Intellettualizzazione o Visione? Il registro dell’esperienza psichedelica

Psychedelic ExperienceRiceviamo e volentieri pubblichiamo questo vero e proprio “trip report” di un autore che preferisce rimanere anonimo. Un resoconto interessante e personale, ma anche “dotto”, vista l’esperienza e le conoscenze psicologiche dell’autore stesso, attento alle problematiche della riduzione del danno e soprattutto del rischio collegato al consumo di queste molecole.

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Intellettualizzazione o Visione? Il registro dell’esperienza psichedelica.

Una riflessione su come siamo noi presenti durante lo stato non ordinario di coscienza, o come l’hic et nunc ne determini l’integrazione nel quotidiano futuro.

Questo scritto si propone di analizzare, da un punto di vista psicologico, secondo le teorizzazioni apprese nel corso dei miei studi universitari, l’esperienza psichedelica.
Quest’ultima sempre soggettiva, intima, interpretata dal solo sguardo di chi la vive.
Ogni generalizzazione a riguardo è da considerarsi un tentativo di approssimazione. Avvicinarsi ad una realtà comunque mediata da chi ne fa parte.
Perché oltre all’oggetto di realtà, questo quasi inconfutabile, vi si intersecano set e setting, in un logos continuo, l’uno ad influenzare l’altro, e viceversa.

Provare a formalizzare un campo di definizione è un’opera ardua ma stimolante, nelle speranze di chi scrive, utile a chi legge, per avvicinarsi alla psichedelia in modo consapevole, attutendo i possibili rischi; o guardarsi alle spalle nel proprio cammino, con nuove prospettive per proseguirlo, sempre più incuriositi.
Ben consci che l’obbiettivo primario non è postulare teoria “dura”, ma generare altri meravigliosi, liberi, dubbi.

Siamo sdraiati sotto il sole in un prato, e nel frattempo riflettiamo sul senso della vita.
Le nostre emozioni si sono impadronite di noi o viceversa?
Ci sovviene un flashback percettivo emotivo d’infanzia, che ristruttura la nostra visione su noi stessi, da una prospettiva inaspettata…
Ma allo stesso tempo una nuvola violetta, con forme caleidoscopiche, si avvicina alla massa luminosa lassù, sicuramente non lo stesso sole a cui siamo abituati. Lo sentiamo irradiare energia solare pura. Entrarci dentro le membra, irrorandole di un calore enteogeno, mentre l’erbetta soffice ci solletica, ondeggiando soavemente.

Lo switch fra due esperienze così disparate, in pochissimi secondi, è compreso nella gamma di effetti degli allucinogeni.
Sostanze non solamente in grado di inebriare i sensi, sconvolgere la percezione, distorcendola in modi che comprendono la completa gamma: dal sublime, all’atroce; ma anche di liberare i nostri canoni di pensiero dalle rotaie prestabilite, inibendo quella default mode network (1), pilota automatico della coscienza in autoruminazione, che ci chiude nelle nostre incertezze, privati della determinazione a cambiarci e a cambiare il contesto.
Pensieri offuscati si diradano e nuove prospettive nettate prendono così forma.

L’assuntore si trova indi d’innanzi l’oceano delle possibilità, ma difficilmente si sentirà perso. Che la strada intrapresa sia quella interpretativa, letteralmente “rivelatrice della mente” (2): la folgorazione sulla via della conoscenza; o diversamente quella che conduce verso ammalianti allucinazioni: il canto delle sirene di odissea memoria, generalmente si sentirà come preso per mano, condotto da una forza superiore.
Salvo imprevisti.

Ma davanti a un bivio (momento topico di ogni promenade psichedelica), quale via dovremmo noi prendere?
Cosa rimane dell’esperienza mentre è vissuta?
Immagini che rapiscono, ma di cui ci sfugge il senso, o forse rivelazioni impattanti, private del cuscinetto ammorbidente della grazia?

