Si è laureato alla magistrale di
Scienze del Corpo e della Mente nel 2019, con una tesi intitolata
“Stati non ordinari di coscienza e respirazione
connessa”. Cerca di unire gli interessi di ricerca con la pratica dello yoga e l'attivismo anti-proibizionista. Ha ultimato un tirocinio di ricerca presso l'Università di Torino incetrato sul nesso fra respiro, variabilità cardiaca ed esperienza fenomenologica e attualmente svolge uno stage presso la Mind Foundation for psychedelic studies a Berlino.
Venerdì 10 e Sabato 11 giugno 2022 la rete Psy*Co*Re organizza Frontiere PsicoTerapeutiche 2022 (FPT22), in modalità ibrida a Torino e online, evento dedicato ad approfondire il tema della psicoterapia coadiuvata dall’uso di sostanze psichedeliche in Italia e in Europa.
Riprendendo e ampliando il formato ideato lo scorso anno, l’edizione 2022 prevede la partecipazione di 28 relatori italiani e internazionali, esperti dell’argomento: medici, terapeuti, ricercatori accademici e indipendenti offriranno le loro prospettive o illustreranno il loro modo di applicare queste terapie in stati dove l’uso delle sostanze psichedeliche in ambito clinico o sperimentale è ammessa. La maggior parte dei relatori inteerverrà online, ma la partecipazione dal vivo è particolarmente consigliata e finalizzata alla creazione di un network con base italiana che possa coordinarsi in futuro per risolvere l’anacronista mancanza di informazioni e di iniziative in loco.
L’obiettivo di fondo è quello di avviare una rete di professionisti in ambito sanitario e di aspiranti pazienti che possa ritrovarsi in una linea d’azione comune in grado di arricchire il panorama psicoterapeutico italiano, sia dal punto di vista clinico che della ricerca scientifica.
FPT22 intende quindi fornire le informazioni necessarie e aprire il dibattito per orientare domande quali:
– Esistono cliniche che offrono terapie assistite da psichedelici nel territorio europeo?
– Come avvengono in pratica? Quali gli approcci e le strategie applicate?
– Quali i percorsi di formazione attualmente disponibili per i professionisti?
Si tratta di questioni urgenti per operatori clinici e potenziali pazienti che riconoscono l’impotenza attuale della società di fronte all’avanzare della depressione (prima causa di disabilità a livello mondiale), delle dipendenze patologiche e di altre patologie come l’anoressia, sintomi del nostro periodo storico.
Ecco perché, considerato anche l’avvio di trial clinici in diversi stati Europei (per esempio a Dublino per la ketamina, a Berlino e Londra per la psilocibina) ci proponiamo con questo evento di affrontare criticamente lo stato dell’arte in Italia. Nello specifico l’obiettivo pragmatico è quello di promuovere protocolli di ricerca e progetti di psicoterapia con psichedelici per favorire processi salutogenici, con uno sguardo particolare rivolto al territorio italiano.
Nello specifico, FPT22 è un evento articolato in interventi frontali e tavole rotonde di discussione che si articola intorno a tre temi principali:
– LA PRATICA CLINICA DELLA TERAPIA ASSISTITA CON PSICHEDELICI;
– LO STATO DELL’ARTE DELLA RICERCA CLINICA PSICHEDELICA;
– LA FORMAZIONE PER LA TERAPIA ASSISTITA CON PSICHEDELICI.
Qui la versione inglese del testo di cui sopra e qui il programma completo in inglese.
PREZZO BIGLIETTO: 15 EURO A GIORNATA; 25 EURO PER LE DUE GIORNATE.
PER ISCRIZIONI, INFORMAZIONI E PAGAMENTI: +39 3460058154 — +39 3341134744
Nel nuovo ventennio, il fungo è tornato a parlare? O forse non ha mai smesso di farlo, pur se a modo suo? Un dilemma-esperienza che trova un brillante rilancio in un nuovo documentario svizzero, centrato sul rapporto fra il genere umano e quelli che potrebbero essere, secondo Terence McKenna, i nostri principali alleati per sfuggire all’autodistruzione. È così che vengono presentati i funghi in questa interessante opera, che coniuga ricerca scientifica ed artistica, insieme a molto altro. The Mushroom Speaks si colloca sul filone inaugurato dal documentario Fantastic Fungi (2019) ed è ispirato al libro L’ordine Nascosto (2020) di Merlin Sheldrake, riagganciandosi anche sul grande schermo all’odierno revival psichedelico.
