MDMA: effetti, rischi e potenzialità terapeutiche

Articolo a cura di Fab S.*

Dopo la cannabis, l’ecstasy è tra le sostanze più usate per scopi ricreazionali, soprattutto nei rave ed altri eventi di massa giovanili [1]. Nella comune versione “da strada”, queste coloratissime pastiglie contengono metilen-diossi-metamfetamina, o MDMA , oltre ad eventuali sostanze additive la cui natura sfugge a qualsiasi controllo. Ne risulta un senso di vitalità, di euforia, e di amore cosmico in grado di amplificare a dismisura l’esperienza di un rave.

EcstasyEffetti questi dovuti in parte alla sua interferenza con la trasmissione serotonergica, tale da provocare un massivo rilascio di serotonina (il cosiddetto neurotrasmettitore del benessere) ed una sua maggiore permanenza nello spazio sinaptico [2,3,4]. Tuttavia, a ciò segue un effetto di rebound dovuto all’esaurimento della riserva di serotonina. Da un lato, al sabato sera, l’MDMA provoca un’esperienza di estremo benessere dovuto all’aumento dei livelli di serotonina; dall’altro, la deplezione di serotonina dal tessuto cerebrale è responsabile di un effetto diametralmente opposto che caratterizza i giorni successivi: si tratta della cosiddetta “depressione infrasettimanale” [2,3,4].

Negli ultimi anni sono anche cresciuti interesse e ricerche il potenziale utilizzo in psicoterapia, proprio in virtù del fatto che l’MDMA sembra favorire “l’apertura verso gli altri” [5,6,7]. Tale possibilità, inizialmente (ri)proposta dal biochimico e farmacologo californiano Alexander Shulgin (1925-2014), è al centro del percorso clinico-procedurale avviato nel 2019 dalla non-profit MAPS (Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies) per ottenerne la formale approvazione delle autorità sanitarie Usa come coadiuvante della psicoterapia, oggi giunto alla sua terza e ultima fase. Iniziativa questa tra le prime a rilanciare su grande scala l’interesse scientifico verso i potenziali usi terapeutici degli psichedelici. Nello specifico, è stato riscontrato come l’MDMA sia un ottimo candidato per la terapia del disturbo da stress post-traumatico (PTSD nell’acronimo inglese), ed in generale come coadiuvante alla terapia di quelle patologie psichiatriche che scaturiscono da esperienze traumatiche.

Per la sua capacità di favorire un approccio positivo verso il mondo, l’MDMA sembra un eccellente candidato per la terapia del PTSD, in quanto consentirebbe ridurre la paura associata al confronto con il ricordo traumatico, facilitando così il percorso di psicoterapia [5,6,7]. Inoltre, essendo in grado di favorire l’estroversione ed i comportamenti prosociali (probabilmente mediati da un aumento dei livelli di ossitocina, l’ormone dell’accudimento [8]), l’MDMA migliorerebbe anche il rapporto con il terapeuta, laddove il PTSD è spesso caratterizzato da una difficoltà nelle interazioni sociali [5,6,7]. Alla luce di ciò, è stato addirittura proposto che l’MDMA possa migliorare le capacità empatiche delle persone affette da autismo, le quali hanno notoriamente difficoltà nel provare empatia [6]. [Continua qui]

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Ricontestualizzare le potenzialità della terapia psichedelica

PsichedeliaLe ricadute legate al rampante interesse del mainstream per la medicina psichedelica continuano a tenere banco nella comunità internazionale. Mentre sostanze e pratiche vengono presentate al grande pubblico, spesso in maniera affrettata e superficiale, come la panacea per vari disturbi neuro-psichiatrici e come la necessaria svolta verso la corsa all’oro medico-psichedelico, non manca chi segnala piuttosto l’urgenza di un approccio più prudente, critico e articolato. È stavolta il caso di un’ampia analisi proposta su Salon.com da due esperti impegnati soprattutto nel campo delle terapie con l’ibogaina.

Con l’esplicito titolo di Perché i ricercatori studiano gli psichedelici in modo completamente sbagliato, Jonathan Dickinson e Dimitri Mugianis  affrontano in dettaglio le lacune medico-scientifiche alla base di certe facili promesse di cura e ne mettono a nudo i vari aspetti controversi, concludendo che «l’industria della salute mentale non ha idea di cosa stia facendo con gli studi su queste sostanze».

Sotto accusa è innanzitutto il modello scelto per introdurre gli enteogeni nello scenario medico, trainato in primis dalla non-profit statunitense Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies (MAPS) e mirato in particolare al trattamento del disturbo post traumatico da stress (meglio noto con l’acronimo inglese di PTSD). Aggiunta nel 1980 nel  Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM), la “Bibbia” della diagnostica psichiatrica da qualche tempo denunciato (e abbandonato) come “scientificamente insignificante” da buona parte degli stessi operatori.

