Preambolo al SGPI19

Trascrizione dell’introduzione di Alessandro Novazio agli Stati Generali della Psichedelia in Italia 2019.

Perché siamo qui

Intanto grazie di esser qui oggi così numerosi. Per me è una vera sorpresa e anche una grande soddisfazione impensabile fino a pochi mesi fa. Sono Alessandro Novazio ideatore e fondatore  di Psy*Co*RE e direttore del cccTo questo loft culturale che vi ospita.

Per onore della cronaca Psy*Co*Re nasce il 23 maggio 2019, quando proprio in questa sala si sono riunite una trentina di persone da tutta Italia per discutere della necessità di dar vita anche da noi, a “un qualcosa” che si occupasse di stati di coscienza e in particolare della ricerca ad essi collegata. L’esigenza nasceva dal fatto di constatare che nei Paesi soprattutto di lingua anglosassone era ripartito un generale interesse su questi argomenti.

Da una parte la ricerca psichedelica riprendeva di fatto gli studi interrotti negli anni ‘70 e anni ’90, quando per esempio in Usa venne fondata la MAPS, non-profit ora protagonista di questa seconda rinascita. Dall’altra c’era la riscoperta di enteogeni naturali e di ritualità ancestrali che per molti motivi, non ultima una rinnovata sensibilità “ecologica”, sono tornati a essere contemporanei. Una dinamica che da circa un decennio ha ritrovato vitalità e ha iniziato a “forare” lo stigma culturale mainstream degli 50/60 anni.

In Italia, invece, salvo realtà come quella della S.I.S.S.C. (Società Italiana per gli Studi degli Stati di Coscienza), attiva fin dagli anni ’90 e il cui convegno dedicato alle “Medicine Proibite” tenuto in questa sede nel 2015 ha di fatto rilanciato il discorso sulla ricerca anche in Italia, ben poco si è mosso in generale.

Le eccezioni possiamo contarle sulle dita di una mano : le iniziative del Livello 57 di Bologna, particolarmente attivo dal 1993, da considerarsi un aprifila per quanto concerne l’informazione sulle tematiche relative alla riduzione del danno e a un approccio consapevole all’utilizzo delle sostanze. E più recentemente, nel 2017, le attività dell’associazione Luca Coscioni, impegnata in campagne per la libertà della ricerca scientifica, l’antiproibizionismo, per la salute e sanità, e che è stata promotrice di un interessante convegno internazionale qui a Torino sui profili legali e scientifici della libertà di ricerca sulle sostanze stupefacenti e il loro possibile uso terapeutico.

Tutte le altre iniziative, seppur in sé importanti, rimanevano a un livello che potremmo definire “subliminale”, cioè relegate a gruppi ristretti, CSA e simili, oltre a piccole ma coraggiose case editrici come Stampa Alternativa e la torinese Nautilus, la milanese Shake tanto per citarne alcune con cui collaboriamo. Nel complesso, quindi, con scarsa visibilità nel panorama mainstream italiano.

Tornando a quello sparuto gruppo di persone del magio scorso, ci si rendeva conto che certe dinamiche erano ripartite “altrove” e ci si interrogava sul fatto del perché invece l’Italia “stava alla finestra”, del perché sul fronte della ricerca eravamo praticamente inesistenti e più in generale eravamo “l’ultima ruota del carro”.

Fu allora che si prese coscienza del fatto che ci trovavamo in quella posizione semplicemente perché nessuno aveva mai preso veramente l’iniziativa in tal senso e che se qualcuno poteva e doveva farlo quel qualcuno eravamo proprio noi lí presenti.

Questa presa di coscienza ha portato, all’inizio di agosto 2019, alla prima stesura del Manifesto di Psy*Co*Re e nel settembre successivo alla “chiamata generale” per questi Stati Generali, fino ad arrivare a questo evento che di fatto credo rappresenti per l’Italia il primo vero grande momento di “rottura e immersione/emersione (dipende dalla visuale)” su queste tematiche. Qualcosa di simile a quella che per certi versi è stata la Breaking Convention di Londra per l’ambito anglosassone, la cui prima edizione risale al 2015.

