotici relativamente ai punteggi di confusione, affettività e disturbi del pensiero. Lo stato di disorientamento indotto era caratterizzato da un’intensa preoccupazione interna con perdita di attenzione ed orientamento, il picco arrivava 1-2 ore dopo l’ingestione e gli effetti residui si esaurivano 5 ore dopo la dose. Spasmi mioclonici, sonnolenza e sogni vividi sono stati riportati in tutti i soggetti.
Dosaggi più bassi (5mg) hanno indotto un effetto tranquillante in diversi pazienti sena influire sul pensiero psicotico. La sostanza non ha mostrato tossicità sui segni vitali neanche alle dosi alte.

Gli effetti deleteri notati a 7-10mg potrebbero essere dovuti all’alterazione della coscienza indotta dal muscimolo, che in genere provoca preoccupazione interna e sogni vividi anche nei soggetti sani e potrebbe aggravare i sintomi psicotici indirettamente. A 5mg l’effetto visionario sembra essere trascurabile [48]. L’azione ansiolitica si deve all’attivazione dei recettori GABA localizzati nel nucleo laterale dell’amigdala [49].

Sedativo, sonnifero, oneirogeno
La somministrazione di muscimolo nel nucleo del rafe dorsale dei felini ha incrementato la durata del sonno REM attraverso il meccanismo GABA-dipendente di modulazione serotoninergico del nucleo [50]. Tuttavia l’inezione di muscimolo nel nucleo tegmentale pedunculopontino dei ratti ha soppresso il ritmo θ, uno dei marker dell’attività REM nell’ippocampo [51].
Nei ratti ha indotto un pattern di attivazione neuronale che riflette quello del sonno naturale in nucleo preottico ventrolaterale (VLPO) e tuberomammilare (TMN) ma non nel locus coeruleus [52].
Altre evidenze animali riportano il potenziamento dell’effetto di benzodiazepine ed altri sedativi [53].

Stimolante
Si è speculato a lungo sugli effetti dell’acido ibotenico identificandoli con la componente stimolante dell’esperienza, tuttavia l’azione psicotropa del composto, indipendentemente dalla sua funzione di profarmaco per il muscimolo, non è chiara. Infatti le risposte fisiologiche estremamente simili indotte nei test comparativi dai due alcaloidi suggeriscono che abbia scarsa biodisponibilità e non superi facilmente la barriera ematoencefalica. L’assunzione di 20 mg per via orale ha provocato in un soggetto parestesia e sonnolenza, senza stimolazioni o alterazioni a carico di pressione sanguigna e frequenza cardiaca [54].

In condizioni sperimentali (iniezione intracranica) ha provocato eccitotossicità attraverso l’agonismo sui recettori NMDA ed in misura minore, quelli per kainato e quisqualato [55]. L’R-4-idrossi-2-pirrolidone è stato isolato da una frazione che ha contrastato l’effetto dei farmaci narcotici, ma le concertazioni estremamente basse nel fungo ne fanno un elemento farmacologicamente trascurabile [56]. L’acido stizolobico e stizolobinico agiscono come antagonisti competitivi sui recettori del glutammato e del quisqualato e quindi potrebbero influenzare la tossicità centrale dell’ibotenico. Non si conoscono i potenziali effetti psicoattivi sull’uomo, ma in un esperimento hanno stimolato il midollo spinale dei ratti [57].

L’acido tricolomico ha inibito la decarbossilasi dell’acido glutamico batterica, l’anzima che converte il glutammato in GABA; se avvenisse lo stesso nei mammiferi e fosse presente a concentrazioni significative potrebbe contribuire all’eccitossicità dell’Amanita [58]. Infine bisogna tenere conto che gli effetti paradossali stimolanti/narcotici sono comuni nei GABAergici in base al dosaggio e potrebbero essere provocati dal solo muscimolo [59].

Anticonvulsivante, miorilassante, antispastico
L’attività EEG del muscimolo (2mg/kg) su cani, conigli e gatti differisce notevolmente da quella dei classici psichedelici come LSD o mescalina e consiste principalmente di picchi ed onde lente come gli agenti anticolinergici o convulsivi [60].
Nei ratti, tuttavia, ha contrastato l’aumento dei livelli di guanosina monofosfato ciclica e le convulsioni indotte dell’isoniazide [61]; in altri esperimenti ha ridotto la frequenza di firing dei neuroni corticali potenziando gli effetti protettivi del sodio valproato [62].

Il legame con il GABA-A determina anche la soppressione pre e post-sinaptica della trasmissione nervosa tra motoneuroni spinali e afferenti muscolari [63]. Microiniezioni nel talamo ventrale intermedio hanno ridotto i sintomi dei pazienti affetti da tremore essentiale [64].

Capacità cognitive e malattie neurodegenerative
Il muscimolo ha alterato la ritenzione mnestica dei ratti, una dose successiva ha ripristinato la memoria acquisita. Il pretrattamento con morfina ha inibito questo meccanismo, il naloxone lo ha potenziato suggerendo il coinvolgimento del recettore μ-oppioide dorsale ippocampale [65].
Per via intraippocampale ha modulato le strategie ma non la velocità d’apprendimento dei ratti femmina con effetti variabili in base al ciclo estrale delle cavie [66]. In gatti e conigli, ne risulta compromessa la prestazione condizionata dalla ricompensa [60].

Dosaggi bassi micromolari di muscimolo hanno normalizzato le capacità cognitive e l’espressione proteica nel cervello riducendo la sovraespressione di acetilcolina esterasi nel modello animale del morbo di Alzheimer da steptozocina intracerebroventricolare. I ricercatori ipotizzano che gli effetti siano mediati dal legame con i siti aspecifici dei recettori GABA o dall’attivazione di meccanismi regolatori allosterici [67].

In uno studio a doppio cieco la somministrazione orale ha ridotto la corea in un soggetto affetto da malattia di Huntington con sintomi ipercinetici molto severi, inducendo però distonia, alterazioni elettroencefalografiche e comportamentali [68].

Neuroprotettivo
Il muscimolo è in grado di proteggere i neuroni piramidali dall’eccessiva eccitabilità stimolando la modulazione del recettore GABA-A sui neuroni glutammatergici e riducendo, di conseguenza, l’attivazione del recettore NMDA [69].

