Ayahuasca illecita anche in Italia: e adesso?

Ennesima decisione di stampo iper-proibizionista quella appena presa dal governo italiano riguardo all’ayahuasca. Il Ministero della Salute ha ufficialmente inserito le due piante da cui vengono estratti i principi attivi (armalina, armina e DMT), Banisteriopsis caapi e Psychotria viridis, nella Tabella I delle sostanze stupefacenti del Testo Unico sulle droghe.

Il decreto, pubblicato il 14 marzo sulla Gazzetta Ufficiale, arriva “in considerazione delle informazioni estrapolate dalla letteratura internazionale” e a seguito di 5 segnalazioni di sequestri nel periodo dicembre 2019-novembre 2021. Si citano anche due presunti casi (2011 e 2018) di intossicazione correlati all’assunzione di armina, il principio attivo contenuto nella Banisteriopsis caapi.

Ciò rende l’ayahuasca a tutti gli effetti illegale sul suolo italiano, sulla falsariga di quanto avviene dal 2005 in Francia (dove per 100 giorni ne fu riconosciuto di fatto  l’uso rituale per i seguaci della Chiesa del Santo Daime, si veda sotto) . Si cerca così di risolvere, in senso unicamente repressivo, la “zona grigia” giuridica che finora assolveva il decotto preparato dalle due piante, mentre il DMT era già incluso nella Tabella I (come è tuttora il caso in Spagna).

Abbiamo interpellato al riguardo alcuni esperti coinvolti nella rete Psy*Co*Re. A partire da Giuseppe Cazzetta, studioso e coltivatore di prodotti etnobotanici e composti da ricerca, per il quale «il decreto non cambia molto la situazione legale, piuttosto non evita di creare ulteriori ambiguità. Resta aperto il dubbio sulla legalità delle altre piante polverizzate o macinate non lavorate, contenenti i suddetti principi attivi, cioè non è chiaro se i due componenti diventino illegali una volta uniti (anche senza estrazione e lavorazione, come polveri di piante essiccate ad esempio). È poi rimasta fuori tabella la Banisteriopsis muricata che ha fitocomplesso estremamente simile alla liana ormai bandita. Non parliamo poi delle fonti di DMT, che sono davvero infinite: comprendono piante spontanee comuni come Phalaris e Arundo donax».

Aggiunge Riccardo Zerbetto, psichiatra e psicoterapeuta, già consulente del Ministero della Sanità in tema di Tossicodipendenze e psichiatria nel 1980-81:  «In realtà non risultano “effetti allucinogeni” dall’assunzione di Banisteriopsis caapi, che è un IMAO (inibitori della amminossidasi). La dizione “tutti i componenti conosciuti” non tiene probabilmente conto del grande numero di tali componenti con il rischio di dare indicazioni generiche quanto non suffragate da letteratura scientifica. E il riferimento ai soli “due casi di intossicazione correlati all’assunzione di armina, il primo nel 2011 ed il secondo nel 2018 segnalati dal Centro antiveleni di Pavia”, suona più a sostegno della innocuità di questa sostanza che non della sua rilevanza tossicologica».

Va ricordato che il decotto di ayahuasca, ricavato dalla bollitura delle suddette piante che contengono l’allucinogeno DMT (29-43 mg per una dose media), è usato da secoli sia come pianta medicinale sia, soprattutto, come bevanda sacra per attivare lo stato allucinatorio nei riti sciamanici e per la comunicazione con il divino. E ha dimostrato di poter curare gli stati depressivi e dell’umore, le dipendenze da droghe pesanti e alcolismo, come anche diverse patologie di ordine fisico, oltre ad offrire l’espansione della coscienza e la sensazione di inter-connessione con il tutto, in particolare con la natura e gli altri esseri viventi. Proprietà tutt’altro che trascurabili nell’odierno quadro di disfunzioni psicosomatiche e neurologiche a livello globale, a cui la medicina occidentale sembra lontana dal trovare soluzioni adeguate.

