Thank you, Dr. Griffiths (1946-2023)

Roland Griffiths (1946-2023)Roland Griffiths ci ha lasciato. Direttore e fondatore del Center for Psychedelic and Consciousness Research presso la Johns Hopkins University di Baltimore, in Maryland, è stato una figura di spicco delle indagini scientifiche sugli psichedelici degli ultimi decenni. Anzi, un vero e proprio pioniere.

Tra i primi ricercatori ad animare il cosidetto “rinascimento psichedelico”, avviò uno studio (autorizzato) sulla psilocibina già nel 1999 per poi concluderlo nel 2006 pubblicandone i risultati sul Journal of Psychopharmacology con un titolo esplicito: “La psilocibina può causare esperienze di tipo mistico sostanziali e sostenute a livello personale e spiritualmente significative”.

Da allora aveva proseguito con un impegno serio e qualificato, tra estese ricerche farmacologiche e test sul campo, riflessioni letterario-filosofiche e affondi spirituali. Dopo l’inattesa diagnosi di cancro al colon di stadio 4 ricevuta nel novembre 2021, aveva dato avvio a un’apposito fondo per finanziare la “Psychedelic Research On Secular Spirituality And Well-Being”.

Fra le tante letture, da segnalare un profilo del marzo scorso sul New York Times Magazine e un’intervista a settembre su Lucid News, oltre alla sua presentazione alla Psychedelic Science Conference tenutasi a Denver nel giugno 2023, dove gli è stato anche consegnato il ritratto in suo onore realizzato dagli artisti Alex e Allyson Grey (vedi sotto).

Mentre arrivano commenti e ricordi soprattutto su Twitter, per celebrarne la vita e il lavoro possiamo far tesoro di questa sua citazione:

Vorrei che ciascuno di noi possa apprezzare la gioia e la meraviglia di ogni singolo istante Roland Griffiths (1946-2023) della propria vita. Ogni giorno c’è un motivo per celebrare il fatto di essere vivi, di avere un altro giorno per esplorare qualunque cosa sia questo dono di essere consapevoli e di avere la consapevolezza di essere consapevoli…

Grazie davvero, dott. Griffiths, rest in peace.

I Nuovi Misteri Eleusini

Per oltre mille anni gli iniziati ai Grandi Misteri hanno percorso i 21 km della Via sacra, ancora oggi la Jera odòs, che separa Atene, da dove partivano in settembre dall’altare dei 12 dèi, per giungere al santuario di Eleusi per celebrare Demetra (la Dea Madre, terra oggi sfruttata e dilaniata da uomini voraci che hanno perso il senso della sua sacralità) e ricordare il lutto per la perdita della figlia Persefone rapita da Ade (Plutone, dio della morte e del denaro). Ma qual’era il telos, il fine-significato di questo cammino che, come il nostro di ogni giorno, si muove alla ricerca più o meno consapevole di un “senso” al nostro percorso di vita?

Nel mistero di questo interrogativo, ci accompagna la commovente testimonianza di Platone che, nel Simposio, così descrive la visione estatica (epòpteia) che ne motivava il percorso “giunto alla fine della disciplina di amore, sorgerà – in un istante – un qualcosa di bello, ammirabile nella sua natura (..) esso stesso, per se stesso, con se stesso, semplice … eterno”. Un invito a rievocare, e forse in parte rivivere, questo percorso“seduti nel tempio (Telesterion) in religioso silenzio e con dignità” come ci invita a fare Aristotele (Sulla filosofia, fr. 14) dopo esserci interrogati sui principi (logoi) e i racconti (mythoi) che preparavano a quest’evento a partire da marzo nei cosiddetti Piccoli Misteri a cui ci uniremo con coloro che intendono condividere questa esperienza.

Anche quest’anno, l’evento verrà coordinato da Riccardo Zerbetto, con la la processione lungo la Via sacra  prevista per il 3 settembre con partenza dalla agorà di Atene e di fronte all’altare dei 12 dei (che si trova subito a destra dopo l’entrata dalle biglietteria della agorà in prossimità della fermata “Tission” della metropolitana).

Per maggiori dettagli contattare Riccardo Zerbetto: +39-335.7842.887 —  www.zerbettoriccardo.it

Parte la kermesse di Psychedelic Science 2023

PS2023 Maps«Il più grande convegno sulla psichedelia della storia». Così si autodefinisce Psychedelic Science 2023, mega-evento sotto l’egida della Maps (Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies) appena partito in quel di Denver (Colorado, Usa). Si prevedono quattro giornate (e nottate) animate dalla crema della comunità psichedelica globale e davanti a un pubblico tanto folto quanto diversificato (previste oltre 10.000 presenze quotidiane, almeno 800 dollari a testa per il pass complessivo).

