Stralci di psichedelia italiana dal 1969 a oggi

Il Volo Magico, 2020Ottima la panoramica sull’editoria e la cultura psichedelica nostrana dell’ultimo mezzo secolo appena pubblicata su L’indiscreto, a firma di Andrea Cafarella, nel contesto di un’ampia riflessione a partire dal ’69 psichedelico italiano. Dove si annuncia l’agognata ristampa de Il volo magico di Ugo Leonzio per Il Saggiatore, con la puntuale prefazione di Agnese Codignola. Una pietra miliare in quest’ambito, pubblicata nel 1969 da Sugar e negli Oscar Mondadori, e poi letteralmente scomparso di scena — pur se rimane «la migliore esposizione di questi argomenti tutt’oggi disponibile in lingua italiana», come ricorda giustamente il buon Giorgio Samorini.

Nel segnalare una varietà di libri in tema passati e recenti, il (lungo ma stimolante) pezzo vola variamente tra enteogeni ed esoterismo, espansione della coscienza e controcultura, esperienze personali e rinascimento psichedelico – puntando a una sorta di “ritorno alla mistica psichedelica”.  Ne riportiamo alcuni stralci:

«L’uso della droga ha lo scopo di sperimentare l’ascensione spirituale: volare, superare distanze immense, scomparire, sono alla base della ricerca estatica: sperimentare sul piano reale, carnale come ha detto Eliade, ciò che per la condizione umana è accessibile solo sul piano dello spirito». La questione mistica – questo ci preme individuare in questo ragionamento – è fondamentale, secondo Leonzio. È il centro della discussione. Non solo per quanto riguarda gli allucinogeni, «queste evasioni tossiche sono alla base di tutta la topografia mistica delle religioni orientali e della religione in genere, almeno nella sua formazione rudimentale». Torniamo qui al discorso che anche Graham Hancock porta avanti, quando, all’inizio del suo Sciamani, ipotizza il ruolo fondamentale che avrebbero avuto gli psichedelici nel momento della formazione della nostra coscienza, attraverso, appunto, l’estasi mistica, ovvero lo strumento ultimo di quell’arte fondativa dell’essere umano che è proprio l’arte di conoscersi. «Tutte le forme mistiche hanno usato, ai fini di provocare l’“estasi” o gli stati di beatitudine, metodi in grado di alterare la normale chimica del corpo. Le quaresime, i lunghi digiuni dei contemplativi di clausura impoverivano di vitamine il sistema nervoso, provocando una diminuzione dell’efficienza del cervello, in grado di provocare visioni. Le cerimonie medioevali dei Flagellanti utilizzavano per le battiture fruste di cuoio intrecciate con filo di ferro. L’atto della frustata liberava nel sangue grandi quantità di istamina e adrenaline, che insieme a varie sostanze tossiche prodotte dalle proteine in via di decomposizione, provocavano visioni simili a quelle degli stati schizofrenici. Il canto continuato, le cantilene interminabili del sacerdote sciamanistico, avevano come fine inconscio di aumentare la percentuale di CO2 nei polmoni e nel sangue. E ugualmente per gli esercizi orientali di respirazione». L’uso di sostanze psichedeliche sarebbe quindi solo uno degli strumenti da accostare alla pratica mistica, «non riteniamo che le droghe siano un surrogato per giungere all’estasi pura, un’alternativa al decadere della tecnica sciamanica», piuttosto una delle tecniche sciamaniche, oppure sarebbe meglio dire: una delle componenti di alcune delle tecniche sciamaniche. Pensiamo al tamburo, al canto e a tutti gli strumenti coinvolti nelle pratiche citate poc’anzi. Cosa sarebbe l’autoflagellazione senza flagello? Eppure, non basta un flagello per raggiungere l’estasi e la beatitudine.