Definito la “grande medicina” delle foreste amazzoniche, a partire dagli anni ’90 il decotto ha acquisito popolarità anche nei Paesi occidentali anche grazie all’interesse del mondo accademico per le sue potenzialità terapeutiche. Un’analisi comparativa degli studi clinici sugli psichedelici apparsi sulle riviste specializzate dal 1995 al 2015 riportava che “ayahuasca, psilocibina e Lsd possono essere utili strumenti farmacologici per il trattamento di tossicodipendenza, ansia e disturbi psicologici, specialmente in casi resistenti ai comuni farmaci”.

Il Beckley Foundation Science Programme, uno dei centri di ricerca da anni impegnato nello studio dei molteplici effetti delle sostanze psichedeliche, segnala che gli esperimenti con l’ayahuasca hanno dimostrato che l’uso regolare incrementa qualità come apertura, ottimismo e consapevolezza. Tra i consumatori abituali emerge  la riduzione della corteccia cingolata posteriore, una delle regioni cerebrali coinvolte nella rappresentazione del sé e dell’autoconsapevolezza. Ancor più importante il fatto che a una corteccia ridotta corrisponde un alto livello di alcuni tratti tipici della consapevolezza: autotrascendenza, sensazioni transpersonali e spiritualità.

Tuttavia le nuove indagini scientifiche (sull’intero spettro delle sostanze enteogene) e le dinamiche religioso-culturali legate all’ayahuasca vengono completamente ignorate dal decreto ministeriale, interessato solo a riconfermare l’approccio proibizionista, forse sull’abbrivio della recente bocciatura del referendum popolare sulla legalizzazione della cannabis.

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Etnobotanica 10: Akuamma, un seme oppioide

Akuamma La Picralima nitida è stata descritta per la prima volta nel 1985 dal botanico austriaco Otto Staptf come Tabernaemontana nitida. Un anno dopo il francese Luis Pierre l’ha inserita in Picralima, un nuovo genere creato basandosi sul sinonimo già in uso, P. klaineana.
Il nome Picralima deriva dal greco πικρός, che significa amaro, probabile riferimento all’amarezza dei semi della pianta.
Questo genere includeva un tempo anche Hunteria umbellata e Simii, ma ad oggi è monospecifico [1].

ETNOBOTANICA
Akuamma Nella medicina popolare dell’Africa Occidentale la Picralima nitida viene impiegata nel trattamento di febbre, infezioni, malaria, diabete e dolore [2].
In Cameroon e Guinea il decotto a base di frutto e corteccia della pianta viene consumato contro la tosse o la febbre tifoide. Le genti della tribù dei Fang li masticano per sopprimere la fame durante le lunghe camminate nella foresta [3].
Nella medicina popolare congolese il decotto di corteccia d’akuamma si beve come purgante e rimedio per l’ernia, mischiato ad altre piante viene impiegato contro la gonorrea.
Nella zona più occidentale della Nigeria il frutto viene indicato nel trattamento dell’asma [4].
In Costa d’Avorio i semi impastati con l’acqua vegono assunti in caso di pressione arteriosa alta [5].

 

FITOCOMPLESSO
alcaloidi: akuammina, pseudoakuammina, akuammidina, akuammicina, akuammigina, pseudoakuammigina, akuammilina, akuammenina, picrafillina, picracina, picralina, picralicina, picratidina, picranitina, burnamina, pericallina e pericina.
polifenoli: derivati cumestanici;
terpenoidi: sabinene, terpinenolo, α-selinene, β-cariofillene, β-selinene, α-terpineolo, α-pinene, cimene, eudesmolo, β-cuvebene, β-pinene e α-umulene;
steroli;
flavonoidi;
saponine;
tannini.

Il seme è la parte della pianta più potente e può raggiungere oltre il 5% di alcaloidi del peso secco [6].