Non a caso la stessa autrice, Marion Neumann, mi racconta, all’esterno della sala cinematografica occupata di Parigi “La Clé”, che l’ispirazione del film è stata squisitamente psichedelica. Senza però limitarsi ai soli funghi del genere Psilocybe, il documentario espone svariate ricerche sul campo, fornendo una visione quanto più trasversale possibile della (meritata e necessaria) rivalutazione oggi in corso anche per il mondo fungino. Basti citare, per esempio, lo stimolante saggioThe Mushroom at the End of the World (2021) dove l’antropologa Anna Tsing spiega fra l’altro come certi funghi possono aiutarci a sopravvivere all’antropocene, per esempio ripulendo i territori contaminati da radiazioni nocive e altro.
Utilizzare i poteri fungini per aiutare l’umanità è un’idea sposata e applicata con solerzia dagli adepti alla “micologia radicale”: ricercatori, il più delle volte indipendenti, che sulla scia di Merlin Sheldrake e Paul Stamets conducono indagini sperimentali approfondite per applicare i saperi della micologia all’ecologia, all’agricoltura sostenibile, alla medicina e persino all’edilizia. Anche Peter Mcoy, considerato uno dei maggiori esponenti della micologia radicale, è tra i protagonisti del film, esprimendo chiaramente i suoi ideali post-umanisti: parla per conto dei funghi e promuove un’idea di uomo-ecosistema (colonie di funghi proliferano anche all’interno e all’esterno del nostro stesso corpo) che si affaccia su un misterioso abisso.
Nel film si incontrano anche monaci zen, psichiatri, micologhe e moderne streghe o erbarie, profonde conoscitrici del mondo vegetale. Ma soprattutto si incontra il popolo-funghi, che dal micelio al frutto la fanno da protagonista assoluti. Si apprendono così gli affascinanti misteri del sottosuolo, composto da segrete alleanze fra minerali, micelio e vegetali; l’evidenza per cui sono i funghi a permettere alle piante di prolificare, dando inizio a un nuovo ecosistema e scambiandosi informazioni; e come grazie ai funghi la materia viene decomposta per tornare potenza attiva, a conferma del fatto che proprio un fungo è l’essere vivente più grande e antico sulla terra. Nè manca lo spazio per sottolineare il potenziale di certi funghi “magici” di alterare la coscienza, tanto da essere considerato un valido alleato anche per il direttore di un monastero zen.
Il documentario punta decisamente a “far parlare” i funghi, da cui la scelta di non accompagnare i protagonisti umani con le didascalie proprie di un documentario divulgativo. Una scelta stilistica dalle tinte psichedeliche e post-umane, che intende quindi decostruire ogni forma di arrogante antropocentrismo. È grazie a questo spirito ecologico che Marion Neumann, insieme ad una rete multidisciplinare di psicologi, cineasti, artisti e psiconauti, intende fondare un centro di riferimento per l’arte psichedelica contemporanea.
Nel suo complesso il documentario abbraccia e rilancia l’espressione coerente della scena psichedelica attuale, dove la corrispondenza fra etica ed estetica ha un ruolo centrale. Lo condivide con Descending The Mountain, altra fresca opera cinematografica svizzera, con prossima distribuzione online, di cui si può intanto gustare la deliziosa colonna sonora. Delicata esplorazione al bivio tra gli effetti dei funghi psilocibinici e la natura della coscienza in senso lato, questo film propone una sintesi del tutto originale, integrando le esperienze del ricercatore Franz Vollenweider e del maestro Zen Vanja Palmers. I quali compaiono anche in questo The Mushroom Speaks, riuscendo a trasmettere il senso dell’esperienza mistico-psilocibinica espandendosi oltre i frattali e le fantasie kashmir per arrivare al cuore della mente scientifica e dell’occhio contemplatore (conquistandosi ampie lodi dalla comunità buddhista).
Che parlino o meno, l’universo fungino sembra dunque ispirare innovativi percorsi che integrano arte, letteratura, ricerca scientifica e spirituale. Un caleidoscopio che trova spazio anche in Italia, come rivela fra l’altro il primo numero della giovane rivista Axolotl (“Micelio”) o nel magazine indipendente siamomine, in cui viene presentata l’analogia fra la rete micorrizia ed il web. E, quel che più conta, quest’articolata rete di produzioni cultural-artistiche ci aiuta a riconoscere e stimolare nuove comprensioni dell’universo vivente, grazie anche alle rivelazioni di questi validi alleati.
Descrivere un’esperienza psichedelica terapeutica come un’esperienza che catalizza una trasformazione psicologica positiva è forse il modo più sintetico per comprendere come avviene un processo di guarigione coadiuvato da questo tipo di sostanze. Ciò che rivoluziona il modo di relazionarsi alla realtà può tuttavia dare risultati anche opposti fra loro: dalla crescita personale a (nei casi peggiori) una ricaduta psicotica.