Il Volo Magico, 1969«Ma i grandi mistici, lungi dal mostrare una confusione fra l’Io e l’ambiente, agiscono con grande efficacia e con acuto senso delle realtà sociali. L’Io, il Sé, che va smarrito nell’illuminazione mistica, non è quell’Io – o Sé – necessario all’esecuzione pratica dei propri compiti». Lo ripete quindi anche Fingarette; il vero problema, per il mistico che ha raggiunto l’estasi e l’illuminazione, sarebbe il fatto che non potrà mai vivere come viviamo noi e nemmeno in mezzo a noi, poiché sembrerebbe un folle, non potrebbe mai accettare l’ipocrisia di questa società. Noi stessi facciamo un’enorme fatica nel concepire che «La morte dell’Io, che dovrebbe precedere lo stato di “satori”, è per il mistico solo la morte della personalità, preoccupata della propria immagine; non l’eliminazione del livello cosciente; al contrario, [è] la sua elevazione». Il mistico non muore – nell’esperienza psichedelico mistica – per «staccare il cervello», per scordarsi di sé per qualche tempo e poi tornare alla pratica dell’apparire. Il mistico muore per rinascere. Totalmente diverso. Sempre diverso: illuminato, per essere un uomo nuovo, un mago. L’esperienza psichedelica diventa quindi un viaggio mistico verso la luce, fino alla salvazione che deriverebbe dall’ascolto profondo del Bardo, per produrre una vita davvero religiosa e una coscienza nuova e senza fine. L’esperienza mistica è quella di Giordano Bruno; forse – ci consiglia sempre Mazza Galanti – può tradursi in quella versione politica che aveva iniziato a progettare Mark Fisher quando scriveva il suo Acid Communism. L’esperienza mistica è il contatto con il sacro, attraverso il rituale che nasce da una fede alimentata dalla pura conoscenza, dal sapere che deriva da una pratica intensa e senza fine. L’iniziato sa di non poter mai arrivare a una risposta definitiva. Bisogna sapere di non sapere. La consapevolezza è tutto.

Per saperne di più, rimandiamo all’articolo integrale su L’indiscreto, curato da Andrea Cafarella: Il Sessantanove psichedelico italiano: differenze e coincidenze tra esperienze psichedeliche e mistiche.

La Calea Zacatechichi

Calea ternifoliaLa Calea Zacatechichi (Calea ternifolia), nota anche come erba del sogno messicana, erba amara o foglia di Dio, costituisce probabilmente l’oneirogeno tradizionale più famoso. È una pianta della famiglia delle Asteraceae, usata soprattutto dagli indigeni Chontal, dello stato messicano di Oaxaca, per la oniromanzia, tecnica divinatoria basata sui sogni.

La pianta viene impiegata da sempre anche per il trattamento di diversi disturbi tra cui disordini intestinali, febbre, mancanza d’appetito, dissenteria e diabete. La farmacologia di questa pianta non è ancora stata del tutto compresa, ma si sa che è ricca di lattoni sesquiterpenici, composti amari in comune anche con altre piante oneirogene come l’artemisia.

Uno studio in-vitro sembra però contraddire l’alto profilo di sicurezza di cui da sempre gode, comparandola a un noto agente chemioterapico. Ricordiamoci che questa pianta viene consumata giornalmente per lunghi periodi a dosaggi anche alti senza particolari accortezze, infatti diversi onironauti sono rimasti spaventati dalle rivelazioni di questa ricerca.

Tuttavia il lavoro, come spiegano anche gli autori, non è affatto conclusivo e si scontra con delle analisi successive effettuate in-vivo da un altro team.

Casi del genere sono comuni per altre specie relativamente molto sicure come ad esempio la borragine, i composti tossici sono presenti a concentrazioni molto basse e vengono bilanciati da altri elementi presenti nel fitocomplesso.

Qui il testo integrale dell’articolo.

L’eredità di Claudio Naranjo: evento in livestreaming

Grazie a tutti gli ospiti e a quanti hanno seguito il livestreaming! Il video integrale e’ disponibile sulla nostra pagina Facebook. E dateci una mano a organizzare eventi simili, grazie!.

In quello che speriamo sia soltanto il primo di una serie di eventi online sui vari aspetti della cultura psichedelica e annesse dinamiche, oggi partiamo con questo incontro virtuale per ricordare, a un anno dalla morte, Claudio Naranjo: filosofo, terapeuta, educatore e molto altro. L’evento è diviso in due parti: una sintesi sul suo percorso, il suo lavoro in Italia, l’approccio multidisciplinare alla “liberazione attraverso l’autoconoscenza” e una discussione aperta, a partire dall’originalità del suo pensiero e della pratica, sul potenziale umano verso un futuro conviviale e ontologico per far fronte alla crisi planetaria, ancor più nell’era post-Covid.

Da segnalare intanto che domenica 12 è previsto un omaggio internazionale online, a cura della Fundación Claudio Naranjo e SAT Mundo. Invece a partire dalle ore 20 (in Cile) di sabato 11 luglio sarà disponibile online, gratuitamente e per 24 ore, il documentario curato dalla Cineteca Nazionale Cilena sulla vita, il lavoro e la visione di Claudio.