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Psilocibina in primo piano, dall’Onu all’Oregon

funghi psilocybe cubensisLa copiosità di studi scientifici, test clinici ed esperienze sul campo a conferma dell’efficacia terapeutica della psilocibina (e di altri enteogeni) evidenziano l’urgenza di rivedere l’antiquata convenzione ONU sulle sostanze psicotrope del 1971 che include la sostanza nella lucchettata Tabella 1. Questo l’obiettivo della International Therapeutic Psilocybin Rescheduling Initiative (ITPRI) che ha appena lanciato una campagna internazionale per la riforma di tali normative ai danni dei funghi Psilocybe e derivati.

Mentre la Tabella 1 vuole limitare l’accesso a droghe pesanti e pericolose quali eroina e cocaina, questo mezzo secolo di proibizionismo ha bloccato anche buona parte della ricerca scientifica sugli psichedelici. Soltanto nel 1990 è ripartita una timida serie di test autorizzati con il DMT all’Università del New Mexico (USA), per poi crescere lentamente fino all’attuale “boom” di studi e applicazioni per una varietà di piante e composti psicoattivi.

Lo conferma David Nutt, responsabile del Centre for Psychedelic Research presso l’Imperial College londinese e fondatore di Drug Science: «L’inclusione della psilocibina nella Tabella I ha seriamente limitato, e continua a limitare, la ricerca neuroscientifica e lo sviluppo di trattamenti medici». Da qui la richiesta di riclassificazione in ambito ONU, quantomeno nella più permissiva Tabella II, con un iter analogo a quello già avviato per la cannabis. Obiettivo che raggruppa, sotto l’egida della campagna di ITPRI, entità quali Drug Science, Beckley FoundationMAPSMind Medicine AustraliaNierika A.C., Open Foundation e Osmond Foundation.

D’altronde proprio la formale depenalizzazione dell’uso personale dei funghi psilocibinici è già attiva in varie località USA statunitensi e cliniche canadesi: da Denver (per prima nel 20019) ad Ann Arbor (Michigan), Oakland e Santa Cruz (California) Somerville (Massachussetts) e altre città, con un analogo percorso appena partito perfino in Oklahoma (e in altri Stati USA). Anzi, tutti gli occhi sono puntati sull’Oregon, dove nel novembre 2020 gli elettori hanno approvato l’innovativa Measure 109 (56%) che istituisce centri psicoterapeutici basati sui “funghetti”, con entrata in vigore all’inizio dell’anno prossimo.

Proprio in vista di questa scadenza, si stanno definendo i dettagli di questa “prima volta” che potrebbe trasformarsi in un apripista per analoghe implementazioni anche al di fuori degli Stati Uniti. Secondo la bozza operativa appena diffusa dalle autorità locali, i pazienti maggiorenni potranno assumere oralmente i funghi all’interno di un’apposita struttura sanitaria, senza diagnosi o ricetta specifica ma presumibilmente per il trattamento di depressione, PTSD e dipendenze.

Oltre alle specifiche per la formazione del personale sanitario (almeno 120 ore di teoria e 40 ore di pratica), il testo chiarisce che i produttori potranno coltivare o possedere una sola specie di funghi: Psilocybe cubensis. Pur essendo oltre 200 le varianti psicoattive del Psilocybe, da tempo il cubensis «vanta una lunga storia di efficacia e sicurezza, è facile da coltivare al chiuso e pone minori rischi rispetto ad altre specie» – spiega Jessie Uehling, docente presso la Oregon State University.

Inoltre, la bozza prevede che, per ragioni sanitarie, non si potrà usare il letame come terreno di coltura per i funghi, nonostante certe specie crescano comunemente sul letame. Ancora, non si potranno aggiungere sostanze psicoattive (ad esempio l’alcol) e né dovranno essere confezionati in modo da attirare i minorenni. Soprattutto, la psilocibina dovrà essere esclusivamente estratta da funghi, in modo da impedire che il mercato venga invaso dalle multinazionali farmaceutiche tramite la sintesi chimica, per favorire invece i coltivatori locali.