Oggi il PTSD è divenuta una diagnosi sempre più comune (soprattutto in Usa), che oggi abbraccia reduci di guerra, vittime di assalti sessuali o di altri traumi, chi è affetto da stress acuto o risente degli effetti psicologici dell’emergenza Covid, e viene rapidamente riconosciuta come disabilità permanente dall’assistenza pensionistica. Senza ovviamente volerne negare gli effetti deleteri, è una condizione tanto medica quanto sociale che trova ampio spazio sui media generalisti. Portando a un quadro complessivo «perfetto per una campagna PR basata sugli psichedelici come prossima cura medica miracolosa» per far fronte al dilagare del PTSD.

Più in generale, il punto è che nell’ultimo mezzo secolo si è capito che, soprattutto in campo psichiatrico, raramente i sintomi sono indicativi dei veri distrubi in atto e dei trattamenti migliori, tesi su cui storicamente poggia(va) l’intero DSM. La scienza psichedelica, pur vantandosi di essere all’avanguardia, rimane invece ancorata a questi modelli antiquati e garantisce interventi super-mirati e perfino “miracolosi”.

È quanto sostengono, fra gli altri, il Dr. Bruce Levine, psicologo clinico, e Ross Ellenhorn, autore di How We Change (2020):  ciò vuol dire colpevolizzare questi soggetti affinché trovino a tutti i costi una “cura” e innesca una pericolosa ipermedicalizzazione della salute mentale.

Va detto che  i professionisti che gestiscono le odierne sperimentazioni cliniche, compresi i protocolli di Maps ufficialmente abbracciati dalle autorità Usa, sono generalmente persone competenti e compassionevoli. È però il contesto specifico alla base di tali sperimentazioni a rivelarsi fallace: la ricerca in quanto tale è finalizzata a inscatolare queste sostanze e i loro effetti all’interno dell’attuale sistema sanitario, tagliando fuori l’esperienza o il percorso individuale.  Invece, chiarisce l’articolo:

Se gli psichedelici offrono qualche promessa, è perché non operano in maniera lineare né danno risultati nottetempo. L’esperienza psichedelica è alquanto espansiva. Può spingere i soggetti verso la crescita e l’auto-indagine personale che si estendono nello spazio e nel tempo, magari facendo emergere problematiche e introspezioni nuove che divengono un punto di riferimento anche per anni a venire.

Non manca il riferimento (in negativo) al cosidetto “effetto Pollan”: le aspettative poco realistiche diffusesi nel pubblico (e in molti addetti ai lavori, nuove aziende incluse) dell’esistenza di una “pillola magica psichedelica”, sulla scia del best-seller pluritradotto del giornalista californiano, How to Change Your Mind (2018). Effetto che sembra destinato ad ampliarsi, vista l’uscita a luglio 2021 del seguito, This is Your Mind on Plants, ampia indagine sugli effetti sulla nostra psiche di sostanze quali oppio, caffeina e mescalina.

Piuttosto, concludono gli autori del pezzo su Salon.com, le recenti depenalizzazioni (in alcune città Usa) di piante e sostanze enteogene appaiono propedeutiche alla diffusione di informazioni corrette e di pratiche di auto-cura, oltre a ridurre i rischi legali per quei praticanti che continuano a operare nell’underground. Questi ultimi potrebbero anzi decidere man mano di   “uscire allo scoperto”, proponendosi pubblicamente come mentori e terapeutici al di fuori dell’establishment medico ufficiale ma capaci di offrire applicazioni più sfumate e articolate della medicina psichedelica.

Va tuttavia evitato, aggiungiamo noi, di contrapporre così nettamente questi ambiti: l'”effetto Pollan” può fare danni anche negli stessi ambienti underground. Una ricerca del 2017 basata su un sondaggio online (Bad Trip Survey) con più di 2000 soggetti partecipanti, ha rivelato che le esperienze traumatiche sono sorte soprattutto in simili situazioni non controllate e/o auto-gestite.

In un caso e nell’altro, occorre evitare scorciatoie e facili illusioni,  insistendo a favore di prudenza e informazione, con grande attenzione a dose, set, setting, a livello personale, oltre al rispetto di importanti linee-guida etiche per le entità che operano variamente nel settore. E nella divulgazione per il grande pubblico, meglio puntare a un approccio più maturo – chiarendo al meglio potenzialità e sperimentazioni in corso, ma lasciando perdere entusiami immaginari o false promesse terapeutiche.

Etnobotanica 2: Desmodium pulchellum, legume misterioso

BOTANICA
Desmodium pulchellumIl genere Desmodium è polifiletico e comprende più di 250 specie diverse tra cui piante annuali, perenni e piccoli alberi distribuiti nelle regioni temperate e tropicali di entrambi gli emisferi, con un particolare concentrazione nel continente americano. La nomenclatura di questo genere è molto confusa e ancora controversa: alcuni autori lo considerano tutt’uno con i generi Codariocalyx, Hylodesmum, Lespedeza, Ohwia e Phyllodium. Gli errori di identificazione sono molto comuni, studi citologici hanno dimostrato una notevole variabilità nella lunghezza dei cromosomi delle varie specie [1].