Approfondendo il significato di queste esperienze Robert Carhart-Harris (ex direttore del Centre for Psychedelic Research presso l’Imperial College di Londra, dall’estate passato a dirigere Neuroscape, centro di ricerca multidisciplinare dell’Università della California, a San Francisco), insieme al collega Ari Brouwer, ne ha recentemente proposto un’interpretazione. Secondo loro tali esperienze possono provocare “pivotal mental states”: stati mentali “cruciali”, di transizione e cambiamento, che possono indurre esperienze catartiche, e quindi liberare da una precedente situazione di stress cronico o angoscia, oppure traumatiche. Il differente esito di questi stati mentali dipenderà principalmente dal contesto in cui vengono scaturiti e dalle caratteristiche interne del soggetto che li sperimenta.
Il “contesto” descritto dagli autori integra i concetti di set e setting includendo come variabili il patrimonio genetico, le esperienze infantili, e la trama di relazioni che costituiscono la vita del soggetto e che influiscono il decorso dell’esperienza potenzialmente trasformativa.
I due ricercatori hanno individuato una serie di caratteristiche simili negli stati mentali di transizione (non solo psicologiche, ma anche bio-chimiche e neurali) indotti da situazioni anche molto diverse fra loro. Questi elementi potrebbe essere condivisi anche da tutti quegli esercizi che inducono stress in modo volontario: digiuni, isolamenti e deprivazioni sensoriali (spesso presenti nei riti d’iniziazione), ma anche pratiche come la respirazione connessa od Olotropica.
Si è tenuto nei giorni scorsi a Berlino il convegno internazionale Insight 2021: from science to implementation, organizzato dalla MIND Foundation. Tre giorni dedicati a esplorare le potenzialità trasformative della ricerca e della terapia psichedelica, con decine di relatori di ogni parte del mondo davanti a un pubblico attento e variegato (online e in presenza).
Il nostro reportage esclusivo parte dalla chiusura dell’evento, quando Henrik Jungaberle, direttore esecutivo della stessa fondazione psichedelica tedesca (ma che si vuole assolutamente europea) ha puntualizzato: «We will meet again in 2023, in the meanwhile: work hard». Per poi ritrovarsi in piena notte a discutere con Rick Doblin (direttore di MAPS, la maggiore organizzazione statunitense e mondiale nel campo, a cui si deve fra l’altro la campagna per l’approvazione della terapia con MDMA per la cura del PTSD in Usa) sui divani del Sysiphos, versione colorata e psichedelica del celebre Berghain. Un episodio chiave per avvicinarci alla visione berlinese che coniuga trasgressione e innovazione.
La distensione del clima la sera di domenica non deve però far credere che l’evento sia stato una commistione fra conferenza scientifica e festival psichedelico. Insight 2021 si è distinta come evento di assoluto rigore scientifico e rispettabilità accademica, in accordo con i valori contemporanei della MIND Foundation. Protagoniste infatti sono state le discipline medico-terapeutiche, in primis psichiatria e neuroscienze, seguite da psicoterapia, psicologia, filosofia e scienze umane. Ma quali le mosse specifiche verso quella che andiamo definendo come “maturità psichedelica“?
Sicuramente l’intervento di Gerhard Gründer, psichiatra direttore del trial clinico con psilocibina più grande d’Europa, è stato un buon segnale di partenza: le sostanze psichedeliche potranno forse rivoluzionare il modo di fare terapia ma non potranno certamente risolvere l’attuale crisi della salute mentale, l’aumento inarrestabile dei disturbi depressivi resistenti ai trattamenti e dei suicidi (tragicamente in crescita anche fra i più giovani), né tantomeno la crisi ecologica o economica. Anche solo pensarlo sarebbe immaturo, appunto.
Decisamente importante la notizia appena diffusa da Nova Mentis, azienda canadese di biotecnologia specializzata in medicina psichedelica: riguarda direttamente l’Italia e potrebbe anzi segnare l’avvio della ricerca scientifica in questo campo emergente anche nel nostro Paese.
È stato infatti approvato l’invio di psilocibina sintetica all’università di Roma Tre, per lo studio della sindrome dello spettro autistico (Autistic Spectrum Disorder, ASD: caratterizzata da ridotte abilità relazionali e sociali, da comportamenti ripetitivi, stereotipie e una serie di sintomi secondari quali ansia, deficit cognitivi e disturbi dell’umore) in una ricerca condotta su animali da laboratorio.
Parimenti stimolante è il percorso razionale alla base di questa scelta. La ricerca in questo campo rimanda alle indagini avviate già negli anni ‘60 da Rick Strassman in Usa, presso l’Università del New Mexico ad Albuquerque (come riportato nel 1997 anche nel quarto numero di Altrove, la rivista annuale della SISSC). Gli studi elencati da Strassman presentano però, caratteristica tipica di quegli anni, problemi metodologici e risultati non del tutto convincenti, pur se incoraggianti – di conseguenza non compaiono nelle indagini recenti su psichedelici e ASD.