Anche se alcuni gruppi internazionali sono già impegnati in quella che alcuni definiscono “mentalità da corsa all’oro“. Ad esempio, almeno un’azienda olandese, Synthesis Institute, ha acquisito delle proprietà in Oregon in previsione di questo nuovo mercato, soprattutto rispetto alla formazione. Rifacendosi ovviamente allo stesso modello olandese, dove i truffle derivati dai funghetti sono legali e venduti al dettaglio.

Al momento è in corso la fase dei commenti pubblici alla bozza, con ultima revisione prevista a settembre. Staremo a vedere.

Etnobotanica 9: Amanita muscaria, fungo velenoso o medicinale?

L’Amanita muscaria è una specie complessa comprendente 4 diversi taxa – muscaria var. muscaria, muscaria subsp. flavivolvata, muscaria var. quessowii, muscaria var. inzengae – più altri 3 taxa che venivano considerati specie distinte, breckonii, gioiosa ed heterochroma [1].

La più comune in Europa e in Italia è la muscaria var. muscaria, riconoscibile dal classico cappello rosso e le verruche bianche che la pioggia può lavare via. Secondo Kögl e Erxleben il colore rosso è dovuto alla muscarufina, un derivato terfenilquinonico [2], la cui presenza però non è stata confermata dalle analisi successive. Inoltre si è visto che le tonalità gialle e rosse sono dovute ad un complicato miscuglio di composti molto labili diversi dai terfenilquinoni[3].

A. muscaria giallo/arancioneIn presenza di qualche carenza nello sviluppo del pigmento viola, la muscapurpurina, il fungo tende verso il giallo o arancione piuttosto che il rosso (foto a fianco).

Beringia
Mediante analisi filogenetiche sono stati individuati i 3 principali cladi (Eurasiatico, Eurasiatico-alpino e Nord-Americano) dell’A. muscaria distribuiti simpatricamente nel territorio dell’Alaska (Usa). Ogni specie condivide almeno 2 varianti morfologiche con le altre compatibilmente col fenomeno del polimorfismo ancestrale. Gli autori ipotizzano che si tratti di specie gemelle e non allopatriche, evolutesi in Beringia quindi frammentatesi in Nord America ed Eurasia.
Popolazioni di ciascun clade potrebbero esser sopravvissute nella zona adattandosi al freddo [4].

Infatti da una ricerca successiva si è visto che in effetti l’A. muscaria era già presente in Alaska durante l’ultimo periodo glaciale. Due popolazioni endemiche (aplotipo D in Clade I ed aplotipo D in Clade II) sono state individuate nella foresta boreale della regione interna e nelle foresta pluviale marittima dell’Alaska Sud-orientale e del Pacifico Nord-occidentale.
Molti aplotipi in Clade II erano condivisi con gli esemplari eurasiatici suggerendo un corposo fenomeno migratorio attraverso lo Stretto di Bering e aprendo la possibilità di un colonizzazione postglaciale dall’Asia [5].

Anche le analogie nelle pratiche associate al consumo del fungo fanno pensare a un antenato beringiano comune che accomuna le tribù nord-mericane ed euro-asiatiche.

ETNOMICOLOGIA

USA e Canada
Gli Ojibway (noti anche come Anishinaabe) e altre tribù Algonchine, come gli Innu e gli Abenachi, la impiegavano a scopo divinatorio nei rituali sciamanici. Un padre superiore dell’ordine dei Gesuiti, Perc Charles I’Allemant, scrisse nel 1626 una lettera dal Quebec al fratello in Francia, descrivendo le credenze religiosi dei nativi Algonchini. Riporta che fossero sicuri che una volta morti sarebbero andati in paradiso dove avrebbero mangiato funghi e intrattenuto rapporti sessuali.

Gordon Wasson, il famoso etnomicologo statunitense, dopo aver ricevuto questa notizia dall’amico e collega Claude Levi-Strauss, contattò un certo Nichols presso l’Università del Wisconsin che gli diede il contatto di uno sciamana Ojibway, Kenvaydinoquay. La donna era l’ultimo abitante di una piccola isola nell’area dei Grandi Laghi ed un esperto conoscitore della sua cultura [6].