Immunomodulante, antinfiammatorio
Il muscimolo inibisce per via GABA-dipendente la sintesi dell’ossido nitrico [70] e con un meccanismo GABA-indipendente ne stimola il rilascio [71].
Nel modello animale di endotoxemia da lipopolisaccaridi ha inibito la produzione sierica di TNFα, IL-1β, IL-12 incrementando quella di IL-10 e la sopravvivenza delle cavie [72].

Nutrizione
L‘Amanita muscaria si difende dai fungivori innescando un meccanismo di apprendimento condizionato dalla tossicità del muscimolo, è stato registrato il caso dell’opossum (Didelphis virginiana) che dopo aver consumato il fungo (ed essere rimasta intossicata) ha sviluppato un’avversione alimentare per lo stesso [73].

L’infusione di muscimolo nella corteccia insulare agranulare (AIC) ha ridotto assunzione di cibo, durata totale del pasto dei ratti, nella corteccia prefrontale ventromediale invece ha incrementato la durata della sessione media producendo anche un modesto effetto inibitorio sui comportamenti esplorativi [74].

Iniettato nell’ipotalamo ventromediale e nella parete nucleus accumbens ha stimolato il consumo di cibo delle cavie [75]; nel pallido ventrale ha ridotto il consumo del cibo preferito, stimolando invece quello del meno appetibile [76]. Gli effetti stimolanti vengono inibiti dagli antagonisti oppioidi μ, κ or δ sottolineando un importante interazione del GABA col sistema oppioidergico [77].

L’acido tricolomico isolato dal fungo ha un sapore gradevole superiore al glutammato monosodico e sinergico con l’aroma dell’acido inosinico e guanilico [78]. Anche acido ibotenico ed altri amminoacidi derivati influenzano la palatabilità dei cibi.

Ipoglicemico
L’applicazione intracerebroventricolare di muscimolo ha indotto un abbassamento della glicemia incrementando i livelli plasmatici di insulina e riducendo quelli di glucagone e somatostatina [79]
Per via introipotalamica può sopprimere l’ipeglicemia provocata dai neuroni colinergici dell’ippocampo in maniera dose dipendente [80].
La somministrazione intravenosa (1.5 mg/kg) ha ridotto l’utilizzo di glucosio da parte del sistema nervoso centrale dei ratti, la distribuzione regionale delle alterazioni non ha riflesso la topografia dei neuroni e recettori GABAergici [81].
Gli effetti glicemici determinano una riduzione del flusso sanguigno cerebrale, il composto non ha un effetto vasodilatatore diretto [82].
Esperimenti effettuati sul pancreas dei ratti hanno dimostrato che il muscimolo inibisce il rilascio di somastatina stimolato dal glucosio senza influire su quello di insulina [83].

Ipotensivo, bradicardico
Una microiniezione di muscimolo (2 mM in 100 nL) nel nucleo paraventricolare ipotalamico ha ridotto la pressione arteriosa media e la frequenza cardiaca dei ratti diabetici attivando i recettori GABAergici del romboencefalo [84].
Stessi risultati sono stati ottenuti sui gatti anestetizzati iniettandolo nel nucleo reticolare laterale [85].
Inoltre sembra attenuare il riflesso barocettivo [86].
Gli effetti ipotensivi sono mediati dai centri localizzati nella regione anteriore o sulla superficie anteroventrale dell’encefalo, con un piccolo contributo anche dai siti soprabulbari del proencefalo [87].

Ipertermico
Il muscimolo intraperitoneale ha indotto effetti termici dose dipendenti nei ratti che coinvolgono il metabolismo delle prostaglandine [88].

Insetticida
L’appellativo della specie, “muscaria”, si deve alla capacità del fungo di attrarre ed intossicare le mosche che ne ha fatto da sempre un popolare pesticida naturale nel corso della storia presso diverse culture.

L’acido ibotenico e, in misura minore, il muscimolo sono tossici sulle specie di Drosophila frugivore (D. immigrans e melanogaster), ma non su quelle micofage (D. bizonata, angularis, brachynephros) [89].

Da esperimenti degli anni 60′ si è visto che i principi attivi del fungo agiscono sul sistema nervoso centrale degli insetti e non sul muscolare periferico intossicando le mosche ed uccidendone gran parte. Tuttavia l’alto indice di mortalità potrebbe essere dovuto alle condizioni sperimentali lontane da quelle naturali o all’anidride carbonica prodotta dal fungo nell’ambiente ristretto [90].

Un estratto acquoso di Amanita muscaria ha manifestato un significativo effetto larvicida contro le zanzare (Culex quinquefasciatus) [91]. L’acido tricolomico ha inibito i neuroni degli invertebrati [92].

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FONTI

1)Tulloss, R. E. “Amanita breckonii Ammirati & Thiers”. Studies in the Genus Amanita Pers. (Agaricales, Fungi)(2012).

2)Kögl, Fr., Erxleben, Hanni, und. Janecke, L., “Untersuchungen über Pilzfarbstoffe. IX. Die Konstitution der Thelephorsäure.” Liebigs Ann. (1930). 

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Etnobotanica 8: Acorus calamus, un rizoma aromatico https://www.psycore.it/etnobotanica-8-acorus-calamus-un-rizoma-aromatico/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=etnobotanica-8-acorus-calamus-un-rizoma-aromatico Sat, 23 Oct 2021 16:02:26 +0000 https://www.psycorenet.org/?p=2540 Leggi tutto]]> Acorus calamus DATI ETNOGRAFICI

Mondo antico

Il nome deriva dal termine greco calamos, cioè “canna”, per via della somiglianza con quest’ultima: a quei tempi veniva usato per dare un tocco di odore gradevole agli ambienti chiusi, soprattutto nelle chiese. Il nome del genere Acorus proviene da coreon, una malattia degli occhi diffusasi in Grecia per cui si somministrava il calamo aromatico. Ippocrate ne conosceva le proprietà medicinali, compare anche negli scritti di Dioscoride e Teofrasto.

Gli antichi Romani lo consideravano un potente afrodisiaco e lo associavano a Venere [1]. Alcuni resti di calamo aromatico sono stati rinvenuti nella tomba di Tutankhamen in Egitto [2]. La pianta veniva impiegata nell’antico Egitto per la produzione di profumi, oltre che nel trattamento della linfadenite cervicale [3]. Gli arabi lo lodavano come rimedio per i reflussi gastrici.