In realtà, sono scarsi gli studi recenti sulla possibilità di applicare composti psichedelici a questa severa patologia. Vanno tuttavia segnalati casi come quello di Aaron Paul Orsini che, diagnosticato con ASD all’età di 23 anni, sperimentò l’attentuamento delle sua condizione durante il suo primo viaggio con l’LSD, descritto in dettaglio nel libro dello scorso annoAutism on acid (da non perdere la presentazione dello stesso autore su YouTube).
Volendo approfondire la letteratura che gravita intorno alla questione vengono alla luce potenziali dei composti psichedelici (proprietà anti-infiammatorie, immunomodulatrici e di neurogenesi) diversi dalle loro caratteristiche più note (alterazione della percezione ed espansione della coscienza), ma non per questo meno promettenti.
Oltre il cervello: psichedelici tra corpo e mente
Gli interessi dell’azienda canadese Nova Mentis , promotrice del nuovo studio sul ruolo degli psichedelici nell’autismo, riguardano principalmente i potenziali effetti anti infiammatori degli psichedelici e la loro azione sul sistema intestino-microbiota-cervello.
Il microbiota, ossia la popolazione di microrganismi che abita il nostro intestino, è implicato non solo nella digestione di carboidrati complessi ma anche alla protezione dagli agenti patogeni, all’attivazione di processi anti-infiammatori e antiossidanti e alla stimolazione del sistema immunitario. Un’alterazione del microbiota è stata recentemente messa in relazione con l’eziologia della sindrome dello spettro autistico, ed è intrigante notare come gli psichedelici sembrano avere un possibile effetto benefico su di esso (ricordiamo che una larga percentuale dei recettori per la serotonina su cui queste sostanze agiscono si trova nell’intestino).
Anche lo stress ossidativo e l’infiammazione hanno una responsabilità nei sintomi autistici e, ancora, gli psichedelici rivelano un potenziale anti-infiammatorio che ha portato alcuni ricercatori ad investigare il loro ruolo terapeutico per malattie auto-immuni
Neuroni in trip: psichedelia e plasticità neurale
In questo nuovo studio italiano la psilocibina sarà testata in un modello preclinico di autismo, ampiamente validato dalla letteratura scientifica e basato sull’esposizione prenatale dei roditori all’acido valproico, un farmaco antiepilettico la cui esposizione, nell’uomo, è un fattore di rischio per l’incidenza della patologia.
Oggetto di ricerca sono anche gli effetti specifici prodotti dagli psichedelici sulla plasticità neurale (proprietà che consente al cervello di modificare la sua struttura e le sue funzioni attraverso cambiamenti dei singoli neuroni).
L’influenza psichedelica sulla crescita dei neuroni (neurogenesi) è però accertata, e probabilmente svolge un ruolo importante nello spiegare gli effetti anti-depressivi a lungo termine. Studi in vitro con cellule neurali hanno infatti provato che l’esposizione a psichedelici classici quali LSD e DMT aumenta la complessità della ramificazione di sinapsi e dendriti (fibre che permettono il passaggio del segnale nervoso e la connessione tra neuroni). Se questa influenza sulla plasticità potrà anche ridurre le alterazioni nocive al neurosviluppo causate dall’acido valproico è però ancora da stabilire.
Dal laboratorio alla pratica o dalla pratica al laboratorio?
Traendo alcune conclusioni: questo futuro studio psilocibinico italiano, il primo nel nostro Paese da quando si è osservata una forte ripresa delle ricerche in questo campo, oltre 20 anni fa in alcuni ambiti statunitensi, desta piacevole sorpresa ed è degno di interesse. Non ultimo perché parte integrante della seconda fase del revival generale in corso, tesa verso la necessaria “maturità psichedelica”. La speranza infatti è che questa ricerca possa contribuire a fare luce su aspetti ancora poco esplorati e misteriosi delle scienze psichedeliche come l’influenza sul microbiota intestinale, le proprietà anti-infiammatorie e di neurogenesi.
Caratteristiche affascinanti che mettono in risalto l’indissolubile unità del sistema corpo-mente e indirizzano ulteriormente la medicina verso un approccio sempre più integrato. Tuttavia ci auguriamo che l’Italia non si limiti a studi su modelli animali accentuando i soli aspetti bio-medici, volutamente trascurando la parte psicologico-esistenziale della ricerca in ambito psichedelico. Sono infatti gli stessi specialisti ad affermare che, sebbene gli studi di laboratorio con modelli animali siano fondamentali, solo l’esperienza umana può essere la fonte di ispirazione per una futura e autentica medicina psichedelica.
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