Si deve a lei il racconto sulle origine dell’Amanita recuperato da un ojibeweg, un disegno tradizionale su una corteccia di betulla che fungeva da riferimento mnemonico per le storie raccontate nelle serate invernali – come la seguente:

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Terza edizione degli Stati Generali della Psichedelia in Italia

SGPI21Tutto pronto per la terza edizione di questo evento importante e unico per l’Italia (SGPI21) . È previsto in formula mista, dal vivo presso il CCC di Torino e in livestreaming online, nei giorni 10,11 e 12 dicembre. Il tema portante di quest’anno è: VERSO LA MATURITA’ PSICHEDELICA. PRESENTE E FUTURO DELLA PSICHEDELIA IN ITALIA. L’incontro è stato indetto dal CCCTO (Centro di Cultura Contemporanea di Torino) con la collaborazione di: Società Psichedelica Italiana, Frontiers of Mind (scuola estiva Italia), Mens ex Machina,  NOCS, PsyCoScienze e altri partner del network Psy*Co*Re.

La tre giorni vuole essere l’occasione privilegiata per avere un contatto diretto con alcuni dei principali attori della filiera italiana emergente del settore “PCT” (Psychedelics & Consciousness Technologies). In totale sono previsti 50 interventi, 2 tavole rotonde, appendici creative e conversazioni con esperti, ricercatori e professionisti del settore – oltre che con i testimoni della prima e della seconda onda psichedelica nostrana.

Qui c’è il programma definitivo. L’evento è riservato agli addetti ai lavori, con possibilità di partecipare per un numero limitato di uditori (info inviando messaggio WhatsApp al numero 338-9077600 oppure vedere qui).

 

Etnobotanica 8: Acorus calamus, un rizoma aromatico

Acorus calamus DATI ETNOGRAFICI

Mondo antico

Il nome deriva dal termine greco calamos, cioè “canna”, per via della somiglianza con quest’ultima: a quei tempi veniva usato per dare un tocco di odore gradevole agli ambienti chiusi, soprattutto nelle chiese. Il nome del genere Acorus proviene da coreon, una malattia degli occhi diffusasi in Grecia per cui si somministrava il calamo aromatico. Ippocrate ne conosceva le proprietà medicinali, compare anche negli scritti di Dioscoride e Teofrasto.

Gli antichi Romani lo consideravano un potente afrodisiaco e lo associavano a Venere [1]. Alcuni resti di calamo aromatico sono stati rinvenuti nella tomba di Tutankhamen in Egitto [2]. La pianta veniva impiegata nell’antico Egitto per la produzione di profumi, oltre che nel trattamento della linfadenite cervicale [3]. Gli arabi lo lodavano come rimedio per i reflussi gastrici.

Viene menzionato 3 volte nella Bibbia: Dio istruisce Mosè affinchè prepari un olio santo per ungere tabernacolo, Arca dell’alleanza e altri oggetti rituali. La ricetta comprende mirto, franchincenso, cannella, calamo, cassia, galbano e spezie dolci (Esodo 30:23,24,34). Veniva coltivato nei giardini di Salomone (Salomone 4:14) e venduto nel mercato di Tiro in Libano (Ezechiele 27:19). Viene citato anche nel IV papiro di Chester Beatty.

L’Acorus calamus era un ingrediente della pozione d’amore medievale prescritta da Zacutus Lusitanus, famoso medico portoghese. Veniva impiegato dalle streghe nella preparazione del flying ointment insieme a solanacee delirogene ed altre piante.

Nativi americani

Il geografo Americano Sauer scrisse che il tubero di Acorus calamus veniva usato dai nativi americani prima che fosse scoperto dagli occidentali bianchi [4]. Le tribù delle praterie gli attribuivano poteri mistici, e i Pawnee ne cantavano le lodi durante le cerimonie misteriche. Gli sciamani Siouani del Nord Dakota lo utilizzavano nella loro danza sacra. Le tribù Cree e Ojibway lo masticavano durante le lunghe spedizioni di caccia come per alleviare la fame ed avere più energia.