Vivere un momento, come quello psichedelico, che si presta ad ogni tipo di avvenimento interno di percezione mutante, può sembrare paradossale sotto ogni punto di vista. Ma per cercare di semplificare, nel modo più didascalico ed accademico, un qualcosa di pur sempre inafferrabile a pieno (ciò che fa aumentare la curiosità dello psiconauta), serve una teorizzazione.
L’ipotesi qui presentata è quella della compresenza di due modalità con cui noi ci interfacciamo alla pur sempre fluida ed, oltre ogni tentativo di intellettualizzazione, inconcepibile, esperienza ulteriore di coscienza. Due modi di essere e di relazionarsi all’alterazione, o filoni di auto narrativa legata allo stato non ordinario di coscienza, che ho voluto definire come registro di analisi, e registro esperienziale.

Il momento del capire, dopo che si è visto (3).

Il registro di analisi può essere definito come la costellazione di momenti di ricerca interiore, risposte a domande mai poste esplicitamente, ma già presenti nel sottosuolo della coscienza. Si creano così nuovi paesaggi nelle nostre mappe mentali di ricerca di senso, intuizioni possibilmente così semplici quanto chiare, in grado di illuminare, quanto forse di abbagliare.

Il momento del vedere, prima che si possa capire.

Il registro esperienziale invece è quello della perdita di controllo su quanto è l’appercezione. La dissoluzione dei confini sensoriali, l’ abbandono estatico…
E talvolta, non dimentichiamolo, gli incubi ad occhi aperti.
Ma l’uno esclude veramente l’altro?

Come in molte questioni la dualità scinde, come la coscienza analitica, complementarietà indissolubili.
Compaiono quindi i bias di intellettualizzazione, tentativo di spiegare il non spiegabile, avvitamenti mentali per mantenere quel brandello di auto-controllo, padronanza sulla propria mente, spaventati dal perdersi imminente.
Oppure la avida mendicanza di un po’ di nettare in più, ricerca di visioni coatte, strisciare alla ricerca di quella distorsione di senso quasi bramosamente, e l’Edoné afinalistico a trionfare.

Un’ immagine a sfocare, sciogliere, perdere di senso. Escapismo psichedelico.
Nel primo caso il bisogno di trovare significato può distogliere dalla ricerca, senza pretese, dello stesso, conditio sine qua no nell’avvicinamento ad esso. Mentre nel secondo spesso non si è ricordi di come sia sempre quando la soglia attentiva si abbassa, che si palesano le apparizioni mariane in salsa psichedelica. E lasciarsi andare è l’unica occasione per poterne fruire (4).

La ricerca estenuante di significato, o di visione, non porta a quella pienezza di esperienza che invece la commistione delle due crea.
Due confini opposti del continuum “aggiungere significato” (5) aspettando l’epifania, e “dissoluzione di questo”, tramite il liquefarsi della percezione, ad unirsi in un paradossale accoppiamento.
Abbandonarsi all’immensità è quindi l’unica possibilità per cogliere l’inconcepibile, generando la beatitudine dell’illuminazione; o estasiarsi nella perdizione, con il bestiale godimento di crogiolarsi nel brodo di giuggiole che rimane della propria coscienza.

Ma in questa dinamica polarizzata ci sono anche gli squilibri, i disallineamenti. La sensazione incombente di stare sbagliando strada.
Accade di pensare che non si stia costruendo ermeneuticamente una struttura concettuale nel momento, e che tutto possa svanire nei contorni sfumati di un universo in dissolvenza, intrappolati in un’estasi momentanea destinata allo scioglimento…Oppure che si stia intellettualizzando oltre il dovuto, perdendosi così quei frammenti psichedelici di godimento estetico , poesia mistica dell’esperienza.
Ma allora quale dei due momenti o registri dobbiamo preferire durante la navigazione ?

Risposta non v’è, se non quella apparentemente tanto scontata, quanto giusta, del “bisogna
Vivere il momento”, non sforzare, né sforzarsi, di raggiunger questo o quel pinnacolo di esperienza.
La Magia alberga ovunque, sta sia in noi, nelle spiegazioni che troviamo, sia in quello che è al di fuori, e si palesa in tutta la sua sfrontata bellezza e complessità.