Da parte nostra, abbiamo pensato innanzitutto a panoramica di ricordi, aneddoti personali inclusi, proposti da alcuni suoi amici e collaboratori, così da delinearne una sorta di ritratto anche per chi conosce poco Claudio Naranjo, o non ha mai letto i suoi libri, molti tradotti in italiano e caldamente consigliati. Come sottolinea uno di loro, qui l’accento va posto, ancor più e prima che su una persona, su un esperimento culturale: «Claudio è un caso raro, un soggetto con una estesa cultura di élite occidentale che va all’esperienza psichedelica, e ritorna… cercando un’integrazione. Nelle sue sedute non si usavano musiche sciamaniche o orientali. Metteva Brahms… e lo suonava al piano e lo cantava. Amava il romanticismo, che dalle arie popolari distilla nuove formalizzazioni delle emozioni….verso verità progressive. Claudio era un “moderno”».

Un percorso di integrazione continua e necessaria, perché «la civilizzazione ha bisogno dello spirito dionisiaco, del ritorno della sacralità del piacere, della fede nelle pulsione spontanee», come rimarca lo stesso Naranjo in questa intervista apparsa su Alias, l’inserto settimanale del Manifesto, nell’agosto 2019, durante uno dei suoi frequenti soggiorni in Italia. Ma anche, e forse soprattutto, un percorso trasformativo che qui e ora, nell’era post-Covid, ci vede alla prese con «un occidente refrattario alla psichedelia, poiché privato della psiche e colpito dalla sostituzione dei commons con le commodities, che sfugge all’esperienza attraverso l’individualismo convenzionale», come sintetizza un altro dei nostri ospiti nella discussione odierna. Che vuole essere aperta e collaborativa per provare a delineare i sentieri possibili di un potenziale umano che sappia far tesoro della criticità evidenziata dalla pandemia e rifiuti il semplice ritorno alla “normalità” precedente, abbracciando un futuro conviviale e ontologico per far fronte alla crisi planetaria.

Nuove frontiere nello studio della coscienza e della mente

Quando si parla di neuroscienze, o in generale di tutto ciò che riguarda lo studio del funzionamento del cervello, siamo abituati a rappresentazioni molto incentrate sulla definizione di aree cerebrali circoscritte, o network, che sono particolarmente attive o silenti durante compiti specifici, stati affettivi o patologie psichiatriche.

Sulla base delle immagini suggestive che ci forniscono i dati di risonanza magnetica, leggiamo nelle riviste scientifiche e oramai sempre più spesso anche in quelle divulgative che ciò che vediamo viene processato dietro la nuca, ossia nel lobo occipitale; che un po’ più in alto gli stimoli sensoriali vengono integrati e collocati nello spazio che ci circonda; che un’intensa attività dell’amigdala è associata alla paura e, se questa persiste, a disturbi legati all’ansia; che nella corteccia frontale avvengono le funzioni cognitive più evolute come il ragionamento e la pianificazione, e così via.

Chi si è iscritto a una facoltà di psicologia o ha approfondito da sé la materia per puro interesse, ha appreso che le cellule che a miliardi popolano il cervello, chiamate neuroni, scambiano incessantemente tra di solo segnali elettro-bio-chimici seguendo delle leggi molto precise, necessarie e sufficienti per il corretto funzionamento dell’attività di “scarica”, al di fuori della quale il neurone è “silente”.

Ciò che raramente viene detto, sia nei libri che nei corsi universitari e, insospettabilmente, anche in molti laboratori di ricerca, è che tra questi due livelli di indagine (quello microscopico delle singole cellule e quello macroscopico che riguarda porzioni di cervello che si estendono anche per diversi centimetri) esiste un divario abissale. Il cervello è l’organo che ci consente di fare tutto quello che facciamo e regola anche l’attività dei nostri organi interni, ci fa sentire la fame, il caldo e quelli che sono i nostri bisogni più o meno impellenti e fa sì che agiamo in funzione dei nostri scopi. Erroneamente, molti pensano che il suo funzionamento si basi semplicemente sul dirigere come in un’orchestra delle componenti specializzate che al momento opportuno devono suonare la loro partitura e successivamente fermare gli strumenti. Tanto per il cervello quanto per l’orchestra questa visione è fortemente approssimativa, eppure piuttosto comune, e nel campo delle neuroscienze prende il nome di modularismo.

La detenzione delle onde cerebrali con l’elettroencefalogramma fu il primo esempio di misurazione diretta dell’attività del sistema nervoso centrale, ma il problema della coordinazione che la rende possibile è stato per lo più accantonato ai margini della ricerca accademica. La questione fu sollevata in principio dal neurobiologo Karl Lashley negli anni 40, e sin dalle sue prime osservazioni parve necessario adottare all’azione di massa dei neuroni un linguaggio che si attenesse alla fisica, più che alla normale biologia metabolica. Questi quesiti sono stati sviluppati incessantemente fino ad oggi, ed in particolar modo grazie al contributo di Walter Freeman III che, anticipando di decenni gli sviluppi delle neuroscienze computazionali, introdusse a partire dagli anni 70 il linguaggio della complessità nel paradigma di ricerca a cui diede il nome di neurodinamica. Tale punto di svolta ruppe in maniera inequivocabile una concezione del funzionamento del cervello basato su rapporti di causa ed effetto che si susseguono in maniera lineare, e dunque per un concatenarsi di necessità. È proprio questo tipo di concezione a portare molti eminenti neuroscienziati, ancor oggi, a negare il concetto di libero arbitrio e a vedere la coscienza sotto la lente di una epistemologia epifenomenica.