Dicevamo, “perché siamo qui”….perché è qui, scusate il doppio giro di parole, la grande scoperta e la nostra presenza la prova tangibile, che siamo molti di più di quello che si pensava. Che l’argomento è di grande interesse e che in realtà in quello strato subliminale sono accadute e stanno accadendo tante cose, e anche interessanti. Che tolto quel velo “coprente”, non siamo poi così indietro come pensavamo. Che la ricerca sugli stati di coscienza esiste anche in Italia ed è forte e viva, anche se dispersa in tanti piccoli rivoli e spesso intrapresa da sparuti gruppi di ricerca indipendenti. Che qualcosa poi si muove anche nelle università e in insperati centri di ricerca come il CNR.

C’è del fuoco sotto la cenere

Insomma Psy*Co*Re ha finalmente iniziato a realizzare parte della sua mission cioè a “pungolare”, a “coagulare”, ad aiutare a far emergere e, con oggi, ad avviare anche in Italia quel processo che in Usa e nei paesi di lingua anglosassone si è avviato con un anticipo di 4/5 anni.

The Multidisciplinary Italian Network for PSYchedelic and COnsciousness REsearch – da pronunciare in latino psicore – è un network, costituito in Italia ma con vocazione internazionale, nel 2019. Riunisce tutte quelle realtà che si occupano – a vario titolo e con diversi approcci – di “stati altri di coscienza” dell’essere umano, e che si riconoscono in una visione aperta e inclusiva, sussidiaria e votata alla parresìa, con un’attenzione particolare alle finalità di promozione della salute e degli aspetti etici che ne conseguono.

Per capire cosa vorremmo fare, partiamo dalla definizione generale di network secondo la Treccani  \: network ‹nètuëëk› s. ingl. [comp. di net «rete» e work «lavoro»; propr. «lavoro (o struttura) a rete»] (pl. networks ‹nètuëëks›), usato in italiano al maschile. Termine usato in varie discipline tecniche, spec. in elettrotecnica, elettronica e informatica, come sinonimo di rete. In particolare, nei mezzi di comunicazione di massa, catena di emittenti radiotelevisive private, appartenenti a un solo o a più proprietari, collegate tra loro in modo da poter trasmettere lo stesso programma nelle varie regioni del territorio nazionale su cui sono distribuite, alla stessa ora o in orari diversi. Con usi estensi. più recenti: n. pubblicitario, accordo tra varie emittenti o testate giornalistiche per agire congiuntamente sul mercato della pubblicità; più genericamente, accordo tra enti o istituzioni diverse per operare sullo stesso mercato: un nome finanziario.

Da qui si inizia a capire che “accordi per agire congiuntamente, per operare sullo stesso mercato … ” è un concetto analogo a quello “di fare insieme”, ma per capire meglio ci può aiutare il concetto di “fare network” . Cosa vuol dire fare network?

In parole povere vuol dire creare una rete di relazioni e conoscenze diverse legate alla tua passione e al tuo lavoro, coltivandole nel tempo. Questo vale sia per le persone singole che per le personalità giuridiche (fondazioni, associazioni, imprese, entri pubblici, università, ecc.). Questo ci permette di conoscere moltissime persone, alcune delle quali potrebbero avere bisogno della nostra professionalità o del nostro contributo per lavori e progetti. Quindi per prima cosa: conoscersi. Poi creare progetti e fare cose insieme, attingendo alla rete di conoscenze. In una fase più evoluta che potremmo ridefinire “azienda a rete”, condividere risorse per evitare duplicazioni di costi inutili, mettersi insieme per avviare progetti più grandi e ambiziosi.