Viene menzionato 3 volte nella Bibbia: Dio istruisce Mosè affinchè prepari un olio santo per ungere tabernacolo, Arca dell’alleanza e altri oggetti rituali. La ricetta comprende mirto, franchincenso, cannella, calamo, cassia, galbano e spezie dolci (Esodo 30:23,24,34). Veniva coltivato nei giardini di Salomone (Salomone 4:14) e venduto nel mercato di Tiro in Libano (Ezechiele 27:19). Viene citato anche nel IV papiro di Chester Beatty.

L’Acorus calamus era un ingrediente della pozione d’amore medievale prescritta da Zacutus Lusitanus, famoso medico portoghese. Veniva impiegato dalle streghe nella preparazione del flying ointment insieme a solanacee delirogene ed altre piante.

Nativi americani

Il geografo Americano Sauer scrisse che il tubero di Acorus calamus veniva usato dai nativi americani prima che fosse scoperto dagli occidentali bianchi [4]. Le tribù delle praterie gli attribuivano poteri mistici, e i Pawnee ne cantavano le lodi durante le cerimonie misteriche. Gli sciamani Siouani del Nord Dakota lo utilizzavano nella loro danza sacra. Le tribù Cree e Ojibway lo masticavano durante le lunghe spedizioni di caccia come per alleviare la fame ed avere più energia.

La pianta viene associata al topo muschiato (Ondatra zibethica) che ne va ghiotto. Una leggenda dei Penobscot dice che un il topo avesse detto a un uomo di esserne la radice e dove potesse trovarlo. L’uomo, svegliatosi, andò a raccoglierla e ne fece una medicina per curare le sue genti dalla peste e, forse, anche dal colera.

I Chippewa lo inalavano contro il raffreddore, per i problemi bronchiali in una preparazione inclusiva di Xanthoxylon americanum, Sassafras variifolium e Asarum canadense. Dakota, Omaha, Winnebago e Pawnee lo masticavano o ne facevano un infuso, polverizzato veniva bruciato sulle braci per inalarne il vapore e liberare le vie aree.

I Cree ne facevano un infuso per trattare mal di testa, mal di denti e dismenorrea. I gruppi delle paludi masticavano la radice per curare faringiti ed altri problemi alla gola. Gli Abnaki bevevano il decotto tiepido di calamo come rimedio per meteorismo e flatulenza. I Sioux lo consumavano contro i disturbi gastrici, ne inalavano i fumi per alleviare il mal di testa. Lo applicavano localmente come anestetico e cicatrizzante. Lo masticavano durante le battaglie per instillare coraggio e potenziare la resistenza dei guerrieri. Lo davano ai cani da guardia per renderli più feroci, ci foreggiavano anche i cavalli per farli diventare più veloci.
Le donne Menominee la macinavano insieme a radice di sanguinaria e legno di cedro come rimedio per l’irregolarità mestruale. I Blackfott del Montana lo impiegavano come abortificente. I Meskwaki lo applicavano esternamente sulle bruciature [5].

Medicine tradizionali

Il calamo viene usato da secoli in India per le sue proprietà emetiche, calmanti, sedative, nootropiche, afrodisiache e purificatrici; ma soprattutto come sostituto della coca ed energizzante per i lavori pesanti. Nella medicina ayurvedica l’infuso di calamo viene somministrato ai bambini per trattare diarrea colerica, dissenteria, bronchite, tosse, febbre, dispepsia, epilessia, parassiti intestinali, mal di denti e coliche. L’olio viene impiegato come espettorante, calmante e stimolante dell’appetito; mischiato alla corteccia di Cinchona viene prescritto nei casi di febbre intermittente e tifoide. Localmente si applica per fermare l’emorragia post-aborto. Il rizoma mischiato ad aglio, cumino, sale, zucchero e burro viene dato da mangiare ai cavalli per rinforzarli; inoltre si crede induca un effetto narcotico sui cobra [6].

In Tibet ha una lunga tradizione nella cura del cancro. La radice viene mischiata con Ferula foetida, Zingiber officinale, Cuminum cymmum, Terminalia chebula, Inula racemosa e Saussurea lappa viene indicata contro colera, febbre cronica, pesantezza di stomaco, nervosistmo e tumore a sede primitiva ignota [7].

Nella Medicina Tradizionale Cinese il rizoma di Acorus calamus viene raccomandato nel trattamento di coliche, inappetenza, dispepsia, nausea, infiammazioni alla mucosa gastrica, bronchite, tosse, raffreddore, tubercolosi, mal di testa, febbre, vertigini, disturbi neurologici, cancro, artrite, epilessia, infarto, aritmi,. Esternamente lo applicano come emostatico, analgesico. Sono rinomate anche le sue proprietà afrodisiache e psicoattive, ne facevano una pozione allucinogena per “vedere gli spiriti” mischiandolo con Cannabis sativa e Podophyllum pleianthum [8].

Europa

La pianta è stata introdotta nel Regno Unito nel tardo XVI secolo, l’erborista inglese John Gerard lo coltivava nel suo giardino [9]. La radice veniva mescolata con gesso e magnesio per curare la febbre alta, a Norfolk veniva impiegato contro il tifo. È stato diffuso in Polonia dai Tartari che bevevano solo l’acqua in cui era stato macerato il rizoma della pianta [10].

Durante il periodo della peste in Europa una banda di ladri rubò nelle case degli infetti senza timore di contrarre il morbo. Una volta catturati confessarono di aver bevuto una pozione preparata facendo macerare al sole nell’aceto rosso per diverse settimane assenzio, rosmarino, salvia, menta, ruta, lavanda, calamo, cannella, chiodi di garofano, noce moscata e aglio. La soluzione veniva poi distillata ed addizionata con la canfora [11].