Dato che concetti così peculiari comunemente non vengono approfonditi nelle università né citati nei libri di testo, è stata da poco istituita una scuola che possa introdurre queste e altre questioni di frontiera ad un pubblico di giovani studiosi. Si tratta della FOM, Frontiers Of Mind Academy, presso l’università di Pisa che propone il primo percorso tra fisica, neuroscienze e pratiche contemplative. All’internod di questo programma, la prossima edizione della Summer School on Cognition and Consciousness si svolgerà interamente online (29 agosto – 6 settembre 2020). Qui maggiori dettagli sulla FOM e sull’evento estivo – ora spostato online con termine ultimo iscrizioni fissato al 15 luglio.

[Articolo di Mattia Pagin]

In ristampa il “Saggio sulla transe” di Lapassade

Lapassade, Saggio sulal transeÈ finalmente in ristampa presso Mimesis-Jouvance questo libro che, pubblicato in prima edizione italiana per Feltrinelli nel luglio del 1980, rimane una tappa fondamentale della ricerca sugli stati modificati di coscienza. Ce ne informa lo stesso curatore, Gianni De Martino, aggiungendo un interessante stralcio dalla sua introduzione:

[Dopo le esperienze pschedeliche di massa emerse negli anni ’60] la nozione di “transe” (o trance) si trova ampliata e non più limitata a designare unicamente l’isteria, il sonno ipnotico e lo stato speciale di soggetti che partecipano a esperienze medianiche. In un secondo tempo la parola “transe” si è arricchita grazie alle ricerche etnologiche sui riti di possessione e infine è entrata nel vocabolario del “movimento del potenziale umano” e in quello politico della “nuova coscienza”.

La transe contemporanea non è la coscienza ipnotizzata, e neanche la coscienza assoggettata al rituale: al contrario, sarebbe una “risorsa vitale” (Renato Curcio) per individui o gruppi a disagio nella civiltà, ovvero una disponibilità cui si può ricorrere in caso di bisogno. La condotta di una coscienza liberata da confini ristretti e da appuntite foreste di “difesa”, sarebbe esplodente, capace di mettere da parte il piccolo io empirico e di abitare il mondo attivamente e di estasiarsi nel mondo. Si prospetta così una coscienza più presente degli abituali stati di veglia normali (NSC) dominati dall’autopreoccupazione e ligia a un dovere immaginario che consiste nel controllare, stare attenti, allontanare…fino a tagliare “nel vivo” e a porre continuamente ( vale a dire senza misericordia e in un giro senza fine di travestimenti multipli) confini armati a difesa delle proprie ricchezze. Invece di restituire, al buio, tutti i gioielli e Spogliarsi dei Metalli secondo il vocabolario simbolico della preparazione al viaggio iniziatico nel Rituale Massonico.

Generalizzando queste pratiche, Lapassade finisce con l’enunciare una definizione antropologica della transe come stato modificato di coscienza culturalmente elaborato, socializzato e ritualizzato. In questo schema si ritrovano così le transe verificate dall’antropologia classica e dall’etnologia. A tale proposito questo saggio sulla transe potrebbe essere utile dal punto di vista di come viene affrontata la sofferenza dei migranti. “Spesso – come osserva Leonardo Montecchi – ci sono forme di transe di possessione legate alla loro cultura d’origine là dove gli psichiatri del DSM vedono niente altro che una paranoia o addirittura una schizofrenia”.

Da questo e da tanti altri punti di vista questo libro, che ha il pregio di condensare in poche pagine tutto ciò che si sa della transe in ambito antropologico e storico, resta un testo indispensabile e quanto mai attuale. D’altra parte, la transe non è relegabile tra le curiosità etnologiche, a condizione d’abbandonare il punto di vista positivista sulla transe dei ” paesi lontani ” per cominciare a vedere che questa esperienza fatta altrove e che ha radici nelle coscienze e nei corpi, è anche la nostra e la si trova qui e ora sotto forma di fenomeno latente o già espresso.