Basta scorrere il programma (o la relativa app) per perdere letteralmente la testa: oltre 300 interventi sparsi per sette palchi, una miriade di workshop e tavole rotonde, rituali e performance artistiche di ogni tipo, numerosi stand per presentazione e vendita di prodotti vari, spazi dedicati all’attivismo politico e alle culture indigene — chi più ne ha più ne metta. Ovviamente sempre mantenendo in prima battuta l’aspetto scientifico in senso lato, con dettagliate presentazioni sulle ultime ricerche e studi  in materia, sui possibili scenari per l’applicazione degli psichedelici in campo psico-terapeutico e sui percorsi formativi per ottenere gli accrediti operativi. Sono infatti oltre una ventina le specifiche sessioni “hands-on” con terapeuti, facilitatori ed esperti sanitari per approfondire questi e altri importanti aspetti pratici della somministrazione controllata.

Il tutto sull’abbrivio del continuo revival sui vari aspetti legati a queste sostanze e particolamente in vista dell’auspicato allentamento legislativo a livello medico, quantomeno nell’ambito anglosassone: basti ricordare che, dal prossimo primo luglio, lin Australia verranno “detabellizzate” alcune sostanze – MDMA e psilocibina passeranno dalla tabella 9 (sostanze assolutamente proibite) alla 8 (sostanze con riconosciuto uso medico), mentre in Usa crescono le zone dove vige la depenalizzione di fatto, con Colorado e Oregon: nel primo, è legalizzato l’uso e il possesso personale, nel secondo si lavora all’apertura di appositi centri terapeutici (nell’estate 2025).

Senza poi dimenticare il percorso avviato nel 2019 dalla stessa Maps e ormai vicino al traguardo, per l’introduzione nel ricettario medico statuitense dell’MDMA per il trattamento del PTSD. Questione su cui aggiornerà al meglio Rick Doblin, factotum della stessa non-profit, nel corso di Psychedelic Science 2023. Dove non mancheranno parecchi nomi illustri del settore, tra cui Julie Holland (psichiatra, scrittrice), Rachel Yehuda (professore di neuroscienze), Carl Hart (Columbia University), Robin Carhart-Harris (University of California San Francisco), Paul Stamets (fungi.com), Franz Vollenweider (psichiatra), Charles Grob (Ucla), Amanda Feilding (Beckley Foundation), James Fadiman (ricercatore indipendente), Roland Griffiths (Johns Hopkins University), Stan Grof.

Per chi non potrà esserci, oltre al sito web e all’app di cui sopra, utile seguire il relativo hashtag su Twitter o i resoconti quotidiani prodotti da The Microdose (newsletter gratuita curata da UC Berkeley).

Da segnalare infine la presenza anche di qualche nome “italiano”, sia tra gli addetti ai lavori (Giorgio Baggi, Università di Pavia e Tommaso Barba, Imperial College, Londra) che in platea. Invece silenzio assoluto sulle testate nostrane, non solo quelle mainstrean notoriamante interessate a simili temi solo in funzione dei clickbait, bensì perfino su social media e spazi collaborativi online. Una disattenzione d’altronde non certo nuova, e che anzi si estende ad analoghi eventi – vedasi la Breaking Convention inglese di cui abbiamo parlato in aprile – e più in generale ad una scena internazionale sempre più ribollente, pur se non esente da critiche e problematiche, ma che tuttavia rimane in gran parte ignota al pubblico italiano (eccetto che per la solita nicchia). Ulteriore motivo per cui, nel nostro piccolo, continuiamo a darci da fare.

Etnobotanica 15: Tagetes Lucida: spezia o psicotropo?

Tagetes Lucida La Tagetes lucida è stata impiegata dagli antichi Aztechi per la preparazione di un incenso rituale sacrificale chiamato yyauhtl che veniva soffiato sulle faccie dei prigionieri al fine di stordirli prima del rogo. Con la pianta fresca facevano infusi per alleviare diarrea, singhiozzo ed esternamente come lozione per bruciature. Veniva considerata la rappresentazione di Xochipilli, il dio delle piante psicoattive.
Fra i vari ritrovamenti, è stato rinvenuto un vaso di ceramica risalente al periodo classico Maya che raffigura un fiore giallo a cinque petali molto simile alla pianta, i loro sacerdoti ne facevano un te sacro per le divinazioni noto come balchè. I Mixe, i nativi dello stato nord-occidentale messicano di Oaxaca, preparano ancora oggi un infuso simile con nove fiori [1].