FITOCOMPLESSO

fenilpropanoidi: β-asarone, α-asarone, γ-Asarone, E-asarone, idrossiasarone, asaraldeide, acoramone, calamolo, estragolo, anetolo;

terpenoidi: calamusin, acorenone, idrossiacorenone, farnesene, α-cedrene, linalolo, carvacrolo, pinene, mircene, paracimene, γ-terpinene, α-terpinolene, timolo, β-elemene, β-acoradiene, γ-curcumene, zingiberene, fellandrene, tujano, β-gurjunene, aristolene, vulgarolo B, limonene, eudesmano, bullatantriolo, teuclatriolo, eudesmina, metil eudesmina, magnolina, metil magnolina, 3-carene, 1,4-cineolo, mentatriene, bornanediolo, terpineolo, calarene, valencene, aromadendrene, germacrene D, umulene, α-selinene, cadinene, culmorina, calacorene, naftalene, isoledene, spatulenolo, α-vatirenene, scytalone, calamene, isocalamendiolo, deidrossiisocalamendiolo, calamenone, piprezizaene, epiprezizaene, isocitrale, editriolo, pinene, varanguesina, galgravina, oplodiolo, tatarinowina A, bullatantriolo, omalomenolo;

derivati da acidi carbossilici: acorico, diidrofaseico, pipecolico, tropico, fenilattico, asaronico, eudesmico, butirico, asarilico, eptilico, eptanico, deidrodiabetico, linolenico, nonanoico, ursolico;

flavonoidi: galangina;

altri composti aromatici: acetil eugenolo, metil isoeugenolo, isoomogenolo, eugenil acetato, canfora, cimene, cimolo, elemicina, longifolene, benzene, aldeide cinnamica e derivati indenici;

alcaloidi: calamina, acorina, tatarina A,  calamusina, telitossina, paprazina, acortatarina A, perillascens, e 5,8-dimetilisoquinolina

lignani: acoradina, siringaresinolo, ceplignano, isolariciresinolo, huazhongilexina;

cumarine: 6-fluorocumarina

steroli: β-sitosterolo, daucosterolo e derivati;

saponine;

glicosidi.

Sulla base di diverse analisi si credeva che i campioni di Acorus calamus diploidi fossero privi di β-asarone e che le tetraploidi avessero il contenuto più alto [12], invece si è visto che sono altri i caratteri distintivi delle accessioni povere di questo composto (peso specifico delle foglie inferiore, senescenza autunnale precoce, sviluppo tardivo in primavera) [13].

FARMACOLOGIA

Acorus calamus
Sedativo, sonnifero, antipsicotico
Estratti a base di foglie di calamo hanno ridotto la locomozione spontanea ed incrementato il tempo di immobilità e di nuoto dei topi senza influire sulla coordinazione motoria. Inoltre hanno potenziato la durata del sonno indotto dal diazepam [14].
Un estratto alcolico a base di rizomi ha ridotto in maniera significativa ma temporanea (4 ore) l’aggressività da isolamento dei topi. Le cavie hanno mostrato depressione del CNS ai bassi dosaggi ed agitazione agli alti [15].
La somministrazione cronica di un estratto etanolico ha incrementato l’attività elettrica spontanea e i livelli di norepinefrina nella corteccia cerebrale riducendo contemporaneamente quelli del mesencefalo e del cervelletto. La serotonina risultava aumentata nella corteccia cerebrale e diminuita nel mesencefalo, la dopamina maggiore nel nucleo caudato e nel mesencefalo ma minore nel cervelletto. L’alterazione dei livelli delle monoamine insieme a quella dell’attività elettrica può spiegare l’azione depressiva della pianta sul sistema nervoso centrale [16].
In un’altra ricerca ha ridotto i movimenti stereotipati indotti dall’apomorfina e potenziato la catalessi da aloperidolo [17].
L’olio essenziale ha indotto un effetto depressivo privo di componente atassica nei topi [18]. Ha potenziato l’attività sedativa indotta dal pentobarbitone nei topi [19], in un altra ricerca ha prolungato anche il sonno da pentobarbital, esobarbital ed etanolo [20]. Il prettrattamento con LSD o dibenzilina ha annullato parzialmente quest’azione suggerendo che l’azione ipnotica fosse mediata dalla modulazione di serotonina e catecolamine [21].

L’asarone isolato dalla pianta agisce come un tranquillante deprimendo la divisione simpatica dell’ipotalamo [22].
Nei modelli animali ha contrastato la stimolazione e l’iperpiressia indotta da mescalina [23], LSD, anfetamina, metilfenidato e iproniazide. Ha indotto un lungo effetto calmante sulle scimmie [24].
E’ un potente antagonista dei recettori D2 della dopamina come i più efficaci farmaci antipsicotici [25].

Assunto in combinazione ad un farmaco cannabimimetico ne ha potenziato notevolmente gli effetti comportamentali [26].
La somministrazione di un flavone isolato dall’estratto cloroformico di rizoma di calamo ha mostrato un potente effetto calmante su diversi animali ed un azione simile alla Cannabis indica [27].

Antidepressivo
In uno studio su 50 pazienti affetti da depressione la somministrazione del rizoma in polvere di calamo aromatico (500mg 3 volte al giorno) per 6 settimane ha ridotto la severità dei sintomi e contribuito positivamente alla risoluzione della condizione [28].

MAO-Inibitore
L’olio essenziale di calamo aromatico ha inibito l’enzima MAO dei ratti agli alti dosaggi [29].

Stimolante, actoprotettivo, adattogeno
Un estratto idroalcolico di foglie di Acorus calamus ha mostrato un moderato effetto stimolante ed actoprotettivo migliorando tono e coordinazione motoria dei topi sottoposti ai test di resistenza [30].

L’asarone ha prevenuto la deplezione della vitamina C adrenale proteggendo i ratti dallo stress ipotermico acuto [24] e sonoro continuo [31].

Nootropico, antietà, neuroprotettivo, anticolinesterasico
La somministrazione di radice di calamo secca polverizzata ha potenziato la performance d’apprendimento nei topi, specialmente le femmine [32].

DX-9386, una combinazione della Medicina Tradizionale Cinese a base di Panax ginseng, Polygala tenuiflora, Acorus calamus e Poria cocos ha ameliorato i disturbi della memoria nei modelli animali da senescenza accelerata e ridotto i livelli sierici elevati di perossidazione lipidica [33]. In un altro studio ha allungato l’aspettativa di vita, prevenuto la perdita di peso dovuta all’invecchiamento e migliorato la sindrome senile [34].