La pianta viene associata al topo muschiato (Ondatra zibethica) che ne va ghiotto. Una leggenda dei Penobscot dice che un il topo avesse detto a un uomo di esserne la radice e dove potesse trovarlo. L’uomo, svegliatosi, andò a raccoglierla e ne fece una medicina per curare le sue genti dalla peste e, forse, anche dal colera.

I Chippewa lo inalavano contro il raffreddore, per i problemi bronchiali in una preparazione inclusiva di Xanthoxylon americanum, Sassafras variifolium e Asarum canadense. Dakota, Omaha, Winnebago e Pawnee lo masticavano o ne facevano un infuso, polverizzato veniva bruciato sulle braci per inalarne il vapore e liberare le vie aree.

I Cree ne facevano un infuso per trattare mal di testa, mal di denti e dismenorrea. I gruppi delle paludi masticavano la radice per curare faringiti ed altri problemi alla gola. Gli Abnaki bevevano il decotto tiepido di calamo come rimedio per meteorismo e flatulenza. I Sioux lo consumavano contro i disturbi gastrici, ne inalavano i fumi per alleviare il mal di testa. Lo applicavano localmente come anestetico e cicatrizzante. Lo masticavano durante le battaglie per instillare coraggio e potenziare la resistenza dei guerrieri. Lo davano ai cani da guardia per renderli più feroci, ci foreggiavano anche i cavalli per farli diventare più veloci.
Le donne Menominee la macinavano insieme a radice di sanguinaria e legno di cedro come rimedio per l’irregolarità mestruale. I Blackfott del Montana lo impiegavano come abortificente. I Meskwaki lo applicavano esternamente sulle bruciature [5].

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20/9: Magic Mushroom Day

Magic Mushroom Day 2021«Abbiamo scelto il 20 settembre (9/20 nella dicitura anglofona) perché segna l’inizio dell’autunno, quando i funghi crescono copiosi; perché cade alla vigila dell’equinozio invernale, indicando un cambio di direzione; e perché riecheggia il 4/20, celebrazione globale dei successi del movimento pro marijuana». Così Nicholas Reville, animatore a Providence, Rhode Island, della 920 Coalition spiegava la scelta di lanciare questa giornata dedicata specificamente ai funghi psilocibinici (Magic Mushroom Holiday).

Lanciata nel 2015, l’iniziativa non ha (ancora?) raggiunto una massa critica al di fuori degli Usa, dove va però affermandosi come una “giornata di informazione e d’azione” dedicata al grande pubblico, sull’onda della crescente presenza mainstream delle sostanze psichedeliche, e dei “funghetti” in particolare. Ben più che una semplice “celebrazione” dunque, come accaduto per l’ormai universale 4/20 sulla cannabis, appunto, e per il Bicycle Day del 19 aprile (1943), a ricordo della prima auto-sperimentazione consapevole dell’Lsd da parte del suo scopritore, il chimico svizzero Albert Hofmann.

Obiettivo generale è infatti quello di ampliare il la discussione collettiva e informare al meglio sui benefici della psilocibina, soprattutto in ambito psico-terapeutico, sull’estesa ricerca scientifica in corso, sul processo di depenalizzazione avviato in alcune situazioni nord-americane (a partire da Decriminalize Nature), sulle precauzioni e i rischi nell’uso personale per scopi vari, microdosi incluse, sull’impiego cerimoniale-tradizionale del Teonanácatl e su molti altri aspetti collegati.

Proprio oggi, per esempio, la Johns Hopkins University annuncia un ulteriore passo avanti sul fronte della ricerca: è stato appena approvato il sostegno finanziario della NIDA (National Institute on Drug Abuse) per uno studio sulla psilocibina per superare la dipendenza da tabacco. Come sottolinea lo stesso responsabile Matthew Johnson, «è la prima volta in oltre mezzo secolo che le autorità Usa sostengono direttamente un’indagine sul campo con un classico psichedelico». E i molti commenti positivi ribadiscono l’arrivo di una nuova era per la legittimazione di tali sostanze nell’ambito della ricerca scientifica ufficiale.

