Antropologi occidentali tra ayahuasca e sciamanesimo

Amselle+NarbyProsegue la bonanza di libri italiani su temi variamente legati alla psichedelia (raggruppati sotto la categoria MindBooks). Stavolta si tratta di Psicotropici: La febbre dell’ayahuasca nella foresta amazzonica, dell’antropologo francese  Jean-Loup Amselle, direttore di studi all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, pubblicato da Meltemi Editore. Ne parla in un ampio intervento su Carmilla lo psichiatra Piero Cipriano. Il quale stronca senza mezzi termini l’approccio di Amselle:

Il mio giudizio è severo perché negli ultimi decenni, in cui tutti i mondi da scoprire sono stati scoperti, e l’unico mondo inesplorato è quello che puoi vedere solo se entri in un altro stato di coscienza, un antropologo che (pur occupandosi di sciamani e di ayahuasca) ha l’ossessione della sobrietà, il culto, la venerazione dello stato di coscienza ordinario, e non si affaccia neppure una volta una soltanto dico una nell’altro mondo, nel mondo dove ci sono gli spiriti (direbbero gli sciamani) oppure ci sono i morti oppure i demoni e gli dei, che antropologo può mai essere? Che saggio su sciamani amazzonici e ayahuasca potrà mai scrivere? Un libro scritto da un voyer, uno che sta al di qua, a guardare a studiare da fuori i vari “attori della filiera sciamanica”, come li chiama, per osservare da fuori ciò che ha timore di vedere da dentro. Come uno che, invece di scopare in prima persona, guarda gli altri mentre sono intenti a… bere l’ayahuasca. Cosa potrà mai capirci?

Amselle in fin dei conti dedica questo suo libro al nemico, e i suoi nemici sono (oltre agli sciamani) quegli antropologi che hanno tradito la causa e sono passati dall’altra parte (dalla parte degli sciamani), i più noti dei quali Carlos Castaneda, Jeremy Narby e Michael Harner. Non gli perdona questo “percorso ibrido, al crocevia tra università letteratura e mitomania”, percorso che lui non ha saputo o non è riuscito a fare. Ma non risparmia neppure le decine di antropologi meno noti che definisce sprezzante gli “ex studenti scartati che andranno a ingrossare le file degli sciamani occidentali operanti nell’Amazzonia peruviana”. Pare che se non diventi assistente universitario o ricercatore con Amselle sei un fallito, sia che diventi Castaneda sia che diventi un anonimo sciamano che si auto esilia nella selva.

Per correttezza, segnaliamo la pronta replica dell’editore su Facebook, dove si legge fra l’altro:

Per ora ci limitiamo a sottolineare che definire Amselle “antropologo fallito” è, prima di tutto, falso. Cercheremo anche di entrare nel merito delle “accuse” che Cipriano rivolge ad Amselle e al libro, magari coinvolgendo nel dibattito chi del libro si è occupato più da vicino.

Proseguendo nella sua analisi, Piero Cipriano cita, come contraltare a quest’atteggiamento, propone un altro testo in tema, Il serpente cosmico: Il Dna e le origini della conoscenza (uscito nel 2006 presso Venexia). Il cui autore, l’antropologo canadese Jeremy Narby, da tempo coinvolto in progetti sul campo in Amazzonia, viene definito “l’anti-Amselle”:

Jeremy Narby, uno che si è spinto dove Amselle e gli antropologi legati tenacemente allo stato di coscienza ordinario non potranno immaginare. Ha conosciuto cose che solo i morti e i morenti possono conoscere pur non essendo ancora morto. … Scopre che il mondo è diventato consapevole delle conoscenze etnobotaniche degli indigeni amazzonici. Senza la loro competenza, i chimici delle aziende farmaceutiche dovrebbero “testare alla cieca le proprietà medicinali di 250.000 specie vegetali che si stima siano presenti al mondo”. Una stima per difetto, visto che potrebbero essere oltre trenta milioni, le specie vegetali.

Spiegando poi che il “mestiere di sciamano è a rischio di estinzione da quando, negli anni Novanta, è iniziato il turismo esotico-psichedelico-mistico-spirituale”, lo psichiatra italiano conclude così:

…l’arrivo a frotte dei turisti psichedelici in Amazzonia, nell’arco di un decennio, trasforma il mestiere sciamanico da mestiere povero in mestiere ricco. Iniziano i tour europei e americani di sciamani non solo amazzonici, ma messicani, andini, pellerossa, e non solo con l’ayahuasca ma con peyote il San Pedro il Bufo Alvarius la Dmt fumata eccetera. E’ chiaro che se molti diventano sciamani non per vocazione, ma perché è diventato un mestiere remunerativo e prestigioso, non tutti sono affidabili, bravi, altruisti, degni di fiducia. Questa differenza, però, tra sciamano autentico e sciamano imprenditore, nel libro di Amselle non si coglie. Amselle butta via lo sciamanesimo con l’acqua sporca del capitale.

Da notare infine che il testo vuole mettere in luce soprattutto un aspetto particolare dell’intero “fenomeno”, come si legge nella presentazione, che non va comunque sottovalutato:

Il turismo di massa ha trasformato lo sciamano in un professionista degli affari, un imprenditore in grado di unire i valori esoterici degli eredi della new age con il sapere dei guaritori dell’Amazzonia. L’ayahuasca sarebbe quindi a tutti gli effetti una religione d’Occidente, un’ambigua tecnica di addomesticamento degli individui.

1 commento su “Antropologi occidentali tra ayahuasca e sciamanesimo”

  1. Oggi sono in diversi che scrivono senza esperienza diretta. C’è da dire che da ragazzo ho conosciuto un allenatore della nazionale di nuoto famosissimo e pluri decorato che sapeva a malapena nuotare. É un esempio che forse non calza perfettamente ma non sempre é necessaria una profonda conoscenza diretta dell’oggetto del contendere

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