Il Desmodium pulchellum syn Phyllodium pulchellum è un sottocespuglio eretto che cresce fino a 1,5m. Le foglie sono trifoliate, quelle piccole laterali presentano nella parte interna una sottile peluria, le grandi centrali sono lunghe fino a 13cm e larghe più del doppio rispetto alle altre. I delicati fiori bianchi vengono nascosti dalle foglie più piccole e sono distribuiti su delle infiorescenze lunghe fino a 25cm. I baccelli pelosi hanno una forma oblunga e sono uniti a gruppi di tre.

MEDICINA TRADIZIONALE
Nella regione di Assam si crede che tenere un ramo di desmodio vicino o sotto la casa possa allontanare le cimici dei letti [2]. Nella medicina ayurvedica il desmodio viene indicato per il trattamento piressia, emottisi, ascessi, epatite icterica, faringite, malnutrizione infantile, dissenteria, disturbi urinari, parotite, colecistite, malaria, encefalite epidemica ed altre affezioni [3]. I fiori di Desmodium pulchellum si masticano per combattere le carie e la sua corteccia si usa contro mal di testa e pressione alta. La radice si consuma per alleviare il bruciore addominale [4]. Il decotto delle foglie mischiato con una resina di fiori di Hibiscus viene consumato due volte al giorno per 3 giorni per controlla il flusso mestruale eccessivo [5]. La pianta è stata usata anche per il trattamento di schistosomiasi ed infezioni da trematodi epatici.

Diverse specie di Desmodium venivano utilizzate in Cina già 3000 anni fa per abbassare la temperatura interna e la febbre, neutralizzare le tossine, stimolare la circolazione e la produzione di nuove cellule sanguigne, alleviare dolore, tosse e dispnea. Il pulchellum ha anzi una lunga tradizione nella medicina tradizionale cinese: il decotto di foglie secche viene indicato per il trattamento di febbre, malaria, reumatismi, dolori ossei, edemi, iperplasia epatica e della milza. Quello a base di radice carbonizzata viene impiegato per ridurre il flusso mestruale eccessivo. La pianta intera viene consumata per il trattamento di di febbre reumatica, convulsioni infantili, mal di denti, edemi e indigestione. Le foglie fresche vengono pestate ed applicate su ulcere, ferite ed emorragie [6].

A Taiwan è stato impiegato per il trattamento di febbre e fibrosi epatica, mentre la medicina popolare malesiana propone un decotto con la radice per accelerare la ripresa durante il puerperio. Nelle Filippine se ne applicano le foglie su ulcere e pustole [7]. In Bangladesh, dalla parte aerea più tenera si ricava un decotto per il trattamento di edemi [8]. (Continua qui)

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Sondaggio pubblico dell’Imperial College sull’esperienza psichedelica

  • Sondaggio Imperial College Prosegue l’impegno da parte della comunità scientifica internazionale per approfondire la conoscenza degli effetti soggettivi e terapeutici legati all’utilizzo di sostanze psichedeliche. Ambito in cui il Centre for Psychedelic Research dell’Imperial College londinese ha appena lanciato uno specifico sondaggio pubblico: Evaluating APE (Acute Psychedelic Experience) Survey.

L’obiettivo è quello di esplorare quali siano le variabili interessate durante un’esperienza psichedelica, a determinarne le declinazioni così diversificate e soggettivate che possano renderla non solo un’esperienza che rievoca sempre una prima volta per l’impossibilità di predeterminarla, ma anche un’esperienza estremamente variabile e diversificata per ciascun singolo individuo, a parità di setting e di dosaggio.

Durante gli Stati Generali della Psichedelia 2019 era stata lanciata un’idea affine, nel tentativo di intraprendere una ricerca trasversale sulle peak experiences, che aveva sortito non poco interesse da parte degli addetti ai lavori e del pubblico. Come tanti  progetti di ricerca lungimiranti, anche questo non è decollato per via della mancanza di fondi – pur meritando di essere ripresi e condotti sul campo, magari in collaborazione con prestigiosi centri di studio e ricerca, proprio come l’Imperial College, qualora venissero reperiti i finanziamenti necessari. In tal senso, la rete di Psy*Co*Re offre massima disponibilità per avviare e sostenere questa raccolta di informazioni, oltremodo preziose per rischiarare un certo “ignoto scientifico” che ancora gravita intorno all’esperienza psichedelica.

Non certo casualmente, l’iniziativa dell’Imperal College è curata da Tommaso Barba, un giovane ricercatore italiano (già in contatto con Psy*Co*Re), a cui ci si può rivolgere per ulteriori informazioni. Questa la sintesi dell’invito al sondaggio, a cui può ovviamente partecipare chiunque (i dati personali verranno completamente anonimizzati):

Con le domande previste in questo sondaggio, vorremmo coinvolgere attivamente il pubblico per aiutarci a produrre un questionario valido e comprensibile sugli effetti acuti delle sostanze psichedeliche.   Anche il tuo contributo è importante per promuovere quest’approccio sperimentale e non giudicante rivolto alle sostanze, e per fare un passo avanti a sostegno della libertà di ricerca e del diritto della società per la scienza libera.