Non manca il tipico flusso continuo di tweet per l’occasione, mentre su Instagram la testata DoubleBind informa sulla ricorrenza e chiede: «Come pensate di onorare questa giornata? Fateci sapere». Seguono migliaia di “like” e decine di risposte di diverso tipo.

Psychedelics Today, centro di informazione e training, propone una sorta di “riffa” con decine libri, corsi e altro per saperne di tutto e di più sulla psilocibina, in aggiunta a un podcast con vari ospiti, inclusa Michelle Janikian, giornalista ed autrice dell’ottima guida Your Psilocybin Mushroom Companion (2019).

È poi in corso (online) la quattro giorni del Third Annual Psilocybin Summit, con decine di relatori (da esperti micologi a curanderi, da Vandana Shiva a Dennis McKenna) di ogni parte del globo ad approfondire e condividere le conoscenze su coltivazione, ecodelia, tradizione, tripsitting e altro.

Ancora, oggi e domani il Chacruna Institute coordina l’International Psilocybin Symposium (online e gratuito, in inglese e spagnolo) che raccoglie ricercatori, accademici, leader indigeni, attivisti e altri soggetti coinvolti, per discutere le prospettive attuali e le problematiche di questo movimento globale.

Infine, ieri all’Università di Ann Arbour, in Michigan, migliaia di persone hanno dato vita allo Shroom Festival nel primo anniversario della normativa locale che dichiarava uso, coltivazione e distribuzione di piante e funghi enteogeni  “ultima priorità delle autorità repressive” – di fatto, la depenalizzazione a livello personale.

Tutta una serie di risorse e iniziative mirate a “celebrare” l’odierno Magic Mushroom Day come un’ulteriore occasione per documentarsi e coinvolgersi lungo il percorso collettivo verso la maturità psichedelica. Dove non mancano spazi e opportunità  anche per la ricerca italiana: qualche mese fa è stato approvato uno studio con la psilocibina sintetica all’università Roma Tre per la sindrome dello spettro autistico – per conto di Nova Mentis, azienda canadese di biotecnologia specializzata in medicina psichedelica.

 

 

 

Etnobotanica 7: Passiflora caerulea, un potenziale MAO-inibitore

MEDICINA TRADIZIONALE
La Passiflora caerulea veniva coltivata dagli Aztechi che la usavano come pianta ornamentale e come rimedio per disturbi urinari, fratture ossee e contusioni della pelle.

Nella medicina popolare argentina, le foglie vengono consumate per trattare la dissenteria, il frutto come digestivo e la parte aerea come spasmolitico.

Passiflora caeruleaCon foglie e radice preparano anche un decotto contro i parassiti intestinali; la tisana a base di parte aerea viene impiegata come agente antinfiammatorio, ipotensivo, sedativo e diuretico.
Inoltre viene lodata per le sue proprietà antimicrobiche utili nel trattamento di catarro, polmonite [1].

In Brasile è nota come maracujá-laranja per via del colore arancione e viene utilizzata principalmente come sedativo, analgesico ed ansiolitico naturale, ma sono note applicazioni contro scorbuto, ittero, disturbi mestruali e gastrointestinali [2].

Nella medicina popolare delle Mauritius si preparano delle tinture e degli estratti a base di fiore della passione per trattare diverse condizioni nervose.

In Italia la Passiflora caerulea veniva consumata come antispasmodico e sedativo.

FARMACOLOGIA

Ansiolitico, sonnifero, sedativo
La parte aerea di Passiflora caerulea contiene dei flavonoidi non identificati dotati di alta affinità per i recettori delle benzodiazepine, le concentrazioni di questi composti sono troppo basse perchè i dosaggi tradizionali siano efficaci in acuto. Tuttavia sembra che l’assunzione cronica possa incrementare nel tempo i livelli di benzodiazepine nel cervello con conseguente modulazione dell’omeostasi dello stesso [3].