Un estratto idroalcolico di rizoma di calamo ha mostrato effetti neuroprotettivi nel modello animale di ischemia da occlusione dell’arteria cerebrale media [35].
Un estratto metanolico ha dimostrato una potente azione anti-Parkinson attraverso l’innalzamento dell’espressione di tirosina idrossilasi (TH), dei livelli di dopamina extracellulare e della proteina DJ-1 abbando invece quelli di α-sinucleina [36].

Estratto idroalcolico ed olio essenziale  hanno inibito l’acetilcolinesterasi negli eritrociti bovini, l’olio essenziale è risultato più potente [37]. Estratti metanolici hanno inibito l’enzima alla concentrazione di 200 µg/mL [38].
Si suppone che l’azione sia dovuta all’asarone, noto inibitore dell’acetilcolinesterasi [39].

Ipotensivo, antiaritmico, cardiodepressivo, cardioprotettivo, ipolipidico, ipoglicemico, dimagrante
L’olio essenziale di calamo aromatico ha dimostrato effetti ipotensivi ed antiaritmici simili alla chinidina contrastando aritmia ventricolare, fibrillazione e flutter atriale nel modello animale da ligazione coronarica di secondo grado [40]. In un altro studio ha prolungato il tempo di conduzione e il periodo refrattario delle auricole isolate dei conigli [41].
L’asarone ha mostrato effetti cardiodepressivi sul cuore di rane e conigli, nei cani anestetizzati ha provocato un moderato abbassamento della pressione arteriosa [42].
Un estratto etanolico di Acorus calamus ha protetto i ratti dalla cardiotossicità da doxorubicina modulando i livelli di antiossidanti del cuore [43].
In un trial clinico su 45 pazienti affetti da cardiopatia ischemica la somministrazione del rizoma essiccato in polvere ha migliorato i punteggi relativi a dolore al petto, dispnea da sforzo, BMI, ECG, colesterolemia, SLDL e SHDL [44].

Un estratto etanolico di rizoma e le saponine isolate hanno dimostrato una significativa azione ipolipidica sui ratti [45].
In un altra ricerca l’asarone ha prevenuto le alterazioni metaboliche indotte da una dieta ad alto contenuto di grassi riducendo peso corporeo, alterata tolleranza al glucosio, dislipidemia e squilibrio delle adipochine. I ricercatori suggeriscono che gli effetti possano essere mediati dalla capacità dalla capacità della molecola di alterare il grado di palatabilità dei cibi con conseguente riduzione nell’assunzione di cibi ipercalorici, oltre all’effetto normalizzante su leptina e adiponectina [46].
Gli alcaloidi isolati dal rizoma hanno attivato i recettori PPARα, PPARγ e le glucochinasi con potenziali benefici su adipogenesi ed insulino-resistenza [47].

Antitumorale, antiangiogenico
Estratti di calamo hanno inibito la crescita delle cellule del cancro gastrico provocando l’arresto in G1 e la sottoregolazione di Oct4 e NS. In più ha contrastato l’angiogenesi nelle cellule HUVEC [48].
2 lectine purificate dai rizomi di Acorus hanno mostrato potenti effetti antimitogenici su splenociti dei topi e linfociti umani. Inoltre hanno inibito la crescita delle cellule della linea tumorali J774, WEHI-279 e linfoma a cellule B [49].
Il β‑asarone ha attenuato la proliferazion delle cellule HCT116 del cancro al colon e le metastasi epatiche attivando il sistema immunitario innato [50].

Immunosoppressivo, anticellulare, antinfiammatorio, citorigenerante
Un estratto etanolico a base di rizoma di Acorus calamus ha inibito la proliferazione delle cellule umane mononucleate da sangue periferico stimolate dal mitogeno fitoemagglutinina e dall’antigene tuberculina. In più ha contrastato la crescita di diverse cellule del ratto e dell’uomo. Infine ha inibito la produzione di ossido nitrico, IL-2 e TNF-α sottoregolando anche l’espressione della proteina CD25 in maniera simile al farmaco per la sclerosi multipla daclizumab [51].

L’applicazione locale di un estratto acquoso di radici fresche di calamo ha potenziato la guarigione delle ferite nel modello animale da escissione chirurgica, oltre ad inibire l’espressione dell’mRNA dei mediatori dell’infiammazione indotta dai lipopolisaccaridi nelle cellule RAW 264.7 [52].

Gastroprotettivo, antisecretorio
Un estratto etanolico ha inibito la secrezione gastrica e protetto la mucosa grastroduodenale dei ratti sottoposti a ligazione pilorica, indometacina, reserpina, cisteamina, etanolo, acido cloridrico ed idrossido di sodio [53].

Antidiarroico, spasmolitico
Un estratto metanolico di rizomi di calamo ha ridotto il tempo di induzione dela diarrea e il peso totale delle feci nel modello animale da olio di ricino [54].
In un altri esperimenti ha inibito le contrazioni nel digiuno isolato dei conigli attraverso il blocco dei canali del calcio [55].

Broncodilatatore, antiasmatico
Un estratto alcolico di Acorus calamus ha provocato un significativo effetto broncodilatatore [56]. In un trial clinico su pazienti affetti da asma bronchiale grave la masticazione dei rizomi freschi per 2-4 settimane ha ridotto i sintomi senza collaterali di sorta [57]. In un altro studio ha attenuato significativamente il broncospasmo [58].

Antivirale
Un sesquolignano isolato dalla radice di calamo, tatanano A, ha alleviato significativamente gli effetti citopatici indotti dal virus della dengue DENV2 agendo sulla fase precoce della replicazione virale con conseguente inibitzione dei livelli virali di mRNA e proteine [59].

Antibatterico
Estratti di Acorus calamus sono risultati attivi su Staphylococcus aureus, Escherichia coli, Bacillus subtilis, Staphylococcus citreus, Bacillus megaterium, Shigella flexneri, Salmonella marcescens, Proteus vulgaris, Shigella dysomei [60], Streptococcus pyogenes, Streptococcus viridans, Diplococcus pneumoniae, Corynebacterium diphtheriae, Salmonella typhi e Salmonella paratyphi A e B [61].
L’olio essenziale ha mostrato effetti antibatterici contro Staphylococcus albus, Corynebacterium diptheriae, Salmonella typhi, Salmonella faecalis, Bacillus pumilus, Streptococcus pyogenes e Pseudomonas solanacearum [62].