Hai mai fatto uso di sostanze psichedeliche (LSD, psilocibina DMT / funghi magici, ayahuasca, ecc.) e vuoi aiutare la scienza a comprendere più accuratamente gli effetti soggettivi di queste sostanze? Il Centre for Psychedelic Research dell’Imperial College di Londra ha bisogno del tuo aiuto! Per saperne di più e prendere parte allo studio, clicca su questo link:  https://survey.alchemer.eu/s3/90293916/APE-Signup.

L’inaspettato ritorno della psilocibina in Italia

Ricerca sui ratti in ItaliaDecisamente importante la notizia appena diffusa da Nova Mentis, azienda canadese di biotecnologia specializzata in medicina psichedelica: riguarda direttamente l’Italia e potrebbe anzi segnare l’avvio della ricerca scientifica in questo campo emergente anche nel nostro Paese.

È stato infatti approvato l’invio di psilocibina sintetica all’università di Roma Tre, per lo studio della sindrome dello spettro autistico (Autistic Spectrum Disorder, ASD: caratterizzata da ridotte abilità relazionali e sociali, da comportamenti ripetitivi, stereotipie e una serie di sintomi secondari quali ansia, deficit cognitivi e disturbi dell’umore) in una ricerca condotta su animali da laboratorio.

Parimenti stimolante è il percorso razionale alla base di questa scelta. La ricerca in questo campo rimanda alle indagini avviate già negli anni ‘60 da Rick Strassman in Usa, presso l’Università del New Mexico ad Albuquerque (come riportato nel 1997 anche nel quarto numero di Altrove, la rivista annuale della SISSC). Gli studi elencati da Strassman presentano però, caratteristica tipica di quegli anni, problemi metodologici e risultati non del tutto convincenti, pur se incoraggianti – di conseguenza non compaiono nelle indagini recenti su psichedelici e ASD.

In realtà, sono scarsi gli studi recenti sulla possibilità di applicare composti psichedelici a questa severa patologia. Vanno tuttavia segnalati casi come quello di Aaron Paul Orsini che, diagnosticato con ASD all’età di 23 anni, sperimentò l’attentuamento delle sua condizione durante il suo primo viaggio con l’LSD, descritto in dettaglio nel libro dello scorso anno Autism on acid (da non perdere la presentazione dello stesso autore su YouTube).

Volendo approfondire la letteratura che gravita intorno alla questione vengono alla luce potenziali dei composti psichedelici (proprietà anti-infiammatorie, immunomodulatrici e di neurogenesi) diversi dalle loro caratteristiche più note (alterazione della percezione ed espansione della coscienza), ma non per questo meno promettenti.

Oltre il cervello: psichedelici tra corpo e mente

Gli interessi dell’azienda canadese Nova Mentis , promotrice del nuovo studio sul ruolo degli psichedelici nell’autismo, riguardano principalmente i potenziali effetti anti infiammatori degli psichedelici e la loro azione sul sistema intestino-microbiota-cervello. 

Il microbiota, ossia la popolazione di microrganismi che abita il nostro intestino, è implicato non solo nella digestione di carboidrati complessi ma anche alla protezione dagli agenti patogeni, all’attivazione di processi anti-infiammatori e antiossidanti e alla stimolazione del sistema immunitario. Un’alterazione del microbiota è stata recentemente messa in relazione con l’eziologia della sindrome dello spettro autistico, ed è intrigante notare come gli psichedelici sembrano avere un possibile effetto benefico su di esso (ricordiamo che una larga percentuale dei recettori per la serotonina su cui queste sostanze agiscono si trova nell’intestino).

Anche lo stress ossidativo e l’infiammazione hanno una responsabilità nei sintomi autistici e, ancora, gli psichedelici rivelano un potenziale anti-infiammatorio che ha portato alcuni ricercatori ad investigare il loro ruolo terapeutico per malattie auto-immuni

Neuroni in trip: psichedelia e plasticità neurale

In questo nuovo studio italiano la psilocibina sarà testata in un modello preclinico di autismo, ampiamente validato dalla letteratura scientifica e basato sull’esposizione prenatale dei roditori all’acido valproico, un farmaco antiepilettico la cui esposizione, nell’uomo, è un fattore di rischio per l’incidenza della patologia.

Due dendriti a confronto, il secondo è stato trattato con Dimetiltriptamina
Due dendriti a confronto, il secondo è stato trattato con Dimetiltriptamina. Questi cambiamenti sono misurati dalla microscopia a fluorescenza e dall’elettrofisiologia.

Oggetto di ricerca sono anche gli effetti specifici prodotti dagli psichedelici sulla plasticità neurale (proprietà che consente al cervello di modificare la sua struttura e le sue funzioni attraverso cambiamenti dei singoli neuroni).