La crisina, un flavone isolato dalla pianta, ha mostrato significativi effetti ansiolitici privi di componente sedativa e miorilassante nei modelli animali agendo come agonista parziale sui recettori delle benzodiazepine [4]. Secondo altre fonti, l’estratto di fiore della passione ha un effetto comparabile all’oxazepam [5].

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Etnobotanica 6: Lactuca serriola e lactucarium

Il nome Lactuca deriva da lactus che in latino identifica il latte. Infatti la pianta, una volta incisa, secerne un abbondante liquido bianco e lattiginoso.

Lactuca_serriola Gli antichi Greci associavano la lattuga selvatica all’impotenza maschile e la servivano durante i funerali. Erodoto la menziona come pietanza degli dei Persiani del 400 a.C..

Gli antichi Romani la usavano come afrodisiaco ed analgesico: si dice che Augusto le avesse dedicato una statua dopo essere stato guarito da una malattia mortale.

Il naturalista Plinio il Vecchio ne descrive le proprietà nella sua Naturalis Historia. Gli Egiziani estraevano dai semi un olio molto pregiato dalle proprietà afrodisiache e promotrici della fertilità oltre che analgesiche e narcotiche.

MEDICINA TRADIZIONALE
Nella medicina Unani la Lactuca serriola, nota come kahu, viene impiegata come sedativo, ipnotico, antisettico, espettorante, antitussivo, purgante, vasorilassante, diuretico ed antispastico. Viene considerata molto efficace contro bronchite, asma e pertosse.

Il lattice essiccato, chiamato lactucarium, viene consumato come rimedio per insonnia, ansia, nervosismo, iperattività, tosse secca, pertosse e dolori reumatici. Si usa anche la parte aerea fresca o essiccata sotto forma di decotto, infuso o tintura alcolica; dai semi si estrae un olio dalle proprietà antipiretiche ed ipnotiche [1].

In Afghanistan selezionano le radici fresche dalle piante fiorite e le incidono lateralmente diverse volte. Quindi le lasciano a mollo per una notte in un recipiente pieno d’acqua a temperatura ambiente, facendo attenzione a proteggerlo dalla luce che danneggia il preparato e lo rende inefficace. L’infuso viene filtrato e consumato prima dell’alba come rimedio per la malaria [2].

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Etnobotanica 5: Ipomea tricolor e alcaloidi ergolinici

Ipomea Le ipomee fioriscono e muoiono in un singolo giorno: per questo sono da sempre simbolo di amore, passione e mortalità. Nel folklore cinese rappresentano gli amanti che si riescono ad incontrare per un solo giorno. Le antiche popolazioni mesoamericane utilizzavano il succo fresco della pianta come fonte di zolfo, necessario per vulcanizzare la gomma che estraevano da alcuni alberi.

Il noto educatore benedettino Pedro Ponce de Leon scrisse che i semi di Ipomea violacea, chiamati Tlitliltzin in lingua Nahuatl in riferimento al loro colore nero, venivano impiegati insieme al peyote e all’ololiuqui distinguendo per la prima volta la Rivea corymbosa dall’Ipomea violacea. Agli intossicati appare un piccolo uomo nero che esaudisce ogni desiderio, altre volte vedono Dio o degli angeli.

L’esperienza si svolge in un luogo appartato con l’ausilio di un guardiano per evitare che abbiamo contatti con altri mentre parla in preda al delirio. Una volta svaniti gli effetti, si chiede cosa avesse detto e la risposta viene considerata come una verità assoluta [1].

Ipomea Viene menzionata da Albert Hofmann nel libro curato insieme a Richard Evans Schultes e Christian Rätsch, Plants of the Gods: Their Sacred, Healing, and Hallucinogenic Powers (1994), come Ipomea violacea ma dall’immagine si vede chiaramente che la specie è invece una tricolor varietà heavenly blue (si nota dalla corolla che non è bianca) [2]. Sono molto simili e secondo alcuni autori sarebbero sinonimi: tuttavia piccole differenze tassonomiche permettono di distinguere due specie appartenenti a sottogeneri diversi, Eriospermum per la violacea e Quamoclit per la tricolor.

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