Antimicotico
Un estratto alcolico di calamo ha mostrato una significativa azione antimicotica nei confronti di Aspergillus niger, Penicillium selenium e Saccharomyces [63]. L’olio essenziale è attivo su Aspergillus oryzae, Aspergillus nidulans, Aspergillus jumigatis, Penicillium aculeatum, Phomopsis destuctum, Penicillium digitatum, Penicillum italicum, Diplodia natalensis, Altemaria tenuis, Candida albicans, Epidermophyton cresens e Microsporum gypseum [64].
Il β-asarone si è dimostrato altamente tossico per il fungo Helminthosporium oryzae [65].

Antielmintico
Un estratto alcolico di Acorus calamus è risultato attivo nei confronti del parassita umano Ascaris lumbricoides [66]. L’olio essenziale ha dimostrato un azione nematocida su Meloidogyne incognita [67].
In un trial clinico su 147 bambini affetti da ascaridiasi il rizoma in polvere di calamo alla dose di 250mg 3 volte al giorno per 3 giorni ha curato l’83% dei soggetti senza tossicità significativa [68].

Insetticida
Il rizoma di calamo in polvere è efficace contro bruchi, falene e pidocchi. Gli estratti e l’olio volatile della pianta sono tossici su mosche e zanzare [69]. Una sospensione acquosa a base di calamo ha dimostrato effetti insetticidi su Prodenia litura e Dactynotus carthami [70]. L’olio essenziale ha inibito l’attività delle cellule interstiziali di Dysdercus koenigii, un dannoso parassita del cotone [71]; in altri esperimenti si è mostrato attivo contro Spodoptera litura [72], Thermobia domestica [73].
Il principale composto insetticida sembra β-asarone che è risultato letale sul punteruolo del mais [74].

TOSSICITA’
Il β-asarone, uno dei principali composti aromatici presenti nel calamo, ha mostrato in alcuni modelli animali ed in-vitro una moderata azione cito e genotossica; la forma α, 2-3 più citotossica ma dalla dubbia genotossicità, è presente in basse concentrazioni.
Tuttavia mancano dati precisi sulla tossicocinetica del composto negli umani [75].
Entrambe le forme devono interagire con gli enzimi del citocromo P450 negli epatociti prima di generare gli epossidi genotossici. Questi vengono comunque degradati rapidamente dall’epossidoidrossilasi microsomiali o citotossiche che ne limitano notevolmente le potenzialità carcinogeniche [76].

Per quanto riguarda gli estratti di Acorus calamus, le evidenze tossicologiche acute e croniche sui roditori non hanno mostrato nessuna alterazione organica significativa [77].
Per sicurezza si può bollire il rizoma per eliminare l’asarone, il Dr. Chu Chen ha riportato una riduzione dell’85% dopo 1 ora di decotto [78].

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Etnobotanica 7: Passiflora caerulea, un potenziale MAO-inibitore https://www.psycore.it/etnobotanica-7-passiflora-caerulea-un-potenziale-mao-inibitore/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=etnobotanica-7-passiflora-caerulea-un-potenziale-mao-inibitore Thu, 19 Aug 2021 23:19:57 +0000 https://www.psycorenet.org/?p=2360 Leggi tutto]]> MEDICINA TRADIZIONALE
La Passiflora caerulea veniva coltivata dagli Aztechi che la usavano come pianta ornamentale e come rimedio per disturbi urinari, fratture ossee e contusioni della pelle.

Nella medicina popolare argentina, le foglie vengono consumate per trattare la dissenteria, il frutto come digestivo e la parte aerea come spasmolitico.

Passiflora caeruleaCon foglie e radice preparano anche un decotto contro i parassiti intestinali; la tisana a base di parte aerea viene impiegata come agente antinfiammatorio, ipotensivo, sedativo e diuretico.
Inoltre viene lodata per le sue proprietà antimicrobiche utili nel trattamento di catarro, polmonite [1].

In Brasile è nota come maracujá-laranja per via del colore arancione e viene utilizzata principalmente come sedativo, analgesico ed ansiolitico naturale, ma sono note applicazioni contro scorbuto, ittero, disturbi mestruali e gastrointestinali [2].

Nella medicina popolare delle Mauritius si preparano delle tinture e degli estratti a base di fiore della passione per trattare diverse condizioni nervose.

In Italia la Passiflora caerulea veniva consumata come antispasmodico e sedativo.

FARMACOLOGIA

Ansiolitico, sonnifero, sedativo
La parte aerea di Passiflora caerulea contiene dei flavonoidi non identificati dotati di alta affinità per i recettori delle benzodiazepine, le concentrazioni di questi composti sono troppo basse perchè i dosaggi tradizionali siano efficaci in acuto. Tuttavia sembra che l’assunzione cronica possa incrementare nel tempo i livelli di benzodiazepine nel cervello con conseguente modulazione dell’omeostasi dello stesso [3].

La crisina, un flavone isolato dalla pianta, ha mostrato significativi effetti ansiolitici privi di componente sedativa e miorilassante nei modelli animali agendo come agonista parziale sui recettori delle benzodiazepine [4]. Secondo altre fonti, l’estratto di fiore della passione ha un effetto comparabile all’oxazepam [5].

Antidepressivo, neuroprotettivo, anticonvulsivante
Negli esperimenti sui ratti ovariectomizzati la crisina si è comportata in maniera simile ai neurosteroidi esprimendo un efetto antidepressivo acuto attraverso la modulazione dell’attività del recettore GABA-A [6].

Nel modello di depressione agitata da bulbectomia olfattiva, ha alleviato i comportamenti depressivi delle cavie in maniera simile alla fluoxetina ripristinando anche l’equilibrio dei parametri ippocampali alterati dalla condizione. Inoltre ha sovraregolato la sintesi del fattore neurotrofico cerebrale (BDNF).

Negli effetti è coinvolta l’inibizione della via della chiurenina, metabolita coinvolto in disturbi depressivi e cognitivi [7]. Anche le blande proprietà MAO-inibitorie supportano un eventuale effetto antidepressivo.

Un estratto acquoso di frutto di Passiflora caerulea ha ritardato l’onset e ridotto l’intensità delle convulsioni dei topi trattati con pilocarpina, migliorando le funzioni cognitive attraverso l’attivazione della trasmissione colinergica [8].