L’influenza psichedelica sulla crescita dei neuroni (neurogenesi) è però accertata, e probabilmente svolge un ruolo importante nello spiegare gli effetti anti-depressivi a lungo termine. Studi in vitro con cellule neurali hanno infatti provato che l’esposizione a psichedelici classici quali LSD e DMT aumenta la complessità della ramificazione di sinapsi e dendriti (fibre che permettono il passaggio del segnale nervoso e la connessione tra neuroni). Se questa influenza sulla plasticità potrà anche ridurre le alterazioni nocive al neurosviluppo causate dall’acido valproico è però ancora da stabilire.

Dal laboratorio alla pratica o dalla pratica al laboratorio?

Traendo alcune conclusioni: questo futuro studio psilocibinico italiano, il primo nel nostro Paese da quando si è osservata una forte ripresa delle ricerche in questo campo, oltre 20 anni fa in alcuni ambiti statunitensi, desta piacevole sorpresa ed è degno di interesse. Non ultimo perché parte integrante della seconda fase del revival generale in corso, tesa verso la necessaria “maturità psichedelica”. La speranza infatti è che questa ricerca possa contribuire a fare luce su aspetti ancora poco esplorati e misteriosi delle scienze psichedeliche come l’influenza sul microbiota intestinale, le proprietà anti-infiammatorie e di neurogenesi.

Caratteristiche affascinanti che mettono in risalto l’indissolubile unità del sistema corpo-mente e indirizzano ulteriormente la medicina verso un approccio sempre più integrato. Tuttavia ci auguriamo che l’Italia non si limiti a studi su modelli animali accentuando i soli aspetti bio-medici, volutamente trascurando la parte psicologico-esistenziale della ricerca in ambito psichedelico. Sono infatti gli stessi specialisti ad affermare che, sebbene gli studi di laboratorio con modelli animali siano fondamentali, solo l’esperienza umana può essere la fonte di ispirazione per una futura e autentica medicina psichedelica.

 

Osservatorio Media 1: a proposito di ayahuasca e informazione

Dopo il lancio della rubrica di etnobotanica, inauguriamo un nuovo spazio periodico dedicato al  fact-checking su quanto viene pubblicato sui media italiani riguardo alle sostanze cosiddette “psichedeliche” e dintorni. Come ulteriore passo nel percorso collettivo “verso la maturità psichedelica“, proveremo a offrire una lettura critica costruttiva, puntando su un approccio obiettivo ed epistemico, multivocale e riflessivo. Con il caldo invito a commentare  liberamente in calce al post stesso (evitando, come sempre, le polemiche e attendendosi a dati oggettivi e fonti verificabili).

La scelta di questa prima uscita della rubrica è stata quasi casuale, visto che recentemente sul web italiano ha preso a circolare, in modo apparentemente inspiegabile, questo articolo risalente al febbraio 2020, oltre a un recente servizio de Le Iene (su Italia 1) che ha riproposto il medesimo episodio di Fiuggi. A scanso di equivoci, quindi, la nostra analisi non ha nulla di personale nei confronti del giornalista, né del giornale con cui collabora(va). Buona lettura!


Viste le ormai frequenti incursioni dei media mainstream sulla psichedelia, ci è parso utile sintetizzare qui di seguito il quadro complessivo di questo ambito specifico, a partire dal fact-checking di un intervento risalente a circa un anno fa che esemplifica l’approccio della “grande informazione” in Italia.

Ayahuasca (da Wikipedia) Apparso sul sito web de Il Giornale, a firma di Paolo Manzo, corrispondente dal Brasile, l’articolo prende le mosse da un fatto di cronaca: “Allarme ayahuasca, la droga letale «indigena» sbarca in Italia. Durante un controllo antidroga i Carabinieri hanno infatti sequestrato venerdì scorso in un appartamento di Fiuggi capsule contenenti all’interno polvere di ayahuasca. Denunciati a piede libero per «produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti», un 25enne di Aprilia, un 35enne svedese, un 40enne trevigiano e un 24enne di Roma”.

Tuttavia del caso specifico nulla viene detto, anche se parrebbe rilevante: abbiamo contattato uno dei denunciati, che ci ha spiegato com’è andata. I carabinieri, in parte in divisa in parte in borghese, si sono presentati con un mandato di perquisizione presso un casale dove il gruppo Ayahuasca Italia svolgeva ritiri e sessioni private. Il mandato di perquisizione era stato però emesso per tutt’altro motivo: le forze dell’ordine erano alla ricerca della pianta dell’iboga. Questo verosimilmente perché il gruppo italiano fa parte di una rete più estesa, che in altri Paesi propone nei suoi ritiri anche la pianta di origine africana.

I carabinieri hanno quindi proceduto al sequestro di numerose sostanze (tra cui rapé, incensi, resine, mambe) e hanno denunciato le persone coinvolte, che rimangono in attesa del risultato delle indagini chimiche. Tra queste, c’è anche un ridotto quantitativo di ayahuasca, in forma di decotto, quindi non «capsule contenenti all’interno polvere di ayahuasca», come si legge nell’articolo.  Si noti che il gruppo in oggetto è già stato, in più occasioni, criticato e la sua attività risulta per molti versi censurabile.