Fare networking

Il primo obiettivo direi che è già stato raggiunto e siete tutti voi qui a dimostrarlo. Sentivo più d’uno conversare e ipotizzare collaborazioni… ma se ci fate caso un evento come questo fa già parte della seconda fase più evoluta, perché solo unendo le forze abbiamo potuto realizzare questo evento. Ecco quindi degli esempi pratici di cos’è un network di comunità d’intenti e di cosa significhi fare network.

Da qui è facile iniziare a elencare quello che potremo sviluppare/fare insieme, tra cui:

– attività di studio e ricerca: di base, applicata e sviluppo precompetitivo di prodotti e servizi;

– divulgazione scientifica/informazione/promozione sulle tematiche relative;

– formazione;

– mediazione istituzionale;

– raccolta fondi;

– e tutto quello che nascerà  di volta in volta in base a un’esigenza condivisa.

Spero di aver accennato cosa vuol dire fare network. E se non tutti  qui l’avessero capito ….  cercherò di ripeterlo con parole un po’ più tecniche, perché in un network come il nostro molto eterogeneo bisogna saper e poter parlare a persone con diversa formazione e esperienze. Dai giovanissimi qui presenti a ricercatori senior e tecnici esperti.

Allora proviamo a ripeterlo in modo diverso. Cosa vuol dire fare network/networking?

Leggiamo insieme. Una buona definizione, senza ancora la pretesa di scientificità, può essere:

“Networking significa creare e governare le relazioni e i rapporti d’interazione e di scambio con altri soggetti in modo organizzato e consapevole”

Bella e sintetica.  Analizziamo brevemente i vari aspetti di questa definizione.

Partiamo dai verbi, creare e governare. Il primo ci indica che le relazioni non sono qualcosa d’imposto dall’alto (anche se in qualche caso può capitare), ma il frutto di un’azione che può partire anche da noi in prima persona, sia spontaneamente sia in reazione a uno stimolo esterno.

Un elemento importante dunque è la proattività, che va poi unito con il secondo verbo, governare, per indicare che queste relazioni devono essere anche gestite nel tempo, sviluppate, coltivate, introducendo nel nostro scenario il lungo periodo.

Andiamo poi all’oggetto, le relazioni e i rapporti d’interazione e scambio: prima di tutto la relazione che può essere vista come un contatto, un possibile canale e uno strumento in più disponibile nel nostro panorama percettivo.

L’interazione (personale, professionale, affettiva) e lo scambio (d’informazioni, di aiuti reciproci, ecc.) sono il contenuto e il valore aggiunto, almeno potenziale, della creazione di un rapporto con un altro nodo della ragnatela. Infine, nella definizione troviamo il modo di gestire tutto questo, che deve essere organizzato e consapevole.

Come abbiamo già detto stiamo parlando di azioni proattive, dunque la gestione del network deve essere soggetta a un’organizzazione che non lascia al caso la creazione e il mantenimento della rete stessa. Va da sé che tutto questo processo richiede consapevolezza di quanto si fa, non si può pensare che azioni strutturate come sopra siano portate avanti in modo corretto solo istintivamente. L’analisi della definizione ci porta a comprendere come il fare networking sia prima di tutto una forma mentis, un modo consapevole e motivato di gestione della propria rete che può essere applicato a tutti gli ambiti della vita”.

Come tutte le cose, quest’attività deve essere frutto di valori che l’individuo condivide in maniera profonda e consapevole, come accennavamo nel primo paragrafo infatti il problema del “fare squadra” non è tanto insito nei modi operativi ma nel pregiudizio e nella paura di fondo che vedono con sospetto l’interazione con altri soggetti per paura di perdere il proprio vantaggio personale o di essere in qualche modo “fregati”. É giusto dire che non viviamo in un mondo utopico e non è certo il caso di rivelare a tutti “informazioni e processi riservati”. Tuttavia spesso questi atteggiamenti riguardano anche dati che sono necessari, per esempio, a realizzare un prodotto in modo congiunto. In più, certe volte si prova a fare i furbi, cercando di prendere più di quello che si dà.