Trattasi di una delle piante più sacre per i nativi di Messico ed America Centrale che la conoscono con tanti nomi diversi: yauhtli, pericón, Saint Miguel, mangy, flor de Santa María e yerba anís per l’aroma simile all’anice. Viene usata come spezia, ornamento cerimoniale e medicina.

In base a quanto riportano gli Huicholes, renderebbe il fumo di tabacco più gentile sulla gola e induce uno stato caratterizzato da quiescienza, nausea, vomito e visioni ad occhi chiusi simile all’intossiccazione da peyote. La sessioni di fumo accompagnano spesso l’ingestione di peyote, fermentati alcolici locali e distillati a base di cactus che rendono le visioni molto più intense [3].

Ancora oggi viene indicata nella medicina popolare Messicana contro insonnia, debolezza, scarsa libido, reumatismi, prurito, crampi addominali, disturbi gastrici, coliche, ulcere, dolori muscolari, febbre, raffreddore, morsi di serpente e per la produzione di latte. Viene bruciata inoltre come incenso cerimoniale. In Argentina bevono il decotto di foglie come antitussivo e lo applicano localmente per repellere gli insetti [2]. Durante la colonizzazione spagnola sembra sia stata usata per curare i malati di mente.

POTENZIALITA’ PSICOTROPE
Circola parecchia disinformazione sulle potenzialità allucinogene di questa pianta: alcuni sostengono che contenga delle sostanze simili all’LSD, altri dei terpeni neoclerodanici come la salvinorina della Salvia divinorum.

La seconda teoria è molto diffusa e si deve a Christian Ratsch che, nella nota Encyclopedia of Psychoactive Plants: Ethnopharmacology and Its Applications (2005), segnala come queste sostanze salvinoriniche siano presenti in tutte le specie di Tagetes sebbene non siano ancora state identificate con precisione. Ad oggi non c’è assulutamente niente che ne suggerisca la presenza, essendo stati isolati soltanto dei diterpeni monociclici dalla Tagetes minuta di cui sono note solo le potenzialità citotossiche [3].

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In ricordo di Luigi Chiriatti

È scomparso recentemente lo studioso e musicista salentino Gigi Chiriatti, massimo esperto della”taranta” nonché interessato allo sciamanesimo e agli stati di coscienza di taglio nostrano. Questi alcuni stralci di un ricordo pubblicato sul sito della SISSC (Società Italiana per lo Studio degli Stati di Coscienza) a firma Maurizio Nocera.

Avevo conosciuto Luigi alla fine degli anni ’70, ma fu solo nel 1981 che andai da lui, a Calimera, per fargli un’intervista per una rivistina di provincia («Caffè Greco»), diretta dal poeta Antonio L. Verri. La intitolammo Intervista a Luigi Stifani, ed era una prima riflessione sul fenomeno della sofferenza e sullo pseudo sciamano di Nardò, conosciuto come il medico delle tarantate, che io e Luigi conoscevamo molto bene.

Da quel momento in poi non ci siamo divisi più. Ovviamente Luigi aveva messo le mani in molte cose. La sua Bibliografia 1977-2012 (Kurumuny, 2013), a cura di Sergio Torsello, altro protagonista fondatore della “Notte della taranta”, scomparso qualche anno fa, ne è una chiara testimonianza.

Nel 1978, Luigi si era laureato con una tesi su Il tarantismo vent’anni dopo Ernesto de Martino. Io avevo e ancora ho quella sua tesi di laurea e fu la base dalla quale si partì per quella sua prima esperienza intitolata Morso d’amoreViaggio attraverso il tarantismo pugliese, con le registe Annabella Miscuglio, R. Daopoulos, G. Lombardi (RVM, 60’, Prima rete indipendente Rizzoli), che divenne poi lo splendido libro editato più volte dallo stesso Capone editore (Cavallino, 1995) introdotto da George Lapassade. Ci volle un bel po’ per convincerlo a pubblicare quella tesi, ma alla fine ce la facemmo.

Inizialmente era restio, perché diceva di non sentirsi pronto. Da quel momento in poi, sia le inchieste sul campo sia le pubblicazioni cominciarono ad avere un ritmo continuo. Mi piacerebbe citarle, ma qui non è possibile. Ci saranno altri momenti per questo. Dico solo che io e Verri (produttori di riviste e giornali salentini) mai dimenticammo il buon Chiriatti, la cui firma appare sempre affiancate alle nostre.

