Perché festeggiare il Bicycle Day? Ovvero dell’importanza delle variabili non farmacologiche

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo contributo di Simone Capozzi*

La sintesi dell’LSD-25 aprì le porte di una radicale rivoluzione negli studi sugli effetti delle droghe, dando il colpo di grazia definitivo alla tesi “farmacocentrica”. Secondo questa tesi, gli effetti delle droghe sarebbero indipendenti dal contesto in cui si muove una persona, dalle sue aspettative e credenze, dalla personalità; esisterebbe un insieme specifico, determinabile e prefissato di effetti per ogni sostanza. Certo, ancora oggi, c’è chi sostiene il contrario, forse in cattiva fede, perché ci sono letteralmente migliaia di contributi scientifici a testimoniare il contrario. Lo studio di queste variabili ci sembra importante Psychedelic Experiencenella drug education sia all’interno delle attuali politiche sulle droghe sia in ottica futura.

Come il vecchio Proteo, l’LSD ha cambiato forma molte volte: è stata considerata cura per l’alcolismo, siero della verità, facilitatrice dell’insight psicoanalitico, agente liberatore della rivoluzione, afrodisiaco, agente perturbatore del DNA, un sacramento e infine una sostanza di nessuna utilità medica o con alto potenziale d’abuso (definizioni della Tabella 1 del Controlled Substances Act approvato nel 1970 in Usa).

Queste enormi differenze di ruoli e funzioni si ritrovano nell’azione della sostanza. Invece di produrre effetti determinati, come l’alcool e le amfetamine, LSD e altri psichedelici agiscono come “catalizzatori a-specifici e amplificatori della psiche” (Stanislav Grof, LSD Psychotherapy). Ciò vuol dire che i contenuti della mente – formata tanto da processi sociali e frame culturali quanto dalle aspettative psicologiche e le disposizioni biologiche- contribuiscono attivamente alla composizione del trip. Lo studio degli effetti dell’LSD ricorda la parabola dei ciechi e l’elefante.

Il 9 settembre 1961, Timothy Leary, all’epoca psicologo alla Harvard University, sottopose alla American Psychological Association un articolo in cui sosteneva la fondamentale importanza delle variabili non farmacologiche delle sostanze psicoattive, il cosiddetto set (personalità, preparazione, aspettative, intenzioni ma anche stato d’animo, paure, desideri) e l’ambiente fisico e sociale, detto setting. Questo articolo è considerato il contributo più importante di Leary alla ricerca sulle droghe. In un altro articolo del 1967, On Programming the Psychedelic Experience, Leary e Metzner proposero un’ardita e bizzarra scienza del set e del setting: sostennero che i naviganti potessero programmare l’esperienza psichedelica in anticipo, come gli spettatori di un programma televisivo, ricorrendo a specifici yantra tibetani, mantra, incensi e alcune posizioni di yoga.

Ci si potrebbe chiedere: le stesse variabili non valgono anche per sedativi, tranquillanti, stimolanti? Già nel 1959, infatti, Anthony F.C. Wallace osservò che i fattori culturali hanno un ruolo fondamentale negli effetti anche delle sostanze non psichedeliche. Quest’idea verrà ripresa poi in un libro fondamentale dello psichiatra Norman Zinberg, Drug, Set and Setting (1984), da qualche anno disponibile anche in traduzione italiana. L’aggiunta del terzo elemento-droga si spiega con l’intenzione di Norman Zinberg di estendere l’uso dei concetti di set e setting al di là degli psichedelici. Zinberg li utilizzò nello studio della dipendenza da eroina, sviluppata dal 35% delle truppe americane in Vietnam. L’oppio veniva usato strategicamente dai Vietcong per abbassare il morale delle truppe americane, si trovava a basso costo ed era ampiamente disponibile in quell’area del Sud-est asiatico conosciuta come il “triangolo d’oro”. La noia, il senso di inutilità e l’uso diffuso e tollerato nell’esercito, furono fattori poi decisivi nello diffusione della dipendenza. Riposando sull’implicita convinzione che “once an addict, always an addict”, le politiche governative degli USA furono completamente fallimentari nella riduzione della dipendenza. Ciononostante l’88% dei soldati, al ritorno, interruppe volontariamente l’uso di eroina. Com’era possibile?

La sociologa Lee Robins condusse una ricerca raccogliendo centinaia di interviste di reduci eironomani: raccontavano che tornati in patria non c’era più bisogno di assumere qualcosa che medicasse gli stati mentali negativi. In patria, inoltre, sarebbero stati stigmatizzati da amici, parenti e consorti; pertanto l’88% interruppe l’uso di eroina. Ritornati in patria, in un contesto ambientale differente e privo degli stimoli che eccitavano uso di eroina, i reduci abbandonarono quest’abitudine (non c’è alcuna miracolosa trasformazione psicologica).

Le ricerche negli ultimi decenni hanno seguito direzioni interessanti: Peter Cohen ha utilizzato i concetti di set e setting nello studio delle abitudini degli utilizzatori di cocaina in Olanda; Dweyer e Moore hanno invece evidenziato l’influenza dei fattori sociali nell’uso ricreativo delle metanfetamine. Set e setting, così, si rivelano strumenti fondamentali nelle politiche di riduzione del danno e nella ricerca scientifica sulle droghe.

Ancora una volta: grazie mille, Albert!


Simone Capozzi: ha studiato filosofia e scienze cognitive, laureandosi in filosofia della mente con una tesi sulla DIED (Drug Induced Ego Dissolution). È co-fondatore e parte di PsyCoScienze.