Invece per fare network in modo corretto è bene avere dei riferimenti di metodo e anche di etica, come viene sottolineato, per esempio, da Sebastiano Zanolli nel libro “Una soluzione intelligente”, da cui ho tratto la suddetta definizione.

A ulteriore chiarimento, proverò ora a spiegare cosa s’intende invece nel nostro caso con “non fare” networking:

Non stiamo parlando di vendere qualcosa a più persone possibile (ad esempio tramite il multilevel marketing), bensì di trarre il massimo dalle nostre reti di relazione;

Nella gestione del network ci deve essere un rapporto scambievole, centrato sugli individui e non basato solo su un do ut des immediato. Non è dunque da prevedere una contabilità spicciola e immediata negli scambi e nelle interazioni, fermo restando una reciprocità e un mutuo vantaggio;

  1. Fare network richiede rispetto reciproco fra gli interlocutori e spirito di collaborazione, anche per piccole azioni. Questo punto è di fondamentale importanza etica e pratica in quanto è alla base di un rapporto di reale fiducia e collaborazione fra le parti. Solo in questo caso si può pensare di avere una reciproca ed interessante interazione con piena soddisfazione;

  2. Il networking, come già detto, è un’attività che si sviluppa nel lungo periodo e richiede organizzazione e capacità gestionali, non è affidata al caso, anche perché si opera con delle persone e dunque si deve avere rispetto di loro.

Da queste note, riprese in modo molto sintetico, emerge in modo chiaro che il networking è un’attività che ha per protagonisti i singoli, che sono quelle che poi gestiscono i destini delle aziende, e dunque ha tra i suoi pilastri chiave la fiducia e il rispetto reciproco. Se in una delle due parti mancano questi elemento non può scattare davvero la relazione, e di ciò si renderà conto in breve anche quello dei due che si pone nel modo corretto.

Nodi di una ragnatela

Abbiamo anche detto che ci troviamo come in una i ragnatela che non sta insieme per forza ma per reciproco equilibrio e dalla quale non possiamo uscire perchè sarebbe dannoso per se e gli altri e dove interagire positivamente con degli altri soggetti diventa, se tutto funziona,  l’unica opzione possibile. E a questo punto non sembra molto logico instaurare relazioni instabili e conflittuali quando, con un approccio corretto, possiamo invece ricevere e dare molto al sistema.

É importante sottolineare anche che non stiamo parlando di armonia utopica fra tutte le persone. Ma nel concreto il networking è un’attività che ci permette di fare meglio la nostra attività attraverso il rapporto con altri soggetti perché tale interazione è più ricca, corretta e proficua. Molte delle relazioni che intrecciamo inoltre possono avere la loro utilità concreta in un secondo momento, quando c’è bisogno di quella specifica competenza o di un contatto che la persona con cui abbiamo un buon rapporto ci può procurare.

Quindi è importante sapere che in definitiva fare networking funziona. Sviluppando e gestendo reti di relazioni in modo limpido, organizzato e rispettoso delle regole si ottengono molti vantaggi che compensano largamente gli sforzi fatti in un primo momento per iniziare. Senza contare che avere proficue relazioni d’interazione e scambio con molte altre persone è piacevole ed arricchente anche al dì là del fine strettamente lavorativo.

(Al riguardo consiglio l’e-book “Reti di relazioni nella grande Rete. Networking e Marketing one to one nell’era di Internet” di Gianluigi Zaratonello).

Volete una terza e più teorica chiave di lettura dei concetti che abbiamo appena visto?  Quella che mi sarebbe più famigliare avendo studiato modellistica  applicata all’economia e alle scienze sociali?  Ecco allora un pò di ricerca operativa e soprattutto di teoria dei grafi, dalla rete di Wikipedia al logo di Psy*Co*Re.