Certamente non ne vanno nascosti gli utilizzi ambigui e i “curanderos” senza scrupoli, bensì denunciati e puntualizzati correttamente, anche e soprattutto per chi ne sa poco. In tal senso va ricordata la dichiarazione di oltre cento accademici, attivi sul campo, in appoggio al popolo Cofan, in una diatriba emersa nell’estate 2015 che coinvolgeva Alberto José Varela, a capo dell’organizzazione Ayahuasca International e del suo ovvio modello iper-commerciale.

Procediamo ora a una disamina di quanto affermato nell’articolo italiano di cui sopra. (>> Continua qui…>>)

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Etnobotanica 1: Kava, l’enteogeno del Pacifico

Parte oggi questa rubrica a cadenza quindicinale sulle piante psicotrope più interessanti che coinvolge tutti i continenti – all’Amazzonia all’Estremo Oriente, senza nessun limite geografico o culturale. Oltre a una parte teorica sull’etnobotanica e sulla farmacologia delle varie specie, gli articoli verranno integrati da una parte pratica con le informazioni tecniche su estrazione e lavorazione. Con un occhio di riguardo per le nuove scoperte della scienza moderna, ma senza sminuire il valore delle conoscenze antiche.

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BOTANICA

KavaIl genere Piper include circa 200 specie, 10 di queste vengono largamente impiegate per la produzione di spezie culinarie e fitofarmaci. La kava (Piper methysticum, dal latino “pepe intossicante”) è un cespuglio molto comune in gran parte delle isole dell’Oceano Pacifico. La radice, spesso chiamata erroneamente rizoma, è costituita da un vigoroso fusto principale da cui dipartono delle ramificazioni laterali che terminano in estremità sottili e filiformi.

Deriva da una cultivar selvatica più antica, Piper wichmannii. Analisi genetiche lasciano supporre che il methysticum, arbusto dioico sterile, sia stato clonato in seguito ad un lungo processo di selezione dei mutanti migliori [1].

La differenza principale tra le due specie sta nella radice che ha un tessuto molto più duro e legnoso nella wichmannii, infatti vengono spesso confuse o vendute indistintamente. Per esempio un campione raccolto a Tangoa in Vanuatu è stata identificato contemporaneamente da due erboristi come methysticum e wichmannii [2]. Anche tra i nativi le distinzioni sono poco chiare, infatti sull’isola di Vanuatu vengono chiamate indistintamente kava. In alcune zone come Maewo e l’isola di Pentecoste anche la specie selvatica viene impiegata per la preparazione della bevanda [3].

Diversi autori nel corso degli anni hanno formulato varie ipotesi sull’origine geografica della kava: nel 1959 Yuncker la definì “problematica” [4], poi Barrau ipotizzò fosse originaria dell’Indonesia orientale o di Papua Nuova Guinea [5]. Nel 1981 Smith ribadì che la provenienza della pianta fosse incerta [6], mentre nel 1989 Brunton suggerì che l’origine si potesse ritrovare nella Melanesia occidentale [7]. Lebot scrisse che la kava fosse stata introdotta dapprima a Vanuatu, luogo in cui si può ritrovare il maggior numero di cultivar diverse, meno di 3000 anni fa. Da lì si sarebbe poi diffusa in Fiji, Polinesia, Nuova Guinea e Micronesia.

Un’altra teoria, supportata anche dall’etnobotanologo italiano Samorini, si basa sul ritrovamento di un centinaio di mortai di pietra in Nuova Guinea e nelle isole vicine, particolarmente concentrati nell’arcipelago di Bismarck, isole Salomone e Nuova Guinea Orientale. Si ipotizza che, dati gli ornamenti preziosi, venissero impiegati in contesti rituali per la produzione di bevande disgustose a base di radici di Zingiberacee e Piper wichmannii. I martelli vennero poi abbandonati forse perchè la forma coltivata della kava, molto meno amara e nauseabonda, poteva essere masticata direttamente senza problemi.

Le discrepanze con la distribuzione geografica possono essere spiegate da un disuso della pianta che sarebbe tornata in voga successivamente, probabilmente in seguito alla selezione del Methysticum. La maggior varianza delle cultivar notata da Lebot a Vanuatu può essere spiegata dall’introduzione di altre varietà dalla Polinesia. La datazione di questi reperti potrebbe dimostrare che la kava venisse già consumata in Nuova Guinea più di 5000 anni fa [8]. (vai all’articolo integrale)

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#ThankYouPlantMedicine 2021

TYPM21Riprendendo il successo dell’edizione 2020, anche quest’anno sabato 20 febbraio 2021, tutti coloro che hanno beneficiato di piante medicinali psicoattive o sostanze psichedeliche condivideranno pubblicamente le loro storie sui social media utilizzando l’hashtag #ThankYouPlantMedicine, al fine di creare un’ondata virale di consapevolezza e gratitudine, spingendo per porre fine allo stigma socio-culturale (oltre che alle norme proibizioniste) ancora evidente un po’ ovunque.