Afrodisiaco
La crisina estratta dalla Passiflora caerulea ha migliorato le funzioni sessuali complessive, la libido, la conta spermatica e il potenziale fertilizzante nei ratti [9].

Analgesico, antinfiammatorio
Estratti etanolici ed acquosi a base di fiore della passione hanno mostrato significativi effetti analgesici nei test del contorcimento da acido acetico. In quelli dell’edema da carragenina hanno espresso un’effetto antinfiammatorio acuto superiore all’indometacina [10]. Un estratto metanolico ridotto il dolore nel modello animale della formalina [11].

Adattogeno
Un estratto acquoso a base di melissa e fiore della passione ha ridotto i livelli plasmatici di corticosterone plasmatico, il principale marker associato allo stress [12].

Gastroprotettivo, antidiarroico
Un estratto etanolico di Passiflora caerulea ha ridotto le lesioni delle cavie provocate dall’instillazione di acido acetico abbasando anche i livelli di TBARS. In aggiunta, ha ridotto la diarrea da olio di ricino e le contrazioni del digiuno indotte da aceticolina e cloruro di calcio [13]. La crisina ha espresso effetti gastroprotettivi nei modelli animali di ulcera da etanolo, acido acetico e riperfusione incrementando i livelli dei fattori difensivi della mucosa gastica [14].

Epatoprotettivo
Un estratto idroalcolico a base di foglie di fiore della passione ha ridotto i livelli di albumina ed azoto ureico dei ratti adulti senza causare danni epatici [15].
Un’ altra ricerca ne segnala la protezione delle cavie dalle disfunzioni epatiche indotte dal cloruro di cadmio [16].

Antitumorale
Da diversi esperimenti in vitro e in vivo si evince l’attività apaptotica, antiangiogenica e antiproliferativa della crisina [17].

Antiossidante, anti-invecchiamento
La Passiflora caerulea è risultata superiore ad incarnata ed alata come potenziale antiossidante [18].
Estratti di fiore della passione possono ridurre gli effetti fisiologici dell’invecchiamento inibendo l’espressione di MMP-1 [19].

Antibatterico, antimicotico
Un estratto metanolico a base di fiore della passione si è dimostrato altamente attivo su Staphylococcus aureus (5.89±0.20) ed Aspergillus flavus (6.37±0.22) [20].
Il passicolo, un poliacetilene isolato dai gusci dei frutti di Passiflora caerulea, si è dimostrato efficace contro diversi tipi di muffe (Arthroderma flavescens, Aspergillus fumigatus, Cladosporium herbarum, Epidermophyton floccosum, Penicillium notatum, Microsporum canis, M. cookei, M. gypseum), lieviti (Cryptoccoccus neoformans, Rhodotorula sp., Torulopsis glabrata, Candida albicans, C. krusei) ed actinomiceti (Nocardia asteroide, Corynebacterium xerosis, Staphylococcus aureus, Clostridium sporogenes, Escherichia coli, Shigella sonnei, Salmonella sp. C2 e S. stanley) [21].

Amebicida
Estratti alcolici a base di foglie di fiore della passione hanno mostrato significative proprietà amebostatiche e amebicide, i ricercatori ipotizzano possa avere potenziali applicazioni nel trattamento di sviluppo delle acanthamoebiasi [22].

MAO-Inibitore
Gracie and Zarkov, pseudonimo di due noti psiconauti, hanno usato un estratto idroalcolico (5:1) di Passiflora incarnata per potenziare i funghi allucinogeni ed attivare il DMT, stimando un range di betacarboline compreso tra 0.05 e 1%.
In base alle loro osservazioni gli effetti psicoattivi ed antidepressivi della Passiflora sono più marcati di Banisteriopsis caapi e Peganum harmala, ma è meno adatta ad attivare il DMT per via dei collaterali fisici comuni a questi dosaggi (equivalenti a 80g di pianta essiccata fumata).
Gli effetti sull’umore sembrano durare fino a 2-3 giorni dopo l’esperienza [23].

Il basso contenuto di alcaloidi non giustifica quest’azione, per cui si ipotizza siano i flavonoidi i principali composti resposabili. In base a evidenze sperimentali sappiamo infatti che quercetina, miricetina e crisina sono potenti inibitori del MAO-A [24].

Diversi interventi pubblicati su DMT-Nexus suggeriscono che si possa attivare anche oralmente facendo una semplice estrazione acquosa con 300-500g di parte aerea essiccata.

TOSSICITA’  E PREPARAZIONE CORRETTA
Diversamente dalle altre specie di Passiflora il frutto della caerulea non viene solitamente impiegato per la preparazione di dolci e bevande a causa del suo sapore insipido. Da acerbo contiene alti livelli di glicosidi cianogenetici localizzati nel guscio dei semi, una volta completamente maturo diventa edibile.

Passiflora I composti tossici sono presenti anche nelle altre parti della pianta a concentrazioni ridotte: in genere ne sviluppano livelli poco significativi, ma in alcuni casi in seguito a stimoli ambientali non chiariti possono diventare tossiche.

L’essiccazione dovrebbe eliminarli del tutto ma per sicurezza si può preparare una tisana facendo bollire il materiale per almeno 10m. Il fiore dovrebbe esserne pressocchè privo, ma farci un decotto in ogni caso è sempre una buona idea [25].

ANALISI CHIMICA
La Passiflora caerulea contiene:

alcaloidi: armina ed altre betacarboline non identificate;
flavonoidi: crisina, scoparina, schaftoside, isoschaftoside, orientina, isoorientina, vitessina, isovitessina, apigenina, vicenina, luteolina, lucenina-2, quercetina, rutina, miricetina, esperidina, campferolo e derivati;
acidi fenolici: acido caffeico, ellagico, gallico, ferulico;
stilbeni: piceatannolo, resveratrolo, scirpusina;
acetileni: passicolo;
glicosidi cianogenetici: tetrafillina B, epitetrafillina B;
saponine;
cumarine;
oli essenziali: acidi idrossicinnamici ed altri composti volatili.

Il contenuto fenolico della Passiflora caerulea è risultato superiore ad alata ed incarnata [18].
E’ anche la specie più ricca di betacarboline: da un analisi comparativa si è visto che l’incarnata conteneva 0.00935 mg/g di armina nella parte aerea essiccata, la caerulea 0.098 mg/g [26].