La scommessa psichedelica

LSD 1943È questo il titolo di una raccolta di saggi, curata da Federico di Vita, sull’impatto della rinnovata attenzione verso le sostanze psichedeliche nella società contemporanea. Già prevista a maggio in concomitanza con il Salone del Libro di Torino, l’uscita del libro è stata rimandata a inizio ottobre (anche se titolo e immagine di copertina non sono ancora definitive). Di seguito una presentazione in anteprima del volume, oltre a una ulteriore scheda sugli autori e sui contenuti dei vari saggi.

Dopo decenni di misconoscimento le sostanze psichedeliche sono tornate nelle università, nei centri di ricerca, sui giornali e sulle riviste di tutto l’Occidente, grazie alle importanti scoperte scientifiche che le invocano come next big thing dei trattamenti psichiatrici. Sono usciti libri, anche in Italia, che hanno contribuito a far mettere a fuoco la rilevanza di tali studi a un pubblico sempre più vasto. Manca però ancora l’ultimo passaggio, quello che ci proponiamo di fare con questo volume: mostrare come il Rinascimento psichedelico, oltre che per i futuri impieghi terapeutici, sia già al giorno d’oggi parte integrante di tanti aspetti delle società e delle culture occidentali.

La riemersione della psichedelia dal sottosuolo in cui era stata relegata alla fine degli anni ‘60 si è coagulata, nella rappresentazione pubblica, su tre temi principali: la ricerca medica sull’impiego di sostanze psichedeliche nel trattamento di varie patologie (Sindrome da stress post-traumatico, ansia di morte nei malati terminali, dipendenze da sostanze tossiche come l’alcol, depressione, persino cefalea a grappolo); la diffusione sempre più ampia dei riti neo-sciamanici a base di ayahuasca nell’ambito di contesti di accrescimento personale; la pratica del microdosing di LSD come coadiuvante dell’umore e della produttività, di moda nella Silicon Valley e presso le classi creative nelle metropoli occidentali.

Dietro questi temi, con risalto assai minore, fanno capolino numerosi altri: la diffusione dei “festival trasformativi”, dal Burning Man al portoghese Boom; le persistenti vene di psichedelia sempre più visibili nelle arti più diverse, anche nel mainstream: dalle incursioni pop nelle dimensioni del DMT di un Doctor Strange, alla nuova letteratura “strana” europea (Tom McCarthy, Mircea Cărtărescu, Antoine Volodine, etc.).

È sulla base di questi spunti molti hanno parlato, a partire dai primi anni Dieci, di Rinascimento psichedelico, una definizione che può trovare il suo emblema nelle affascinanti immagini in risonanza magnetica del cervello acceso dalla psilocibina realizzate da Robin Carhart-Harris e Giovanni Petri. Novità che i media hanno riportato con toni – ineditamente – favorevoli, tanto da far apparire quasi prossimo il momento in cui le società occidentali cesseranno di percepire come una minaccia il consumo di sostanze psicoattive, e abbandoneranno il riflesso condizionato che associa la “droga” (nel dibattito politico ancora anacronisticamente declinata sempre al singolare) alla criminalità e a comportamenti autodistruttivi; solo allora potremo sperare in una liberalizzazione del consumo.

In questo contesto, che autorizza un certo ottimismo, si levano tuttavia, dall’interno dello stesso movimento psichedelico, alcune voci di perplessità: c’è chi, come Erik Davis (Techgnosis), paventa gli effetti di normalizzazione che una visione della psichedelia troppo entusiasta sugli aspetti medici può comportare; si moltiplicano inoltre le notizie sugli effetti deleteri del “turismo dell’ayahuasca” nei paesi del Centro e Sud America. Dal canto suo, David Nickles (DMT-Nexus) sostiene che nell’attuale assetto economico, la liberalizzazione rischierebbe di mettere nelle mani delle multinazionali farmaceutiche una gallina dalle uova d’oro saldamente subordinata alla logica del profitto.

Consapevoli di tali tensioni, col presente progetto di volume, intendiamo fornire una serie articolata, consequenziale e coesa di riflessioni che mostrino come la psichedelia stia espandendosi, in modo sempre meno sotterraneo, e non solo nel campo terapeutico ma anche nell’arte, nella musica, nella letteratura e nella cultura pop, fino alla tecnologia, alla “Internet culture” e alla politica.

(Qui un’ulteriore scheda sugli autori e sui contenuti dei vari saggi).

Il sacrosanto diritto alla salute mentale e alla coscienza alterata

Doblin/Reason_7_20Il numero di luglio di Reason, mensile dell’ala libertariana americana, propone un ampio profilo-chiacchierata con Rick Doblin, factotum della Maps (Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies). Uscita mirata a dare impeto alla nuova raccolta-fondi appena lanciata dalla stessa Maps:  30 milioni di dollari per chiudere la terza fase, ora condotta in varie cliniche tra Nord-America e Israele, dei test clinici per approvare l’Mdma come coadiuvante nella psicoterapia per il trattamento del disturbo post traumatico da stress (Dpts). In particolare, è in corso la MAPS Capstone Challenge: raccogliere tramite donazioni pubbliche 10 milioni di dollari entro fine settembre per “sganciare” così un’analoga somma già promessa da un gruppo di filantropi americani. Una vera e propria “sfida” organizzata da Tim Ferriss, noto scrittore e produttore di podcast, e Joe Green, co-fondatore del Psychedelic Science Funders Collaborative.