Un evento però mi piace citare. Quello del volume di Luigi Stifani, Io al santo ci credo. Diario di un musico delle tarantate (libro più CD, Edizioni Aramirè-Istituto Ernesto de Martino, Lecce 2000) [con Maurizio Nocera, Roberto Raheli, Sergio Torsello]. Altro libro in comune fu quello di Gisele Schmeer, Il panno Rosso dove si narra di un uomo pizzicato dalla tarantola (Capone, Cavallino, 2001). E ancora Immagini del tarantismo (Capone editore, Cavallino, 2002).

E poi Con il miele e l’incanto di un sorriso. Il Salento nelle immagini di Annabella Rossi, in Vincenzo Esposito (a cura di), Annabella Rossi e la fotografia. Vent’anni di ricerca visiva nel Salento e in Campania, Liguori, Napoli 2003. E poi Giuseppe Mighali, Zimba, canti suoni e ritmi di Aradeo, Kurumuny (Calimera 2004, libro con CD (curatore con Maurizio Nocera e Sergio Torsello). E infine tanto altro ancora.

Fino a giungere all’ultimo saggio che gli avevo “commissionato” (si fa per dire, perché fra me e Luigi c’è sempre stata una comprensione totale) appena qualche mese fa, il cui titolo è Dalla cultura della sofferenza alla cultura dell’affermazione del sé (1989 – 1 maggio 1998), di cui ho scritto sopra.

L’ho pubblicato con questa premessa:
«Con questo primo articolo per «Anxa News» inizia la collaborazione del grande demologo salentino Luigi Chiriatti e del grande fotografo salentino Fernando Bevilacqua. Luigi Chiriatti ha dedicato l’intera sua vita all’analisi e all’approfondimento dei fenomeni ancestrali del Salento (tradizioni popolari, canti e cunti, tarantismo, musiche e danze popolari); importante la sua Bibliografia 1977-2012 (a cura di Sergio Torsello) dove è possibile rintracciare l’enorme mole di lavoro scientifico da lui svolto negli ultimi 40 anni».

Oggi Luigi Chiriatti non è più ma le impronte che egli ha lasciato in Salento, in Italia e mi piace pure pensare in buona parte dell’Europa, sono lì a segnare il passo di uno studioso convinto e scientificamente preparato. Impronte non cicatrici.

Vale per Luigi Chiriatti.

Breaking Convention 2023

Breaking Convention Si è svolta nello scorso weekend presso l’Università di Exeter (contea di Devon, sud-ovest dell’Inghilterra) la sesta edizione della Breaking Convention, evento bi-annuale dedicato ai molteplici aspetti dell’universo psichedelico e autodefinitasi “il più grande convegno europeo sulla consapevolezza psichedelica”. Con oltre 200 tra relatori e animatori,  davanti a un pubblico pagante di oltre un migliaio di persone, entrambi provenienti da ogni parte del mondo, l’evento ha presentato in primis le ultimissime sulla ricerca scientifica, oltre a una varietà di interventi e discussioni che abbracciavano sociologia, legge, politica, arte, storia e filosofia e altri campi. Né sono mancati workshop, filmati, installazioni, spazi artistici e quant’altro.

Oltre a quest’ottimo resoconto di Lucid News, le prime reazioni sui social media (YouTube e Facebook) confermano gli entusiami della vigilia – in attesa di poter seguire direttamente, per chi non c’era, le videoregistrazioni di interventi e situazioni dipanatasi nella tre giorni. E d’altronde basta dare un’occhiata al programma completo e all’elenco degli speaker (in senso lato) per confermare l’indiscussa importanza dell’evento.

Fra i tanti “nomi illustri”, da segnalare: l’apertura di Jonathan Ott, pionere dell’etnobotanica, ideatore del termine “enteogeno” nonché traduttore (in inglese) dello storico LSD: My Problem Child di Albert Hofmann (1980); un intervento sulla necessità della metafisica nella ricerca e nella terapia psichedelica curato dal “filosofo della mente” Peter Sjöstedt-Hughes (membro del comitato scientifico di Psy*Co*Re); un excursus su psichedelici e la ricerca della vita dopo la morte proposta da Graham Hancock, noto esperto britannico sulle civilizzazioni antiche e le terre perdute; una conversazione a tutto campo tra Amanda Feilding (fondatrice della Beckley Foundation, maggior sponsor dell’evento) e David Luke; vari protagonisti della scena USA quali  Paul Stamets (Fungi Perfecti) e Rick Doblin (Maps).

Da notare infine la presenza di vari relatori italiani – intervenuti anche nelle varie edizioni degli Stati Generali della Psichedelia in Italia – tra cui Tommaso Barba & Bruna Gibaldi (“A New Summer of Love: long-term effects of psychedelic drugs on sexual functioning and satisfaction in healthy and depressed subjects”), Marta Santuccio (“Perspectival Neutral Monism and Psychedelic Experience”), Giorgia Gaia (“Kaos, Kilowatt & Ketamine: Spiritualities and Psychedelics in the Free Tekno Movement”), Chiara Baldini (“Mysticism, escapism, or activism? Spirituality and politics in festivals today”).