L’evento globale è organizzato dall’omonima rete di attivisti (partendo dall’ambito Usa/anglosassone) e Psycore ne è il partner italiano.

La giornata di domenica 21 febbraio 2021 è dedicata alla condivisione in tutti i circoli in giro per il mondo, per consentire alle persone di incontrarsi, conoscersi, sperimentare la connessione e condividere le loro storie in uno spirito di gratitudine (anche se stavolta, per le restrizioni del Covid, molti circoli lo faranno tramite livestreaming).

In collaborazione con la Società Psichedelica Italiana, il 21 febbraio dalle ore 18:30 verrà facilitato un cerchio il  per chi volesse raccontare la propria storia o condividere delle riflessioni circa le piante e i funghi medicinali. Maggiori dettagli nei prossimi giorni, in questo spazio e sulla nostra pagina Facebook. Stay tuned!

Usa: Enteogeni depenalizzati anche a Somerville (Massachusetts)

FunghettiNel maggio 2019 Denver fece storia  diventando la prima città statunitense a depenalizzare i funghi contenenti psilocibina per uso personale. Da allora il movimento per la riforma antiproibizionista psichedelica ha conquistato altre vittorie locali (Ann Arbor, Oakland, Santa Cruz) e in concomitanza con le scorse elezioni presidenziali gli elettori dell’Oregon hanno approvato l’innovativa Measure 109 (56%), mentre nella capitale Washington D.C. è passata l’Initiative 81 (76%). E martedì 12 gennaio anche il Somerville City Council ha approvato all’unanimità la norma che depenalizza il possesso e l’uso personale delle ‘piante enteogene’, inclusive di funghi psilocibinici, peyote, ibogaina.

Come accaduto nelle precedenti situazioni, il consiglio comunale di Somerville, cittadina poco a nord di Boston in Massachusetts, ha così riconosciuto i benefici di questi psichedelici naturali nel trattamento di problemi di salute mentale come la depressione grave e l’ansia, in aumento soprattutto durante l’attuale pandemia. La misura impone alle forze dell’ordine di assegnare a chi coltiva o usa queste piante e funghi la priorità più bassa nell’attività di pubblica sicurezza. Il provvedimento prevede inoltre che il procuratore-capo  cittadino e il parigrado federale non perseguano penalmente tali casi.

La coalizione promotrice include un ampio fronte antiproibizionista, tra cui le associazioni Bay Staters for Natural Medicine e la sezione statale di Decriminalize Nature. Questa serie di vittorie continuerà a tradurrà  in analoghe iniziative nel prossimo futuro. Dal giorno delle elezioni 2020, gli attivisti a San Francisco e nello stato di Washington hanno già annunciato nuovi progetti per la depenalizzazione, mentre la senatrice dello stato del New Jersey, Teresa Ruiz, e il senatore della California, Scott Wiener, hanno annunciato di voler presentare appositi disegni di legge per depenalizzare il possesso di funghi psilocibinici e altri psichedelici.

Rispetto all’Oregon, va intanto ricordato che l’Oregon Psilocybin Services Act creerà un programma per consentire la somministrazione di prodotti psilocibinici, come i funghi, agli adulti maggiori di 21 anni, a scopo terapeutico. I cittadini potranno acquistare, possedere e consumare psilocibina presso un centro di servizi, ma solo dopo una sessione di preparazione e sotto la supervisione di un facilitatore (la psilocibina in quanto tale resta sostanza illecita nella Tabella 1). Mentre con il Drug Addiction Treatment and Recovery Act, l’Oregon è diventato il primo Stato Usa a depenalizzare il possesso per uso personale di tutti gli stupefacenti, compresa la cocaina, l’eroina e la metanfetamina.

Le quantità personali depenalizzate sono fino a 1 grammo di eroina, fino a 1 grammo o 5 pillole di MDMA, fino a 2 grammi di metanfetamina, fino a 40 unità di LSD, fino a 12 grammi di psilocibina, fino a 40 unità di metadone, fino a 40 pillole di ossicodone e fino a 2 grammi di cocaina. Chi viene trovato in possesso di piccole quantità di droghe pesanti potrà evitare il processo e la possibile pena detentiva pagando cuna multa di 100 dollari e partecipando a un programma di recupero delle dipendenze. I centri di trattamento saranno finanziati con le entrate provenienti dalla marijuana legale.

In questi ultimi anni Decriminalize Nature è divenuta il motore primario per la depenalizzazione a livello nazionale, con una mission precisa: migliorare la salute e il benessere dell’uomo depenalizzando e ampliando l’accesso alle piante e ai funghi enteogeni attraverso l’organizzazione politica e comunitaria, l’educazione, la promozione e la sensibilizzazione rispetto a queste medicine. Decriminalize Nature è attiva nell’informare l’opinione pubblica sul valore dei funghi e delle piante enteogene al fine di proporre soluzioni per depenalizzare il rapporto dell’uomo con la natura. Per fonti naturali, funghi e piante enteogeniche, sono da intendersi innanzitutto i funghi contenenti psilocibina, i cactus contenenti mescalina, l’iboga, piante e/o combinazioni estratte di piante simili all’ayahuasca; e limitatamente a quelle contenenti i seguenti tipi di composti: ammine indoliche, triptamine, fenetilammine.