Tra i diversi spunti meriteveli di quest’ampia (e caldamente consigliata) chiacchierata senza veli, c’è la questione cruciale che gli psichedelici non vanno presi (in senso lato) alla leggera. Va cioé chiarita e compresa questa dicotomia relativa agli enteogeni, tra l’uso ricreativo e la medicina per la mente. Precisa Doblin:

Credo che la gente abbia il fondamentale diritto umano di modificare il proprio stato di coscienza. Quando parlamo di libertà d’espressione o di religione, quello che si sottende in fondo è la libertà di pensiero. Gli psichedelici sono un buon esempio della libertà di pensiero che dovremmo avere.

Al contempo, quando li si assume a scopo ricreativo per avere puramente esperienze positive, se dovesse emergere qualcosa di difficile può diventare una situazione pericolosa. Se lo sopprimiamo, andrà ancora peggio. Perciò un aspetto di quest’esperienza comporta lavorare su se stessi.

Uno dei nostri slogan portanti è che difficile non vuol dire brutto. Molte volte, quando si punta a un’esperienza ricreativa e invece emergono situazioni difficili, diciamo: ‘È un bad trip, un brutto viaggio’. In realtà si tratta anche di un’opportunità. Quindi l’attuale medicalizzazione è una strategia per ampliarne al massimo l’accesso e arrivare alla salute mentale di massa.

Leggi tutto

Support! Don’t Punish 2020

Support Don't Punish (26/6/2020)Support! Don’t Punish è una campagna globale che chiede politiche sulle droghe a tutela della salute pubblica e dei diritti umani. La campagna mira a promuovere la riforma delle politiche sulle droghe, aiutare a eliminare lo stigma nei confronti delle persone che usano sostanze e a modificare le normative che impediscono l’accesso agli interventi di riduzione del danno.

Fra i sostenitori economici dell’iniziativa troviamo l’International Drug Policy Consortium (IDPC), rete globale di 114 ONG e reti professionali specializzate nelle questioni relative alla produzione e all’uso di droghe illecite, la Open Society Foundations e il Robert Carr Fund, sostenuto a sua volta dalla Bill e Melinda Gate Foundation.

Venerdì 26 giugno è la giornata mondiale di mobilitazione a sostegno della campagna #Support!DontPunish che coinvolge 90 Paesi con manifestazioni programmate in oltre 165 località. Previsto un livestreaming gratuito per l’intera giornata: quello italiano si può seguire sulla pagina Facebook di ItaNPUD. Fra gli altri, interverrà Alessandro Novazio, fondatore e attuale coordinatore di Psy*Co*Re, alle ore 11, seguito da Carolina Camurati della Società Psichedelica Italiana, presentando il nostro progetto e affrontando il tema della “cognitive liberty”, cioè il rapporto tra ricerca, proibizionismo e salute. Eccone una breve sintesi:

Il concetto di cognitive liberty/freedom, che proprio il Covid ha messo in drammatica visibilità, di fatto rende addirittura obsoleto il concetto di proibizionismo. Questo vale soprattutto per le sostanze cosidette psichedeliche, e in particolare per quelle oggetto di ricerca medica. La citazione viene da un congresso della Sissc sulle “medicine proibite” e sull’ipotesi etica collegata: “se ho una medicina proibita ma che salva una vita, la uso anche andando incontro a sanzioni legali oppure no?”. Ciò si richiama al principio della libertà di ricerca e al concetto di salute come definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che implicitamente suggerisce soluzioni antiproibizionistiche. In ogni caso “non possono esserci cittadini di serie A e di serie B”, e quindi l’approcio “supportare e non punire” è sempre e comunque preferibile a qualsiasi altro.

Una riflessione sulla Ierà Odòs eleusina

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa riflessione di Andrea Orsini* da Tunquén, in Cile, a margine dell’intervento tenuto da Riccardo Zerbetto agli Stati Generali della Psichedelia 2019 sul tema della Via Eleusina e delle origini dello sciamanesimo europeo, proposto qui pochi giorni fa.

