Ketamina: terapia psichedelica alla portata di (quasi) tutti?

KetaminaKetamine Therapy Is Going Mainstream. Are We Ready?“: questo il titolo-domanda di un’ampia indagine proposta nel primo numero dell’anno nuovo dal noto settimanale statunitense New Yorker.  L’articolo punta innanzitutto a dettagliare storia, usi ed esiti della psicoterapia a base di ketamina, già applicata in diverse cliniche e ambiti Usa. Senza tralasciare una serie di utili analisi ed opinioni sugli aspetti sociali, culturali e imprenditoriali del più ampio revival psichedelico in corso. Per chiudere con resoconti di esperienze dirette sul campo, fornendo così un’estesa panoramica d’attualità che merita la sintesi ragionata italiana (qui di seguito). Ricordando comunque che per saperne di più su utilizzi ricreativi e terapeutici, rischi e potenzialità di questo anestetico psichedelico, in italiano c’è il libro di Gianluca Toro pubblicato da Nautilus nell’estate 2020.

Si parte da una figura a dir poco controversa, lo psichiatra messicano Salvador Roquet, il quale fin dagli anni Sessanta applicava terapie di gruppo appositamente mirate a creare un “forte sovraccarico sensoriale” in pazienti affetti da turbe psicotiche, per stimolarne una supposta rinascita psico-spirituale. Nel corso di sessioni ininterrotte di 8-9 ore a costoro venivano somministrate man mano svariate sostanze psichedeliche (dai funghetti alla datura al peyote), accompagnate da video porno e sanguinosi, assordante musica rock e sonorità cacofoniche di varia natura.

Si trattava insomma di vere e proprie “calate all’inferno”, dai risultati parimenti dubbi e controversi, e che oggi vengono fortemente criticate dalla stessa comunità psichedelica. Inclusi episodi di tecniche di controllo mentale, abusi sessuali e finanche torture ai danni dei pazienti applicate senza problemi dallo stesso Roquet. Il quale viene comunque indicato come uno dei propri “maestri” da esperti di spicco dell’odierno movimento enteogeno, tra cui Francoise Bourzat (e il marito Aharon Grossbard), formatasi con Pablo Sanchez, terapista psichedelico underground che ha ripreso le tecniche di Roquet dopo la sua morte nel 1995. (L’articolo del New Yorker non cita queste appendici, ma tali dettagli sono esposti in recenti interventi online, nel contesto di manipolazioni e abusi emersi nella terapia psichedelica, anche perché pur sempre illecita, e vengono ulteriormente discussi in PowerTrip, podcast periodico curato dal team di Psymposia).

Tornando alle sperimentazioni di Roquet, costui somministrava ketamina a chiusura di quelle esperienze convulse, proprio per le sue proprietà calmanti e introspettive. Per lo stesso motivo venne poi impiegata nel training dei futuri terapeuti psichedelici: è il caso di Stanislav Grof che la descrive come «la sostanza psicoattiva più strana mai provata in 50 anni di ricerche sulla consapevolezza» (nell’antologia Ketamine Papers del 2016). Proprietà ritenute valide ancor’oggi, con trattamenti offerti in varie cliniche ad hoc attive soprattutto in Usa e in altri ambiti (si veda più avanti). Ciò anche perché, mentre nei primi anni ’70 gli psichedelici finirono nella Tabella I delle sostanze illecite, la ketamina ottenne l’approvazione della FDA come anestetico e tale rimane pur se con alcune restrizioni. (Continua qui.)

Come chiarisce lo stesso articolo del New Yorker:

La ketamina è rimasta legale a livello medico, e gli psichiatri della controcultura hanno continuato a sperimentarla. Negli anni ’80 suscitò l’entusiasmo di John C. Lilly, medico e psichiatra poi divenuto noto per aver sviluppato tecniche di comunicazione uomo-delfini. Lilly ne sviluppò però dipendenza fino alla tarda età (morì nel 2001, a 86 anni). […] Negli anni ’90 la ketamina tornò in auge presso gli avventori di club, party e soprattutto rave dove si balla per lunghe ore,  causandone poi la classificazione (in Usa) nella Tabella III insieme a steroidi e codeina.