 

Bicycle Day 2023: l’LSD compie 80 anni

Bicycle Day 2023Eccoci all’ottantesimo anniversario del cosiddetto Bicycle Day, quando il chimico svizzero Albert Hofmann (1906-2008) decise di autosperimentare una sostanza sintetizzata 5 anni prima e lasciata nel cassetto, la dietilammide dell’acido lisergico (LSD). Il 16 aprile 1943, dopo averne notato una piccola quantità cadutagli sulla mano, provò sensazioni di irrequietezza e vertigine. Tre giorni dopo decise di assumerne deliberatamente 250 microgrammi, onde verificare le potenzialità terapeutiche e introspettive di quella nuova sostanza chimica – per poi tornarsene a casa in bicicletta, accompagnato dalla sua assistente, in preda ad effetti assai più intensi.

Ne emerse così un’esperienza inattesa e intrigante, che lo portò a dedicarsi completamente allo studio di questa e altre “medicine dell’anima“. Oltre a produrre centinaia di articoli scientifici e altri scritti in tema, Hofmann divenne direttore del dipartimento di prodotti naturali presso la Sandoz (oggi Novartis), dove riuscì a isolare i principali alcaloidi dei cosiddetti “funghi magici”, la psilocina e la psilocibina, oltre classificare la Salvia divinorum.

Per l’occasione, da segnalare l’uscita della traduzione italiana de Lo scienziato divino (PianoB), raccolta delle ultime riflessioni  di Hofmann (risalente al 2013), e un’utile ricapitolazione generale sull’ultimo Venerdì di Repubblica. Quest’anniversario è anzi diventato l’ennesima occasione non solo per festose celebrazioni collettive (a partire ovviamente da San Francisco fino a New YorkCopenhagen) ma anche e soprattutto per divulgare al meglio un passato importante (libri inclusi) e soprattutto per riflettere sui possibili futuri della psichedelia – meglio, del ruolo degli stati alterati di coscienza nel contesto dello sviluppo umano e planetario. Ciò alla luce sia del rilancio scientifico di queste sostanze e delle prime depenalizzazioni locali (in Usa) sia a fronte della corsa all’oro medico-psichedelico e di un eccessivo entusiamo generale. 

Come sottolineava lo stesso Hofmann, l’esperienza-esplorazione psichedelica rimane un percorso articolato e poco lineare, oltre che foriero di un approccio multidisciplinare e di un impegno personale e collaborativo, con ampie conseguenze socio-culturali a livello globale. E arricchito da ampie dosi di prudenza, informazione corretta e punti di vista diversificati, insieme all’impegno  a conoscere pregi, difetti e limiti di sostanze, operatori, aziende e quanti altri attivi oggi sul campo. Evitando magari di concentrarsi solo sulla sfera più trainante del “viaggio”, quella emotiva o estetica, per dare invece più attenzione alla preparazione e all’integrazione. Proseguendo cioè lungo un percorso teso verso una maturità psichedelica di ampio respiro.

Respinto il ricorso sulla “tabellizzazione” dell’ayahuasca

Rispetto all’inclusione da parte del governo italiano tra le sostanze proibite delle due piante da cui vengono estratti i principi attivi (armalina, armina e DMT) dell’ayahuasca, arriva ora la (prevista) notizia che il TAR del Lazio ha respinto il ricorso della ICEFLU — come riporta FuoriLuogo:

Con la sentenza 06031/2023 pubblicata oggi il TAR del Lazio ha respinto il ricorso contro l’inserimento da parte del Ministero della Salute dell’Ayahuasca nella tabella I delle sostanze illegali regolate dal Testo Unico sulle droghe. Ne ha dato notizia in una nota la Chiesa Italiana del Culto Eclettico della Fluente Luce Universale (ICEFLU) che valuterà quali iniziative intraprendere a seguito di questa decisione.