La bella relazione di Riccardo Zerbetto su Eleusi mi spinge verso riflessioni e ricordi concatenati. La via sacra, la Ierà Odòs che da Atene portava al santuario di Eleusi implica anche una via inversa. Un riflusso da quel luogo di profondo e inesprimibile contatto con la vita, un contro-movimento verso Atene, che per Giorgio Colli segna la nascita della filosofia. Nei primi anni’80 la buona sorte mi aveva portato a intense esperienze con l’LSD nel contesto protettivo e favorevole del teatro di ricerca, dove ero impegnato a tempo pieno. Mi resi subito conto delle implicazioni culturali di quelle esperienze.

In assenza di guide o maestri, guardavo la foto del cileno Claudio Naranjo sul libro di Peter Stafford [Psychedelic Enciclopedia, Ronin Publishing, 1978] edito in Italia da Cesco Ciapanna come alla traccia di un mondo lontano. Quindi mi misi a studiare filosofia e antropologia, senza incontrare le risposte che cercavo, se non in parte negli studi orientali. Qualche anno dopo incontrai Alessandro Fersen per un colloquio di lavoro. Fui assunto come segretario e assistente. Non sapevo che a Colli lo legasse una fratellanza, che dai tempi della guerra si è estesa per decenni, con incontri regolari in un bar di Firenze. Uno veniva da Roma e l’altro da Pisa. Oggetto di questi incontri: una riflessione sulla Ierà Odòn eleusina, per le due direzioni.

Fersen, genovese, laureato in filosofia con Rensi negli anni ’30, dedicatosi al teatro nel dopoguerra, regista e saggista, aveva fondato una suola per attori che è stata tra le più importanti in Italia. La sua vera passione, sulle orme di Nietzsche, era la Grecia classica. Conosceva a memoria la tragedia senza traduzione. Non per un’aspirazione formale o estetica. Voleva andare oltre i testi, tornare alle origini, a quei misteri dove vedeva il punto sorgivo della cultura, l’avvento delle mitopoiesi. Su queste basi elaborò un metodo per esplorare gli stati non ordinari di coscienza, che chiamò mnemodramma. Gli studenti della sua scuola (a lato dei corsi di dizione, recitazione e movimento) potevano anche partecipare al laboratorio di mnemodramma del lunedì.

Per anni ho accompagnato questo originale ricercatore nelle sedute e discusso sulle esperienze a fine giornata. L’essenza di questo metodo può essere definita “via negativa”. Un percorso di “spoliazione e discesa” verso quei luoghi dell’interiorità dove contenuti rimossi si riattualizzano con rinnovato e riconquistato senso. Già molto anziano, Alessandro sopportava con pazienza le mie critiche. Accettavo ovviamente l’essenza della cosa, il viaggio interiore, il cerchio di protezione, la riconnessione delle anime alla propria vocazione “culturale”, nel senso antropologico del termine. Ma insistevo sull’utilità dei catalizzatori psichedelici per accelerare e approfondire questi processi. Lui diffidava della scorciatoia del farmaco. Poteva permetterselo perché la droga era lui stesso, con la sua straordinaria capacità di indurre stati di trance.

Oggi, scrivendo queste righe di commento alla relazione di Zerbetto, per gentile invito di Alessandro Novazio, rifugiato sulla scogliera cilena dall’onda dilagante della pandemia, mi sento di condividere queste riflessioni su quanto ho appreso dai miei due maestri, che hanno dedicato la loro vita a Eleusi.

Fersen mi ha insegnato che per andare da Atene al santuario bisogna spogliarsi di ogni aspettativa, premeditazione, tecnica, filosofia, psicologia o scienza. Colli si è occupato del ritorno dal santuario alla città. Taglia corto Colli, le filosofie del soggetto sono un equivoco fuorviante. La filosofia classica è filosofia dell’oggetto. “Se stiamo parlando di qualcosa stiamo parlando di un oggetto”. Se il “contatto” appartiene al mistero, appena fuori dal recinto di Eleusi il discorso conseguente non potrà che essere logico e dialettico. Un programma che vedeva rispecchiato nei presocratici, Eraclito, Parmenide e Zenone. “L’intelligenza greca è congiunta alla vita sorgiva, pur nelle sue estreme astrazioni. Il cammino tra sensazioni e concetti è continuo, senza spezzature…”.

In questo senso la filosofia critica è al servizio della verità, che appartiene soltanto all’esperienza. E soltanto con questa coerenza sfugge al pericolo di un vuoto nichilismo, intellettuale o mercantile. In oriente il buddhismo di Nagarjuna si è espresso sulla stessa linea. Il tema è quanto mai attuale e politico. Siamo in un mondo preda di vecchi e nuovi “assuntori di potere”, ovvero di quei “fantasmi usurpatori” descritti da Max Stirner e da Nietzsche, che lavorano incessantemente per imporci simulacri del “reale”, lo stato, la religione, la scienza, il sesso di gomma o qualsiasi altro oggetto di marketing, con l’oscuro fine di espropriarci dal nostro diritto naturale all’autoconoscenza.