FONTI

1)Soraru, Stella Beatriz, and Arnaldo L. Bandoni. Plantas de la medicina popular argentina. Guía ilustrada de las cincuenta plantas indígenas más empleadas. Vol. 1. Ed. Albatros, Buenos Aires, 1978.

2)Mondin, Claudio Augusto, Armando Carlos Cervi, and Gilson Rudinei Pires Moreira. “Sinopse das espécies de Passiflora L.(Passifloraceae) do Rio Grande do Sul, Brasil.” Revista Brasileira de Biociências 9.S1 (2011).

3)Medina, J. H., et al. “Benzodiazepine-like molecules, as well as other ligands for the brain benzodiazepine receptors, are relatively common constituents of plants.” Biochemical and biophysical research communications 165.2 (1989): 547-553.

4)Wolfman, Claudia, et al. “Possible anxiolytic effects of chrysin, a central benzodiazepine receptor ligand isolated from Passiflora coerulea.” Pharmacology Biochemistry and Behavior 47.1 (1994): 1-4.

5)Afsahi, Amin, and Mahmoud Miremadi. “P143: A Review on the Effects of Certain Anti-Anxiety and Sedative Herbs.” The Neuroscience Journal of Shefaye Khatam 2.3 (2014): 167-167.

6)Cueto-Escobedo, Jonathan, et al. “Involvement of GABAergic system in the antidepressant-like effects of chrysin (5, 7-dihydroxyflavone) in ovariectomized rats in the forced swim test: comparison with neurosteroids.” Behavioural brain research 386 (2020): 112590.

7)Borges Filho, Carlos, et al. “Chrysin promotes attenuation of depressive-like behavior and hippocampal dysfunction resulting from olfactory bulbectomy in mice.” Chemico-biological interactions 260 (2016): 154-162.

8)Aseervatham, G. Smilin Bell, et al. “Passiflora caerulea L. fruit extract and its metabolites ameliorate epileptic seizure, cognitive deficit and oxidative stress in pilocarpine-induced epileptic mice.” Metabolic brain disease 35.1 (2020): 159-173.

9)Dhawan, Kamaldeep, Suresh Kumar, and Anupam Sharma. “Beneficial effects of chrysin and benzoflavone on virility in 2-year-old male rats.” Journal of Medicinal Food 5.1 (2002): 43-48.

10)El-Askary, Hesham Ibrahim, et al. “Bioactivity-guided study of Passiflora caerulea L. leaf extracts.” Iranian journal of pharmaceutical research: IJPR 16.Suppl (2017): 46.

11)Zarei, M., S. Mohammadi, and NEMATIAN M. ASGARI. “Evaluation of the antinociceptive effect of methanolic extract of Passiflora caerulea. L in adult male rat.” (2014): 56-66.

12)Feliú-Hemmelmann, Karina, Francisco Monsalve, and César Rivera. “Melissa officinalis and Passiflora caerulea infusion as physiological stress decreaser.” International journal of clinical and experimental medicine 6.6 (2013): 444.

13)Anzoise, M. L., et al. “Beneficial properties of Passiflora caerulea on experimental colitis.” Journal of ethnopharmacology 194 (2016): 137-145.

14)Fagundes, Felipe Leonardo, et al. “Chrysin modulates genes related to inflammation, tissue remodeling, and cell proliferation in the gastric ulcer healing.” International journal of molecular sciences 21.3 (2020): 760.

15)Sadeghi, T., M. Shariati, and M. Mokhtari. “The Effect of Hydroalcoholic Extract of Passiflora caerulea Leaf on Some Biochemical Factors in Adult Male Rat.” Journal of Animal Biology 10.4 (2018): 45-54.

16)Shariati, Mehrdad, et al. “The protective effects of hydroalcoholic extract of Passifloracaerulea aerial parts against hepatic dysfunction induced by cadmium chloride in adult male rats.” (2020).

17)Kasala, Eshvendar Reddy, et al. “Chemopreventive and therapeutic potential of chrysin in cancer: mechanistic perspectives.” Toxicology letters 233.2 (2015): 214-225.

18)Ożarowski, Marcin, et al. “Comparison of in vitro antioxidative activities of crude methanolic extracts of three species of Passiflora from greenhouse using DPPH, ABTS and FRAP methods.” International journal 65.3 (2019).

19)Lee, Jae-Nam, and Young-Sam Kem. “Availability of Passiflora Caerulea Extract as Inner Beauty Material.” Journal of the Korean Applied Science and Technology 37.5 (2020): 1180-1189.

20)AL-Rubaey, Niran Kadhim F., Fatima Moeen Abbas, and Imad Hadi Hameed. “Antibacterial and Anti-Fungal Activity of Methanolic Extract of Passiflora caerulea.” SCOPUS IJPHRD CITATION SCORE 10.01 (2019): 930.

21)Nicolls, Joan M., J. Birner, and P. Forsell. “Passicol, an antibacterial and antifungal agent produced by Passiflora plant species: qualitative and quantitative range of activity.” Antimicrobial agents and chemotherapy 3.1 (1973): 110-117.

22)Hadas, Edward, et al. “The use of extracts from Passiflora spp. in helping the treatment of acanthamoebiasis.” Acta poloniae pharmaceutica 74.3 (2017): 921-928.

23)Gracie & Zarkov. “Notes from Underground.” Privately printed, 1985.

24)Larit, Farida, et al. “Inhibition of human monoamine oxidase A and B by flavonoids isolated from two Algerian medicinal plants.” Phytomedicine 40 (2018): 27-36.

25)Baldwin, Roger E. Hawaii’s poisonous plants. Petroglyph PressLtd, 1979.

26)Frye, Abigail, and Catherine Haustein. “Extraction, identification, and quantification of harmala alkaloids in three species of Passiflora.” American journal of undergraduate research 6.3 (2007): 19-26.

COME PER ALTRI ARTICOLI DELLA RUBRICA “ETNOBOTANICA”, QUI NON SI VUOLE INCORAGGIARE L’USO O L’ABUSO DI ALCUNA PIANTA O SOSTANZA, MA SOLTANTO FORNIRE INFORMAZIONI A TITOLO EDUCATIVO, PER PROMUOVERNE LA CONOSCENZA DELLE POTENZIALITA’ FARMACOLOGICHE E TERAPEUTICHE.

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