I giudici amministrativi pur rilevando come “l’ayahuasca e le piante in essa contenute non sono internazionalmente proibite dalla convenzione sulle sostanze psicotrope del 1971” hanno valutato che ai sensi del DPR 309/90 lo Stato possa inserire fra le sostanze illegali anche quelle non inserite nelle tabelle internazionali ma ritenute potenzialmente a rischio per la salute a seguito di “nuove acquisizioni scientifiche.” (art. 14, DPR 309/90). Non hanno convinto i magistrati nemmeno le contestazioni rispetto all’istruttoria, che per i ricorrenti non avrebbe tenuto conto degli studi sulla sostanza. Per il TAR del Lazio il parere di Istituto Superiore della Sanità e Consiglio superiore di sanità (quest’ultimo di nomina governativa) sono di per sè sufficienti a integrare l’iter preparatorio, insieme alle (due) segnalazioni del Sistema di allerta rapida e di ulteriori due segnalazioni di intossicazioni da parte del Centro Anti Veleni di Pavia in oltre 10 anni.

Per i giudici i ricorrenti non sono riusciti a dimostrare che “nel caso dell’ayahuasca e dell’armina e armalina si tratti di un mero effetto onirico visionario, quale stato modificato della coscienza, e non invece di un effetto allucinogeno” che è uno dei motivi per l’inclusione delle sostanze in tabella I della Jervolino-Vassalli come sostenuto dal Ministero. E’ stata respinta anche la richiesta di deroga per l’uso sacramentale dell’ayahuasca, sottoposta dall’ICEFLU che non essendo prevista per legge per il Tribunale Amministrativo Regionale “costituirebbe un precedente astrattamente riferibile a un numero indefinito di situazioni e di sostanze, con ogni conseguenziale rischio per la salute pubblica, unica finalità perseguita dall’amministrazione con l’inserimento delle sostanze nelle tabelle di cui al d.P.R. n. 309/1990“.

Infine anche la questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 3 e 19 della Costituzione per i Giudici laziali “appare del tutto destituita di fondamento”. Oltre a non ritenere che il provvedimento violi il diritto religioso così come garantito dalla carta costituzionale il TAR richiama la sentenza 28167/2007 della Corte europea dei diritti dell’uomo che si era occupata di un caso analogo in cui una seguace del culto olandese che contestava il divieto di uso dell’ayahuasca durante le cerimonie. La Corte EDU nel caso specifico aveva stabilito “che il divieto di uso e consumo era da ritenersi legittimo in quanto non violativo dell’art. 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (nei medesimi termini, l’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea tutela altresì la libertà di pensiero, di coscienza e di religione) in considerazione della circostanza che il divieto di uso della bevanda è stato motivato dalla necessità della tutela della salute pubblica (e dell’ordine pubblico).”

Fact-checking: Changa, l’invenzione di un occidentale???

Changa blendRiprendiamo l’attività dell’Osservatorio Media, ovvero il “fact-checking” della scena psichedelica, avviata tempo fa esaminando un articolo dedicato all’ayahuasca, occupandoci qui di DMT e changa – sostanze che al pari dell’ayahuasca nel tempo hanno dato vita a diverse “leggende urbane”. Stavolta anzi ad alimentarle non è solo la vulgata popolare bensì proprio quanti, sia in Italia che all’estero, vengono percepiti come dei veri “esperti”.

È il caso dell’australiano Julian Palmer, che sulla base delle sue conoscenze personali, della sua limitata esperienza personale e di materiale autoreferenziale da lui scritto si è autoproclamato “il padre della changa“. Dichiarando altresì di aver concettualizzato in chiave occidentale questo preparato che potremmo definire una “ayahuasca fumabile” come uno spinello, quindi con una “ritualità” conforme alla nostra matrice culturale.

A metterci in guardia però su questa affermazione fu già un intervento di Giorgia Gaia nel corso degli Stati Generali della Psichedelia in Italia del 2021, quando spiegò brevemente come su questo tema si fosse accesa una forte polemica sui forum specializzati e che in realtà Julian non ne era l’inventore ma sicuramente uno dei maggiori divulgatori. Partendo da qui abbiamo pensato di andare a fondo sulla questione cercando di fare ulteriore chiarezza.

La changa è la combinazione di DMT e betacarboline da fumare in una base vegetale secca, e per certi versi non è altro che una “enhanced leaf”, cioè del materiale vegetale infuso con principi attivi. Sarebbe come appropriarsi dell’invenzione del decotto o della tintura alcolica. In ogni caso, il concetto e la pratica di mischiare questi due ingredienti specifici e fumarli è antichissimo, sembra anzi risalire a prima dell’anno 2000 a.C.. Ad esempio, nei siti Inca di Cueva e Huachichocana in Argentina sono state ritrovate due pipe d’osso di puma e dei semi di Anadenanthera e Prosopis (un genere contente betacarboline). L’analisi del materiale ha individuato la presenza di DMT [AA, DISTEL. “Hallazgo de un sitio aceramico en la Quebrada de Inca Cueva.(Provincia de Jujuy) Découverte d’un site sans céramique du ravin de Inca Cueva (Province de Jujuy).” Relaciones 7 (1973): 197-235.].