Torniamo quindi al riproporsi del dualismo soggetto-oggetto, la quale ci riporta al tema della ego dissolution.
Quando avviene la vera dissoluzione dei confini dell’ io?
Nel momento in cui ristrutturiamo la nostra prospettiva su noi stessi, come se ci vedessimo da fuori; la tendenza a spersonificarsi, e ad analizzare in terza persona, annichilendo l’ego; creando nuovo senso a ciò che viviamo?
O quando non sentiamo più il nostro corpo, risucchiato dalla forza di gravità dell’allucinazione, e fluttuanti in quel vuoto da colmare ci chiediamo chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo?

Forse il primo caso è semplicemente una masturbazione mentale sul senso di noi, e quanto siamo importanti e scintillanti, sul piedistallo sul quale ci siamo messi da soli mangiando o bevendo qualche cibo degli dei?
E il secondo invece soltanto una bramosia ennesima di possedere, anche questa volta, una percezione allucinata; ennesimo capriccio egoistico, con cui mentiamo a noi stessi omettendo il nostro vorace desiderio?
Forse, anche questa volta l’essenza sta nell’equilibrio.

Unire in un unicum i due registri forse ci salverà nell’attraversare l’ennesima volta le colonne d’Ercole.
Questo è il duro lavoro di bilanciamento che spetta al navigante.

Ricollegandomi alla concettualizzazione riportata da Pier Giorgio Lattuada agli SGPI 2020, possiamo immaginare l’esperienza psichedelica come un Quadrato ed un cerchio, il primo contenente il secondo, l’uno rappresentante l’espansione, l’ulteriore della coscienza; e l’altro l’ordinario stato di sussidio dell’Io (6).
Essi sono l’espansione l’uno dell’altro, sì, ma non due mondi separati , inconciliabili.
La conciliazione, l’integrazione, di questi nel quotidiano futuro, è l’inevitabile obbiettivo della ricerca di rivelazione della psiche.

“Portare qua quello che è di là
Vedere con gli occhi di là quel che è qua.”

Note:

1) Network che coinvolge l’attivazione di numerose regioni corticali e sottocorticali stato di coscienza attivato mentre l’individuo è focalizzato sui propri processi e stati mentali interni, come la autoreferenza, l’introspezione, la memoria autobiografica retroattiva o l’immaginazione del futuro (consapevolezza autonoetica). L’esperienza psichedelica aiuta a de-centralizzare il sé dal ragionamento, e a vedere le cose da una prospettiva più ampia.

2) Termine coniato dallo psichiatra britannico Humphry Osmond negli anni cinquanta, dal greco psykhé (anima, esteso mente) e delos (chiaro, evidente), riferito all’ “allargamento della coscienza”, ciò che rende evidente la psiche, manifestazione della stessa.

3) Queste definizioni di antecedenza o conseguenza vanno considerate nei termini temporali spesso sfasati dello snoc, in cui tutto è possibile percepire. Solitamente vi è la spiegazione dopo la visione. Più raramente il contrario. Con tutto ciò che ne può conseguire in termini di immaginazione.

4) Motivo per cui molti assuntori alle prime armi lamentano una mancanza di effetti allucinatori, tanto sono, anche giustamente, bramosi o curiosi di ottenerli.

5) Secondo Paul McLean il cervello può essere considerato la stratificazione di strutture evolutivamente in
progressione, la più recente delle quali, la neocorteccia, è patrimonio unico dell’essere umano, e ci differenzia dagli altri animali, in quanto spinge noi a cercare un senso ed un significato alla nostra esperienza vitale. Ciò diventa obbiettivo imprescindibile della nostra esistenza, e qualora venisse a mancare la ricerca, o il ritrovamento di questo, si creerebbero scompensi.

6) La teorizzazione di riferimento è quella Freudiana, secondo cui, nel modello strutturale, le istanze psichiche si dividono in Io, Es e Super Io, con il primo di questi atto appunto a mediare fra le richieste del principio di piacere, che risponde all’Es, e quello di realtà, che risponde all’Io. L’Io in questa accezione è l’ente organizzatore della nostra vita mentale, asservendo al ruolo decisivo di interfaccia con le pulsioni e il mondo esterno, al quale necessariamente bisogna adattarsi.