Concluderei ricordando che, in questo nostro caso particolare, il network si basa su “un’organizzazine multicentrica”, un po’ come l’ISIS !!! Sí, lo stato Islamico … tanto per intenderci, o le Brigate Rosse, dove di fatto non esiste una gerarchia intesa in senso tradizionale o un vero proprio centro di comando, ma tante cellule operative indipendenti che a volte si conoscono poco o per nulla e operano in modo per lo più indipendente. Un modo molto semplice di lavorare dove ognuno fa esattamente quello che avrebbe fatto in autonomia e solitudine, ma ora lo si fa con una missione comune comunicata come se fosse una cosa sola.

Al “comando” di volta in volta “ci sta chi fa”, ci siamo tutti e nessuno, in una naturale alternanza di ruoli dove al timone “sta” chi in quel momento è più abile per un motivo e per l’altro. Dove non c’è un capo ma al massimo una o più figure di coordinamento come nel caso di iniziative più complesse come questi Stati Generali che si dotano di un organigramma di volta in volta e vedono coinvolte diverse associazioni e molti volontari indipendenti che colgo l’occasione di salutare e ringraziare per l’aiuto indispensabile. Un modo di operare molto facile abbiamo detto a patto che si sia ben compreso come funziona il tutto e qual è la missione strategica da condividere .

Per chiudere questo preambolo, dove si è parlato poco di se non in senso lato attraverso Psy*Co*Re e il tentativo di spiegarlo, vorrei rimarcare ancora una volta la difficoltà oggettiva di mettere insieme persone con estrazioni culturali molto differenti e che parlano linguaggi tecnici differenti. Io per esempio sono un economista e consulente aziendale. Ho avuto per tanti anni una società di consulenza di progettazione di imprese innovative, in platea vedo una maggioranza di psicologi e psicoterapeuti, ma anche neuroscienzati, studenti, giovani e diversi DJ. Abbiamo anche la necessità di mettere insieme il terzo settore con attività professionali, aziende, ecc., passando dalla cultura tradizionale all’ICT più spinta – insomma un “bel calderone” a bella sfida …. La strada è lunga, siamo proprio all’inizio ma siamo/sono ottimista!

Il centro di cultura contemporanea di Torino

Userò infine a scopo pratico un esempio come il case history del cccTo, accennandone le attività che dirigo rispetto a Psy*co*Re. Il cccTo, ovvero il centro di cultura contemporanea di Torino, è un contenitore dedicato alla contemporaneità. La ricerca psichedelica è sicuramente un argomento contemporaneo. Il cccTo si occupa di tantissimi progetti, dalla danza classica dove siamo leader assoluti a livello nazionale, a diversi progetti di innovazione sociale. È un loft culturale, quindi come una grande casa che può accogliere residenze e attività di ogni tipo. Il progetto del cccTo che si occupa in particolare di ricerca psichedelia e in generale degli stati di coscienza si chiama CCCP, ovvero Consciousness and Cognition Code Project. Psy*Co*Re nasce come ad esempio sotto progetto di CCCP . CCCP a sua volta è madre di diversi altri sottoprogetti sempre su argomenti annessi, come RAM (Research Agaricus Muscaricus ), Ex-C Ex-(ternal) Consciousness e MYSE (My Strange Experience), CCCD1 ( Consciousness and Cognition Documentation Center 1) . Il cccTo è inoltre un osservatorio rispetto a tutte le attività che svolge.

Per “semplificare” e tornare ai grafi di prima (quelli nelle immagini), ho appena illustrato un grafo a parole, ovvero in parole ancora diverse come insegnato in Ricerca Operativa,  “una piccola matrice a un certo numero di entrate e uscite”. La giornata di oggi possiamo considerarla così uno dei possibili risultati dell’inversione di una matrice, cioè un numero che sintetizza “la presenza di tutti voi riuniti qui per un evento per rilanciare la psichedelia in Italia”.

Sconcertati? Il trip sta iniziando a fare effetto … E  con questa classica chiusura del cerchio di sapore lacanianiano, vi ringrazio e passo a illustrare gli interventi successivi.

– Alessandro Novazio