A quanto pare esiste pure una polvere da fiuto tradizionale chiamata “changa” usata nelle tribù amazzoniche Quetchua e Shipibo, che consiste in foglie di Banisteriopsis caapi  (già presenti nel decotto dell’ayahuasca) polverizzate e mescolate con altre piante triptaminiche.

Spostandosi in occidente, non mancano i resoconti degli anni ’90 pubblicati sulla Entheogen Review che documentano il consumo di changa. Lo stesso Jonathan Ott, famoso etnobotanico, scrive di aver fumato il DMT infuso su foglia di caapi in quegli anni. Nella storica Psichedelics Encyclopedia di Peter Stafford, risalente al 1977 e ripubblicata nel 1993, vengono descritte diverse erbe infuse col DMT destinate ad essere assunte tramite combustione.

Nel suo libro Frammenti di un insegnamento psichedelico (Spazio Interiore, 2017) Palmer ribadisce di essere il creatore della changa. È assurdo pensare che sembri più plausibile che questa combinazione di due piante amazzoniche sia stata scoperta non dai nativi che le consumano da sempre, ma da un australiano nel 2000. Claim of fame del genere richiedono un’attenta verifica o si rischia proprio di riscrivere la storia in base a quanto dice tizio o caio.

A dire il vero anche altri editori nostrani hanno pubblicato con una certa disinvoltura testi che in realtà richiedevano revisioni importanti, vedasi Pharmako/Gnosis di Dale Pendell (Add, 2022), venduto come grimorio da non perdere ma che sottoposto a verifica ha generato più di 8 cartelle di errori e inesattezze, come abbiamo subito segnalato. Ovvio che il forte ritorno d’interesse verso i risvolti dell’universo “psichedelia” abbia generato simili rilanci anche nel Bel Paese, ma occorre stare attenti. E molto.

Oscar Wilde diceva: «Non c’è una seconda occasione per fare una buona prima impressione». È un peccato che anche certi ambienti della psichedelia globale perdano questa occasione del «far buona la prima». Un peccato ancor più grande se consideriamo la delicatezza dell’argomento. Segnalateci altri argomenti da sottoporre a verifica. Se vi sta a cuore l’argomento, non esitate a scriverci!

L’era delle esperienze tecnodeliche (senza psichedelici)

Esperienze tecnodelicheSecondo un rapporto di KPMG, rete globale di esperti interdisciplinari, entro il 2030 la realtà virtuale (VR nell’acronimo inglese) sarà utilizzata almeno quanto i telefoni cellulari, e spenderemo all’interno di essa la maggior parte del nostro tempo da svegli. Molte delle nostre attività quotidiane, lavorative e ricreative, si trasferiranno nel mondo virtuale. Non è dunque assurdo domandarsi come la realtà virtuale cambierà il nostro approccio alla psichedelia. In verità, sono tutt’ora disponibili alcune esperienze cosiddette tecnodeliche: esperienze simil-psichedeliche ottenute soltanto mediante l’uso della tecnologia, in particolare ricorrendo alla realtà virtuale.

Vale la pena di sottolineare che tali esperienze non prevedono l’assunzione di sostanze illegali, e dunque consentono di aggirare le innumerevoli problematiche le quali pregiudicano non solo l’utilizzo ma anche la sperimentazione con le sostanze psichedeliche. Utile al riguardo dare un’occhiata al Technodelic Manifesto (2020).

Attraverso queste esperienze potrebbe essere possibile ottenere gli stessi benefici terapeutici delle sostanze psicotrope ma senza alcun rischio per la salute: se si esclude il malessere che la VR può causare in alcuni soggetti predisposti (comunque per nulla dissimile dal mal d’auto), le esperienze tecnodeliche non dovrebbero provocare alcun effetto collaterale rilevante. Inoltre, le sedute con sostanze psichedeliche a scopo terapeutico richiedono generalmente dalle 4 alle 8 sessioni di preparazione all’esperienza, e la seduta dura dalle 6 alle 12 ore; nel caso delle esperienze tecnodeliche, invece, la preparazione necessaria dura solo pochi minuti, e l’esperienza stessa può avere una durata di un’ora, o anche meno.

Tuttavia, progettare esperienze di questo tipo non è affatto banale. Infatti, ad esempio, non è sufficiente riprodurre attraverso la VR quelle alterazioni della percezione che vengono normalmente esperite sotto l’effetto degli psichedelici, come ad esempio le allucinazioni: queste ultime sono solo un effetto dello stato alterato di coscienza, e ricrearle non equivale a produrre lo stato alterato di coscienza che le causa.