Sono passati oltre trent’anni da queste frequentazioni, conservo il ricordo della freschezza e del coraggio di questi autori, ma, forse proprio grazie a loro, ritengo che la complessità di questa materia non sia riducibile a nessuno schema. Non c’è un netto andare all’esperienza e un netto ritornare, un puro solvere e un puro coagulare. La vita è un processo dinamico che si auto-rivela nel punto di equilibrio tra emozione e forma, o tra esperienza e pensiero, sempre compresenti. Una buona filosofia può funzionare da “vaccino” contro le sclerosi che ostacolano tale processo. Ancora più vicini a Eleusi saremo fluendo nell’Arte di ruotare, o danzare, intorno a quel centro segreto, luminoso e ineffabile che portiamo in noi stessi.

* Andrea Orsini (Roma, 1960) ha studiato antropologia e filosofia (Università La Sapienza, Roma). Ha lavorato nel teatro di ricerca con il Teatro dell’IRAA come associato e con Alessandro Fersen come assistente. Focalizza i suoi studi sulle tecniche del corpo e gli stati coscienza. Nel 1983 apprende il Tai Chi da Peter Yang conservandone la pratica. Dal 1990 si è dedicato al design di oggetti d’uso e materiali per l’architettura, integrando operazioni artistiche con progetti d’impresa. Dal 2015 si occupa di progetti olistici orientati alle relazioni tra corpo, colore, suono e medicina.

Ketamina: un anestetico psichedelico

Ketamina, un anestetico psichedelicoÈ questo il titolo di un volume fresco di stampa curato da Gianluca Toro per Nautilus (190 pagine, 13 euro). Si tratta di un excursus a tutto campo che parte dalla prima sintesi della sostanza, dovuta al chimico C.L. Stevens, consulente della Parke-Davis nel 1962. Tre anni dopo la ketamina era già considerata un anestetico generale piuttosto sicuro e maneggevole, meno tossica, ad azione piú rapida e con effetti psicoattivi meno pronunciati rispetto alla fenciclidina (PCP). Produce la cosiddetta “anestesia dissociativa”, in riferimento a una disconnessione della coscienza dal corpo e dall’ambiente circostante.

Le dosi psichedeliche (subanestetiche), emerse con l’avvento della cultura dance e dei rave party degli anni ’80, corrispondono al 10-25% di quelle usate in chirurgia come anestetico. Le dosi basse sono adatte per un uso ricreazionale in cui si può mantenere un maggiore controllo dell’esperienza e del corpo e la capacità di muoversi, ballare e parlare, oltre che una migliore percezione e interazione con l’ambiente circostante, un certo senso di identità e la memoria, mentre quelle alte sono riservate a un uso psiconautico in cui si può giungere a uno stato di incoscienza.

Se ne possono comunque distinguere diversi usi, ovvero ricreazionale, psiconautico, medico e psicoterapeutico. Quest’ultimo si sta mostrando molto promettente, in particolare per il trattamento della depressione, della dipendenza da sostanze di abuso (come alcol, benzodiazepine, barbiturici, eroina e cocaina), di disordini nevrotici e del disordine da stress post-traumatico.  Dai metodi di consumo e dosi alle combinazioni con altre sostanze, passando per la farmacologia, i modelli di consumo, i campi di impiego e i resoconti di esperienze, il testo di Gianluca Toro offre le informazioni essenziali su questa sostanza per evidenziarne i rischi e le potenzialità, soprattutto in campo psicoterapeutico.

Particolare importante: Non essendo inclusa nella Tabella I delle sostanze proibite, la ketamina viene spesso prescritta contro dolori cronici e nervosi (soprattutto le cefalee). E la ricerca è andata avanti senza particolari intoppi, tant’è che negli ultimi anni nel Regno Unito e in Usa è stata sperimentata per vari disturbi mentali, soprattutto per la depressione e disordine bipolare con risultati incoraggianti. Nel marzo 2019, la FDA statunitense ha approvato uno spray nasale specifico per la depressione basato sulla sostanza, noto come Esketamina – prescrivibile solo a chi ha provato due o più antidepressivi senza successo e sotto la supervisione di un centro di recupero. Invece a Toronto, in Canada, è stata appena aperta la prima clinica per la depressione, Field Trip, dove il trattamento integra una microdose di ketamina con la psicoterapia, con succursali previste in tarda estate a Los Angeles e New York. Ogni sessione, della durata di circa due ore, costa tra i 200 e i 400 dollari, e generalmente non è coperta dalle assicurazioni sanitarie private.