Quando le indagini scientifiche rivelano che una singola dose di ketamina intravena produce rapidi effetti antidepressivi,  e nel 2006 lo conferma perfino il National Institute of Mental Health, il gioco è fatto. Alcuni medici iniziano ad applicarla in modo discreto privatamente, finché nel 2012 parte il business vero e proprio a New York: prima apre la Ketamine Infusions, gestita da Glen Brooks, anestetista laureatosi ad Harvard, seguita nell’agosto di due anni fa da una clinica coi fiocchi, a cura della Field Trip Health, analoga a quella già avviata a Toronto, in Canada, e poi anche a Los Angeles. L’articolo delinea vicende, protagonisti e passaggi di questo salto imprenditoriale a tutto campo, analogo a quello seguito negli ultimi anni da altri psichedelici, che però restano formalmente illeciti. Si è così aperta un’area grigia legale in cui prospera la corsa all’oro medico-psichedelico, con le inevitabili luci e ombre:

Oggi una persona affetta da depressione con diverse centinaia di dollari a disposizione, che non sia in preda di manie o psicosi, può scegliere tra una vasta gamma di trattamenti clinici a base di ketamina: una dose titrata  somministrata per via endovenosa da un anestesista in una clinica apposita, un’iniezione fatta da uno psichiatra in uno studio privato, una pastiglia orale inviata per posta da una startup che approfitta delle modifiche alla regolamentazione delle prescrizioni a distanza dovuta alla pandemia da Covid. E se puoi andare nella città giusta e hai fondi sufficienti, puoi facilmente assicurarti un “viaggio” legale e guidato da un terapista in una clinica che si fa pubblicità su Facebook ed è finanziata dal venture capital.

Si passa poi a descrivere da vicino le esperienze dirette di alcuni pazienti in queste cliniche newyorchesi, inclusa la stessa autrice dell’articolo (Emily Witt), inframezzandole con interventi e citazioni degli odierni operatori sul campo. Tra questi,  Phil Wolfson, psichiatra pioniere del settore e co-curatore del suddetto Ketamine Papers, non esita a gettare un po’ d’acqua sul fuoco di questo forte revival psichedelico. Spiegando, ad esempio, che il “potere” della ketamina sta non tanto nell’attivare la neuroplasticità cerebrale – in realtà innescata anche da importanti ma comuni esperienze di vita come innamorarsi, meditare intensamente o scalare una montagna – bensì dalla capacità di offrire una “pausa soggettiva” a chi soffre di depressione cronica e farmaco-resistente. Non certo una panacea, bensì uno stacco introspettivo al di là del tipico andirivieni mentale e della pressante realtà quotidiana, utile specialmente per «l’enorme quantità di persone colpite da depressione cronica in un mondo cronicamente depresso, e come barriera contro i suicidi, aumentati del 30% dal 1999 ad oggi, o le 100.000 morti per overdose dall’aprile 2020 all’aprile 2021» [dati Usa],  come nota ancora Wolfson.

Stimolante anche la descrizione di una sessione di training per psicoterapisti interessati, sempre sotto l’egida di Phil Wolfson. Dopo l’invocazione iniziale e la declamazione di una poesia di Rumi, un’apposita colonna sonora e la presenza di vari assistenti offre supporto al “trip” dei presenti per circa un’ora, quando infine Wolfson prende il microfono: «Rilassatevi nel profondo di voi stessi, cercate la grande pace, trovate il centro del cuore, raggiungete la grande compassione». Segue poi la necessaria fase integrativa, con i partecipanti che scambiano impressioni personali sull’esperienza appena conclusa e infine seguono un seminario sulla teoria dell’attaccamento.

Ovviamente l’articolo del New Yorker affronta argomenti complessi con toni anche critici, impossibili da sintetizzare adeguatamente qui, provando altresì a costruire ponti tra le varie entità ed interessi coinvolti (in Usa). Non mancando, in conclusione, di sottolineare i rischi dovuti all’assunzione della sostanza, soprattutto se sniffata o iniettata quotidianamente per lunghi periodi, riferendosi naturalmente all’uso ricreativo al di fuori dell’ambito terapeutico. I pericoli riguardano la soglia di tolleranza in costante aumento, l’attrazione o la voglia irresistibile, i possibili danni irreversibili ai reni e al tratto urinario.  Pericoli questi ben noti e pubblicizzati nei giri underground, mentre la dipendenza vera e propria (come nel caso di Lilly di cui sopra o come causa collaterale di decesso) sembra abbia interessato solo pochi individui. E le stesse fonti governative ne classificano “da moderato a basso” il potenziale livello di abuso.

Impossibile sostenere che oggi l’ambito mainstream e la popolazione generale siano davvero pronti per l’avvento diffuso delle terapie psichedeliche. Anche se è vero che ciò va man mano prendendo nel mondo anglosassone, mentre in Italia siamo ben lontani da un serio dibattio pubblico e da una massa critica interessata. È però questo il momento giusto per prepararsi adeguatamente, non solo a livello medico, raccogliendo e diffondendo informazioni corrette e cercando di capire, come società nel suo insieme, chi/come possa trarne giovamento terapeutico – e chi invece punta solo a ricavarne dei profitti o, peggio, a imporre manipolazioni e abusi.