Infine, un accenno al dibattito in corso (in particolare via Twitter) su una certa “preferenza” assegnata da attivisti e media alla depenalizzazione degli enteogeni, che forse può danneggiare l’intero movimento pro-riforma perché lascia tutte le altre sostanze illegali. Matt Johnson (Johns Hopkins University School of Medicine) segnala la una focalizzazione eccessiva su ‘psychedelics as “good” drugs’, mentre ancora più importante sarebbe depenalizzare l’uso di eroina, cocaina, metanfetamina, visti gli alti numeri delle relative condanne al confronto di quelle già minime per possesso di psichedelici.

Replica Ramzy Abuæita, attivo in Decriminalize Nature: “È vero che andrebbero depenalizzate tutte le sostanze illecite e non solo gli psichedelici naturali. Ma abbiamo preso una decisione calcolata di perseguire il nostro percorso di depenalizzazione di quelli naturali perché è più facile convincere un consiglio comunale dei meriti dei prodotti naturali e degli usi indigeni”.

Servizi di supporto e integrazione psichedelica

EutopiaMolti utilizzatori di stupefacenti vivono nell’ombra e non chiedono aiuto, o peggio pensano di essere fuori gioco, stigmatizzati da paradigmi sociali e approcci farmacocentrici focalizzati sul symptoma e non sulla persona. Essere portati in ospedale, affidati alla sicurezza o alla polizia, durante una esperienza psichedelica intensa può essere incredibilmente traumatico e aumentare il rischio di danni emotivi e psicologici a lungo termine.

Un’esperienza psichedelica può essere altresì un’esperienza di trasformazione, di assunzione di un nuovo punto di vista sulla propria vita e sulle piccole o grandi sofferenze che possiamo vivere quotidianamente.  Può quindi essere catalizzatrice di un miglioramento evolutivo, per cominciare coraggiosamente a cambiare quei comportamenti che ci boicottano – come la dipendenza, di qualsiasi genere essa sia – accompagnandoci verso la guarigione da un trauma o da una depressione. Allo stesso tempo però, le sostanze psichedeliche (come altre piante, funghi o sostanze psicotrope) possono anche causare un effetto psicologico duraturo, anche negativo, quando non correttamente processato.

Il processo di integrazione implica la possibilità di offrire una lettura diversa e molteplici chiavi interpretative di un’esperienza psichedelica passata, all’interno di una cornice più ampia di senso. Un circolo di integrazione psichedelica è uno spazio protetto, in cui set e setting sono disposti in modo tale di favorire tra i partecipanti la condivisione delle proprie esperienze, anche interiori, per comprendere ulteriormente se stessi e ricevere supporto dal gruppo.

L’obiettivo è infatti quello di sostenersi a vicenda nel processo di integrazione dell’esperienza psichedelica nella propria vita quotidiana. Dove integrazione vuol dire:
elaborare il materiale emerso nel viaggio; dare un senso all’esperienza; rielaborare e processare, in caso di un’esperienza difficile; approfondire certe introspezioni e idee arrivate durante il viaggio; definire come i cambiamenti che l’esperienza ha portato possano essere sostenibili e integrabili nella propria esistenza; permettere una condivisione in cui il feedback del gruppo diventa supporto e stimolo per chi parla; far parte di uno spazio protetto e senza giudizio, generativo e orizzontale (da qui l’idea di “cerchio”).

Questa, in poche parole, la vision e la mission di Eutopia, che ha sede a Bari e ha riattivato proprio in questi giorni il servizio telefonico di supporto, integrazione e accompagnamento alle esperienze psichedeliche. Il numero di telefono (338-708-7047) è da contattare per chiedere consigli e informazioni rispetto all’utilizzo di psichedelici, sia per gli utilizzatori che per i loro cari, oltre che essere un mezzo per capirne di più su questa categoria di molecole e determinare l’eventuale necessità di ulteriore aiuto.

La Helpline aiuta ad acquisire informazioni ed è volta alla riduzione dei rischi e dei danni associati al consumo, e gli operatori sono specialisti con formazione ed esperienza in medicina psichedelica, dipendenze patologiche e sostanze da abuso. Con un approccio amichevole, non giudicante, cercano di supportare al meglio i bisogni di chi si rivolge. Le conversazioni sono, ovviamente, strettamente confidenziali.

Altri progetti utili in quest’ambito sono Intermedium, lo sportello di integrazione psichedelica di Neutravel, e i Cerchi di Iside, organizzati periodicamente dalla Società Psichedelica Italiana, di cui si è parlato anche nei recenti Stati Generali della Psichedelia in Italia 2020, e su cui torneremo presto qui in maggior dettaglio. Chiunque volesse attivare qualche progetto analogo nella propria zona, o anche per avere maggiori informazioni al riguardo, non esiti a contattarci