Una soluzione utilizzata da alcuni sviluppatori di esperienze tecnodeliche prevede stimolazioni sonore ed auditive con la stessa frequenza delle onde teta (caratteristiche degli stati alterati di coscienza) che siano in grado sincronizzare l’attività cerebrale a quella stessa frequenza. Nulla di troppo diverso dalla trance sciamanica indotta dalle incessanti percussioni.

Un’altra possibilità è stata invece esplorata da David Glowacki e colleghi presso l’Università di Bristol. I ricercatori inglesi hanno provato a riprodurre l’esperienza di dissoluzione dell’io tramite la realtà virtuale e, ispirandosi all’identità tra materia energia nella fisica quantistica, hanno fatto incarnare i partecipanti in corpi luminosi ed evanescenti. Inoltre, trattandosi di un’esperienza di gruppo, i partecipanti potevano osservare i loro corpi confluire l’uno nell’altro, e mescolarsi come se i propri confini fisici fossero diventati estremamente labili. I ricercatori hanno battezzato quest’esperienza “Is-ness,” termine coniato da Aldous Huxley nel suo saggio Le porte della percezione (1954)  per descrivere la qualità degli oggetti di “essere e basta,” da lui esperita sotto l’effetto della mescalina.

Glowacki ed i suoi collaboratori avevano già testato una versione dello “Is-ness” che richiedeva la presenza fisica dei partecipanti nel loro laboratorio. Invece, questa nuova versione ha consentito di superare le limitazioni imposte dalla pandemia facendo vivere un’esperienza collettiva a partecipanti i cui corpi fisici erano localizzati in parti diverse del globo.

I ricercatori hanno quindi comparato i dati raccolti sull’esperienza con quelli relativi ad esperienze psichedeliche classiche. In particolare, i partecipanti hanno compilato dei questionari il cui scopo era quantificare il grado di dissoluzione dell’io ed il senso di comunione tra loro, oltre all’intensità dell’esperienza psichedelica in generale. Quest’ultimo test era stato somministrato anche durante lo studio precedente, quando i partecipanti erano stati fisicamente presenti in laboratorio durante l’esperienza: i risultati ottenuti erano comparabili a quelli di un classico trip.

I dati dell’ultimo studio confermano come l’esperienza dello “Is-ness” sia qualitativamente affine alle esperienze con sostanze psicotrope. In particolare, al questionario relativo alle caratteristiche psichedeliche dell’esperienza, Isness  sembra provocare gli stessi effetti dell’assunzione di 20 mg di psilocibina e 200 μg di LSD. Inoltre, i punteggi ottenuti al questionario sulla dissoluzione dell’io sono molto simili a quelli conseguenti all’assunzione di 18 mg psilocibina, di 75–100 μg di LSD, e di 125 mg di MDMA. Per quanto riguarda il senso di comunione fra i partecipanti, i risultati sono statisticamente indistinguibili da quelli ottenuti durante sessioni di gruppo con sostanze psichedeliche.

Per ulteriori dettagli sulla trascendenza via VR e sul progetto “Isness-D” portato avanti dal team di David Glowacki si veda un ampio articolo apparso su Technology Review nell’agosto scorso, e ora tradotto in italiano sul blog di Cultive Cannabis.

Nonostante questi risultati promettenti, ancora resta da chiarire se le esperienze tecnodeliche siano effettivamente in grado di apportare quegli stessi benefici che vengono attribuiti agli psichedelici, dando così nuovo impulso alla ricerca in questo campo. Ad esempio, andrebbe verificato se le esperienze tecnodeliche possano essere utilizzate a scopo terapeutico, cioè per trattare la depressione, il disturbo da stress post-traumatico (PTSD) ed altre patologie psichiatriche – come è stato già comprovato, in aggiunta alla comune psicoterapia, per l’MDMA e altre sostanze psicotrope.

Nel caso di queste ultime, la dissoluzione dell’io si correla con il disgregamento di uno specifica area cerebrale, il default mode network (DMN) e tale disgregamento sembra essere responsabile, ad esempio, degli effetti che riducono o azzerano la depressione. Nel caso delle esperienze tecnodeliche, per quando l’analoga dissoluzione dell’io lasci ipotizzare un analogo effetto sul DMN, non sono ancora disponibili dati di neuroimaging conclusivi. Se venisse riscontrato un tale effetto, ciò lascerebbe sperare che un giorno la realtà virtuale possa diventare non solo un’alternativa a varie sostanze (tuttora) illecite, bensì addirittura una terapia psichiatrica pressochè priva di effetti collaterali.